Il DDL Zan e i mostri arcobaleno: ecco come Italia Viva ha voltato le spalle alla comunità Lgbt

Dalle convinzioni trans-escludenti di Renzi alle giravolte di Scalfarotto: panoramica su un partito impegnato a dare più poltrone che diritti alle persone lgbt.

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9 min. di lettura

“Guardate che ci stiamo facendo una pessima figura, tutti”, dice Ivan Scalfarotto. Siamo a Roma, Osteria delle Coppelle, dove pranza la politica a pochi passi dalla Camera. Il deputato di Italia Viva è al tavolo con un collega “velato” -come si dice in gergo- e un gruppo di amici. Da sempre in caduta libera nell’indice di gradimento della comunità lgbt, ormai è certo di perdere per sempre la faccia. Motivo? Il “cambia-verso” di Italia Viva sul ddl Zan. In effetti, una figura un po’ così l’ha fatta. Ma non si può dire pubblicamente e forse gli importa poco.

“Sul ddl Zan bisogna mediare”. È l’ordine di scuderia del segretario del partito “più femminista della storia”. La frase è offerta da Matteo Renzi stesso durante un’intervista concessa a Marina Terragni per Quotidiano.net. A quale femminismo faccia riferimento Renzi è dunque chiaro: quello trans-escludente. Ivan Scalfarotto rispetta l’ordine e lo fa rispettare. Pazienza se pochi mesi fa diceva il contrario, certi politici sempre attribuiscono all’elettorato la memoria dei pesci rossi.

La storia la conosciamo, le scuse apparecchiate per giustificare un accordo con la Lega anche. Non ci sono i voti, dicono da mesi. Ma i voti che mancano sono i loro, sono i voti di Italia Viva che mancano al DDL Zan, diciassette per l’esattezza. Dettagli. Cronaca parlamentare che sta per tornare sulle pagine di questo imminente autunno. La sostanza è che oggi la politica cede la parte di protagonista a un’inedita figura: i mostri arcobaleno. Dentro l’arco parlamentare ne sono in scena diversi. A destra saranno forse un po’ seccati di passare, rispetto a loro, in seconda linea. Ma non si preoccupino: i mostri passano, i fascisti restano.

I mostri arcobaleno li conosciamo tutti. È il vicino di casa che colora i social nel mese del Pride e condivide gli status di Vladimir Luxuria, salvo poi chiamare i carabinieri dovesse trovarsi una donna trans come supplente di matematica del figlio. È la ragazza che “ama i gay” salvo poi specificare “però sulle adozioni no, dai, il bambino ha bisogno di un papà e un mamma”. Sei tu, gay disoccupato ma ambizioso, che per tirare a campare accetta di entrare nello staff di uno che probabilmente ti considera un malato di mente solo un po’ colorato. Ma va bene così. Finalmente sei nella stanza dei maschi con il sigaro, per distinguerti dirai di essere contrario alle carnevalate dei Pride e agli eccessi, salvo l’appuntamento fisso al “La Demence” di Bruxelles (sapete, la discoteca amata da molti europarlamentari velati). Un classico per chi, dentro, è ancora il bambino che nessuno invitava a giocare alla play e nessuno voleva baciare.

Italia Viva è un fantabosco abitato da queste persone. È il paese reale che ci circonda. Un partito scheggia, certamente veloce a cambiare opinione, meno a trasformare queste giravolte in punti nei sondaggi. Ma anche un frammento irregolare, acuminato e tagliente, staccatosi dal Partito Democratico e infilzatosi nel fianco della comunità lgbt che tra le pugnalate offerte in passato dalla sinistra parlamentare e le fucilate dalla destra potrebbe non farci caso.

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On. Ettore Rosato eletto nel 2018 con il PD nella circoscrizione Friuli Venezia Giulia. Nel settembre 2019 è stato tra i fondatori di Italia Viva.

Un partito moderato cattolico che, senza i toni di Giovanardi, porta avanti battaglie di retroguardia che in Europa sono battaglie dei conservatori (e pensare che Renzi ha sempre sognato: “Gli Stati Uniti d’Europa”). Non è certamente un partito laico. L’ex segretario del Pd porta in dote una scheggia nemmeno esigua della vecchia Dc. Non è vagamente di sinistra. Anzi “la sinistra” è l’accusa che rimbalza nella bocca dei Faraone o dei Rosato ogni volta che bisogna recriminare qualcosa. Dicono: “la sinistra” un po’ come noi diciamo “Adinolfi”.

