Roma elezioni 2021: nella città eterna il voto LGBT+ non conta nulla

Con arte e cultura affogate nel cibo, la capitale si avvicina a un voto affollato e incerto. Ecco le poche luci arcobaleno di una nuova generazione che indica la direzione.

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Roma - Elezioni amministrative 2021 - Gay.it
7 min. di lettura

Roma elezioni 2021. Roma slabbrata, sudicia e cialtrona. È una città ingovernabile per chiunque. Una città vuota, che mangia se stessa. Qui la cultura è stata sgomberata. Non è successo a causa della pandemia. Lo sgombero è arrivato prima. L’arte e la cultura affogate nel cibo. Per ogni centro culturale che chiude si apre un locale dove si mangia o si beve. Si fa chiudere una discoteca e lì compare l’ennesimo ristorante. Per la comunità lgbt+ i luoghi di aggregazione non esistono. L’illusione è una striscia di marciapiede su via San Giovanni Laterano, fronte Colosseo. La chiamano “Gay-Street”. È una strada aperta al traffico. Tre bar in fila con le macchine che sfrecciano tra persone che sorseggiano cocktail, spesso cari e di pessima fattura.

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Roma da sempre considerata il giardino allargato del Vaticano, tutto quello che si muove è seguito dallo sguardo severo di chi comanda oltre Tevere – Gay.it

Roma alle elezioni 2021. Roma vuota, Roma con le sue porte girevoli, Roma di preti e politici, di presidenti e portaborse, di banditi e puttane. Spesso volti diversi della stessa faccia. Roma da sempre considerata il giardino allargato del Vaticano, tutto quello che si muove è seguito dallo sguardo severo di chi comanda oltre Tevere. Eppure, resta una città ingovernabile: “L’unico a comandare Roma è stato Nerone”, scherzano spesso i romani. Goliardia, la chiamano. Tra le strade negli ultimi giorni è apparso un cartellone che invita a votare Nerone. Ma qui l’ironia non c’entra. Sergio Iacomoni, conosciuto anche all’estero come Nerone, in quanto leader da quasi 30 anni del Gruppo Storico Romano, attivo nelle rievocazioni dell’antica Roma, è tra i 22 candidati a sindaco della Capitale.

Sono numeri da vertigini: ventidue candidati a sindaco per 39 liste. E sono 1800 i candidati per i 48 scranni dell’Assemblea capitolina. Molti sono marginali. La vera sfida sarà tra la sindaca uscente Virginia Raggi e i rivali Carlo Calenda, Roberto Gualtieri ed Enrico Michetti. “Eppure rosicchiano voti, variabile decisiva specie per delineare i ballottaggi” spiega Antonio Noto, dell’omonimo istituto di ricerca.

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Roma al voto amministrativo: nella città eterna il voto LGBT+ non conta nulla.

Per avere un’idea di quello che si muove nella Capitale bisogna soffermarsi sui santini elettorali. Le foto, gli sguardi dei candidati. In politica una foto può decretare l’inizio e la fine di ogni cosa. Lo sanno bene i sindaci che hanno governato Roma nell’ultimo decennio. Tra le foto che segnano la fine: quella di Gianni Alemanno che nei giorni dell’emergenza neve si fa fotografare con la pala in mano e il sale da cucina. Quella di Ignazio Marino e la sua Panda Rossa: le multe che non avrebbe pagato, lo scandalo creato ad arte che gli costò il posto. E infine le foto che arrivano dall’oggi: gli autobus in fiamme sotto l’amministrazione di Virginia Raggi e i cinghiali che invadono le strade della Capitale tra cumuli di spazzatura. Molto più delle cronache dei giornali, delle analisi, dei mille commenti sui social è una foto che può raccontare quello che succede. Quelle dei 22 candidati sindaco di Roma ci dice che sono quasi tutti maschi (quindici uomini e sette donne).