Illuminiamo la scena. È un partito dove gay e omofobi stanno uno davanti all’altro a difendere l’onore del capo e la dignità politica di una confusa presa di posizione. Eppure, è un partito con un’ossatura prevalentemente gay: ex attivisti o presunti tali che lavorano soprattutto nelle retrovie. C’è Dario Ballini, dipendente del Gruppo Italia Viva del Senato della Repubblica nel ruolo di social media manager. C’è Nicolae Galea, assunto dalla ministra per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, come esperto per i social media a supporto dell’ufficio stampa. C’è anche il compagno di Galea, Alessio De Giorgi digital strategist del partito, fino a qualche mese fa al ministero delle Politiche agricole, al fianco di Teresa Bellanova. Da Italia Viva è passato anche Benedetto Zacchiroli, oggi non più nei palazzi ma tesserato. “Io ci sono, ma dietro le quinte”, aveva scritto nel 2016. Ex seminarista, ex collaboratore di Sergio Cofferati, ex Capo Segreteria del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, Zacchiroli ha gestito il momento più difficile e storico per la comunità lgbt e per la politica italiana, l’approvazione delle unioni civili. Oggi ricopre il ruolo da Presidente della Coalizione delle città europee UNESCO contro il razzismo e le discriminazioni. Questo per dire che Italia Viva non è certo un partito “chiuso” dentro i palazzi del potere, anzi con la comunità ha un contatto. Il problema forse è che non ascolta. Forse più che dare diritti alle persone lgbt, basta dare loro le poltrone.

Dall’inizio della guerra al ddl Zan a chi critica le mosse di Matteo Renzi, il leader di IV in prima persona ripete la stessa frase come un mantra: io ho fatto le unioni civili. Una gentile concessione del leader illuminato.

“Lui lo sapeva, su questa cosa si giocava la faccia. C’erano le sanzioni della corte di Giustizia europea, l’Italia era l’unico paese in Europa”, mi ha detto un giorno Sergio Lo Giudice, ex senatore del Partito Democratico e protagonista di quei mesi convulsi. Nella narrazione che vuole le unioni civili come una battaglia di Renzi (in coppia con Alfano) c’è sempre questo particolare: lo Stato di Diritto imponeva al diritto interno di adeguarsi alla norma internazionale (CEDU), l’Italia ha optato per il minimo sindacale con lo stralcio della step-child adoption. Altro che grande vittoria di civiltà. Ma disseminare il passato ci porta fuori strada, concentriamoci sul presente.

Italia Viva e il rapporto con la comunità lgbt, ecco. Analizziamo come si è comportato questo partito negli ultimi mesi in merito al ddl Zan.

Italia Viva occupa un ministero al governo. Grazie a Elena Bonetti, ministra alle Pari Opportunità e alle famiglie. Può vantare il record di non aver mai citato la legge Zan nell’ultimo anno se non su esplicita richiesta e per chiedere modifiche. Rileggiamo veloce alcuni comunicati: 21 marzo sull’aggressione alla coppia di Valle Aurelia esprime “solidarietà”. Non cita un disegno di legge votato alla Camera anche dal suo partito. 21 aprile davanti alla commissione Infanzia e Adolescenza, costretta da una domanda dell’opposizione, specifica i contenuti della legge e rassicura sui corsi contro il bullismo: “nel rispetto dell’autonomia scolastica”. Arriva 10 giugno parla di mediazioni “o il ddl Zan sarà affossato” ed esprime dubbi sull’identità di genere. Suona come un avvertimento, non un’analisi.