Tutti bianchi, eterosessuali. Eccezione fatta per Fabrizio Marrazzo, candidato con il suo Partito Gay. Parliamo di lui: il suo identikit da attivista è noto. Sulla scena da diverso tempo, è una persona che spacca. Il movimento. Tra chi lo detesta e chi lo stima. Ha fatto della critica la propria cifra politica. Di recente i suoi attacchi sono stati rivolti al ddl Zan ma, a differenza di molti altri, le sue richieste non puntano a svuotare la legge contro l’omotransfobia, ma a concretizzarla nell’incubo che più spaventa omofobi e fascisti: una legge che si estende alla propaganda delle idee considerate omotransfobiche e che permetta liberamente, senza necessari permessi dei genitori, corsi contro l’omotransfobia. Quella che non si vede in Fabrizio Marrazzo e nel suo Partito Gay è quasi sempre la proposta. Dice di candidarsi “per far diventare Roma una Capitale europea + Inclusiva + Ecostostenibile + Accessibile e Digitale”. Ma si perde spesso in comunicati e attacchi. La proposta unita alla critica, si sente meno o fa meno rumore. Sul progetto politico non c’è molto da dire. È certo interessante il cambio di strategia. Cinquant’anni di storia del movimento hanno raccontato di un attivismo che cerca di insediarsi nella politica dei partiti, influenzarla, plasmarla. Qui si cerca un posto al sole tutto per sé. Riuscirà? I partiti politici esclusivamente lgbt esistono solo nelle Filippine, in Sud Africa, in Pakistan, in Turchia. Non propriamente paesi democratici evoluti. In Italia, c’è da dire, non esiste il voto arcobaleno. La capacità lgbt di spostare larghe masse di voto è storicamente scarsa. Ma questo lo vedremo alla fine.

A contendersi il malgoverno di Roma troviamo il più incandidabile per la comunità arcobaleno: Enrico Michetti, colui che ha definito il saluto romano igienico in tempi di covid e firmato il documento politico di Pro Vita & Famiglia che, insieme all’Associazione Family Day, impegna chi lo sottoscrive a portare avanti politiche anti-lgbt.

La sindaca uscente, Virginia Raggi, dalla comunità lgbt ha invece sempre preso le distanze: latitante durante i Pride della Capitale, si è sempre rifiutata di incontrare l’associazione Famiglie Arcobaleno. Ha tuttavia patrocinato due incontri contro la Gestazione per Altri.

Roberto Gualtieri, candidato sindaco PD, parla di una città “aperta a tutte le istanze LGBT+”.

Carlo Calenda, candidato sindaco di Azione, si dice: “favorevole a qualsiasi tipo di famiglia” e pronto a riconoscere i figli delle famiglie arcobaleno nate all’estero.

 

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Una generazione nuova che arriva luminosa e, come nelle catastrofi, indica la direzione da prendere.

Ma la campagna elettorale su Roma (e non solo) bisogna provare a guardarla spalle ai protagonisti e occhi rivolti alle squadre di governo. Conoscere i nomi dei candidati serve, spesso, a capire le intenzioni dei partiti che li candidano. Effetto: una moltitudine di attivisti più o meno noti. Ne citiamo alcuni.

Spicca Marilena Grassadonia, attivista nota del movimento Lgbt, responsabile nazionale Libertà & Diritti di Sinistra Italiana, in lista per Roberto Gualtieri.  Sorride sempre e dentro il sorriso dice cose di granito.

Annalisa Scarnera sembra una novità per la politica e l’attivismo lgbt+. In realtà ci sono molti modi per forgiare il futuro, dietro il suo nome si nasconde la Gay Street, e il più noto Coming Out, che ha cercato, nonostante le resistenze delle amministrazioni, di creare un posto per la comunità. È una persona concreta e luminosa. E senza dubbio la sua presenza da capolista nella lista civica Calenda sindaco ha influenzato l’ex ministro dello Sviluppo economico che sulle questioni lgbt ha più volte dimostrato di essere totalmente a digiuno.

Tra gli altri nomi c’è anche quello di Cristina Leo, psicologa e prima assessora trans d’Italia (dal 17 ottobre 2019 è componente della Giunta del Municipio VII con delega alle Politiche sociali, Pari opportunità e Politiche abitative), candidata come capolista di Rivoluzione Civica al Consiglio comunale.

Nella stessa lista troviamo Gioele Lavalle, presidente di Gender X e anche lui candidato come consigliere all’Assemblea capitolina.

Mauro Cioffari è candidato a consigliere del Municipio I della capitale nella lista di Sinistra Civica Ecologista. Filippo Riniolo, artista visivo e concettuale, attivista LGBT, candidato al V Municipio per Roma Futura. E ancora ci sono le alleate della comunità lgbt, citiamo due donne: Claudia Pratelli candidata con Roma Futura e Flavia Restivo candidata con Gualtieri e ad oggi la più giovane candidata al consiglio comunale, classe 1995. I candidati hanno un programma delineato e una precisa idea di mondo. Sono i nomi di una generazione nuova che arriva luminosa e, come nelle catastrofi, indica la direzione da prendere. Qualcuno più di altri punta su una campagna elettorale social, ma non saranno i like a pesare sulle comunali di una città come Roma. Come per qualsiasi cosa, i social non fanno dimagrire, non spianano la strada per un appuntamento a cena, ma soprattutto non fanno vincere le elezioni. I like in politica non corrispondono ai voti. Credere il contrario è riposante ma non è reale. I social non sono rappresentativi di nulla. Nelle elezioni comunali o regionali, la gente vota la persona, il singolo, chi conosce. Vota le persone di cui si fida, non le promesse. In una città come Roma dove gli autobus vanno a fuoco, ai giardinetti ci sono i cinghiali al posto delle giostre, la metro ha aperto dopo 13 anni e non funziona, le strade hanno buche nelle quali letteralmente si muore, i centri culturali sono fortini in resistenza, proprio qui si vota sulla base dei fatti. Che di convenienze ne sono rimaste poche e per pochi. E anche se, sulla base dei fatti, il tema dei diritti della comunità arcobaleno trova ampio spazio nei programmi elettorali, per Roma saranno altre questioni a pesare. Più concrete, diciamo meno affascinanti. A questo si aggiunge un piccolo problema: l’elettorato LGBT non esiste. La convinzione che esista il voto LGBT, cioè che gay, lesbiche e trans abbiano qualche peso elettorale è una chimera e appartiene a un fantabosco bellissimo e illusorio. La realtà è un’altra cosa. E su Roma aderisce in maniera ancora più violenta. Lo sa bene Franco Grillini, politico di lungo corso e padre nobile del movimento arcobaleno: “La nostra capacità di spostare larghe masse di voto è assai scarsa anche perché in Italia non abbiamo quelle concentrazioni Lgbt nei grandi centri urbani che caratterizzano metropoli con Parigi, Londra, New York, San Francisco, ecc“. Sull’esito di queste elezioni l’incertezza è massima. Un salto nel buio, una partita aperta. Sul futuro della città, con un candidato sindaco a rischio ballottaggio che amoreggia con omofobi e fascisti e una sindaca uscente che ha ignorato totalmente la comunità lgbt, si agita un vento nero. Sono moltissimi i romani che non sanno, non hanno idea, non capiscono perché dovrebbero alzarsi una mattina e andare a votare. Eppure al voto bisogna andare, senza certezze né speranze: nel momento in cui abbandoniamo il nostro posto volontariamente facciamo una diserzione -diceva Camilleri- fuggendo, lo spazio che lasciamo viene occupato proprio da quello da cui stiamo scappando.

 

 

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Il DDL Zan e i mostri arcobaleno: ecco come Italia Viva ha voltato le spalle alla comunità Lgbt >

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kev0 15.9.21 - 21:01

Votate Calenda. L'unico candidato ad aver scritto un programma chiaro e completo con analisi e proposte. Non capisco chi dice che si è sempre astenuto da fare commenti lgbt. Ha sempre dichiarato di votare il ddl Zan così com'è anche al Senato, è stato preso di mira dagli hashtag caldendarispondi anche da questo stesso sito, quando invece non ha mai nascosto di essere favorevole ad adozioni e matrimonio. Forse, ed è una mia impressione, i suoi detrattori sono quei cosiddetti guerrieri dei social stile Murgia & Co. che invece di parlare preferiscono fare i paladini del nulla invece di parlare dei problemi veri delle persone lgbt. Basta vedere la figuraccia di Murgia con il caso Cecilia.

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Franzc Dereck 15.9.21 - 19:33

Eppure Barack Obama ( sempre sia lodato e bene detto) disse che per la sua rielezione i voti GLBTQ avevano fatta la differenza. Ma forse oltre oceano vi è un senso di appartenenza alla nostra comunità che nel Belpaese non è concepibile.

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