Maria Elena Boschi, “icona gay” in un paese dove basta colorare i social di arcobaleno per esserlo, non si è mai spinta oltre. Silenziosa alla Camera durante la battaglia e la sua approvazione, sul ddl Zan si è espressa il primo agosto con un’intervista su “La Stampa” e una richiesta di modifiche. Deve essere stata una delusione per Alessandro Zan che nel 2015 l’aveva scelta come madrina per il suo Padova Pride Village. Femminista silenziosa, non sappiamo cosa pensi sulla gestazione per altri, sulle persone trans, sul concetto di identità di genere, sull’adozione per le persone lgbt. “Lo voglio dire: quando fu scritto il maxi-emendamento sulle unioni civili da Maria Elena Boschi l’articolo 3, quello sull’uguaglianza, fu rigettato. È stato inserito solo grazie ad Andrea Orlando. Altrimenti non sarebbe mai passato” la confessione è della senatrice Monica Cirinnà, il 4 aprile 2017.

C’è anche Teresa Bellanova, donna di partito. Il giorno delle dimissioni la ministra del più grande “partito femminista” si presentò in conferenza stampa seduta accanto a Matteo Renzi, in silenzio. Lasciò fare tutto al maschio capo del partito. Dopo quaranta minuti di intervento disse la sua sulle proprie dimissioni. Ma solo per dieci minuti. Sul ddl Zan si è espressa sempre poco, in linea con le giravolte dell’ultimo secondo (“mediazioni”). Nel 2019 scrisse una lettera aperta a Maurizio Landini: “No all’utero in affitto. Non è dono, è mercato”. Una posizione chiara c’è.

Entriamo nella stanza dei maschi.

Sorvoliamo su Luigi Marattin, deputato noto alle cronache per uno “scivolone” quando era ancora assessore al Bilancio del Comune di Ferrara, da renziano di ferro nell’allora variegato Pd aveva invitato Nichi Vendola, attraverso un tweet, ad “elargire prosaicamente il suo orifizio anale, in maniera totale e indiscriminata”.

Tra i senatori spicca la figura di Davide Faraone, il battagliero contro l’identità di genere. Dietro gli occhiali niente. Sempre estraneo e sempre altrove. Perfido è stato Matteo Renzi che gli ha messo tra le braccia questa lotta in qualità di Capogruppo del Senato, Faraone si presenta alle dirette con l’espressione di chi non ha fatto i compiti e le parole mica le sa. Chiamato alla lavagna, cerca di infilare coloriture nelle scuse, convinto che alla fine se la caverà, ma il risultato è sempre una figuraccia: “Il fatto che io mi senta di un sesso piuttosto che un altro, autocertificando la mia condizione interiore, e che questo possa cambiare nell‘arco dell’esistenza più volte” dichiara il 2 giugno in diretta su Instagram facendo indignare la comunità trans. E ancora il 5 luglio ribadisce: “La Legge Zan è urgente ma non le va affidata una finalità pedagogica”.

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Gabriele Toccafondi aderisce nel 2019 a Italia Viva. È considerato vicino al movimento cattolico laico Comunione e Liberazione. (fonte Wikipedia)

Preoccupato delle finalità pedagogiche del ddl Zan è anche il deputato Gabriele Toccafondi, ex segretario all’istruzione di Scelta Civica cooptato da Italia Viva: “È chiaro che occorre educare all’accoglienza di ogni persona, combattendo ogni forma di violenza, ma ora sotto la dicitura di lotta alla discriminazione e al bullismo sta mirando a tutt’altro: all’imposizione della teoria del gender e alla promozione di nuove forme di famiglia”. Era il 2014, la destra dichiarava guerra aperta all’Unar-Ufficio Antidiscriminazioni della Presidenza del Consiglio e Toccafondi rilasciava un’intervista a Tempi dove si narrava di gender e altre fiabe. A rispondergli per le rime Ivan Scalfarotto, all’epoca deputato del PD. Scontro agli estremi della barricata. Chi lo avrebbe mai detto che un giorno Scalfarotto e Toccafondi avrebbero portato avanti la stessa battaglia contro un disegno di legge e in particolare contro il contrasto dell’omotransfobia nelle scuole. Qui è chiaro: chi ha cambiato verso tra i due non è certo Toccafondi.

Il deputato gay di Italia Viva Ivan Scalfarotto si comporta come l’erede di Vendola: “sono più vendoliano di Nichi” disse durante la campagna elettorale da Presidente della Regione in Puglia. Prese l’1,6%. Eterno candidato gay, dalle primarie del 2006 alle regionali del 2020. Prospera sulle briciole. E gli riesce bene. Matteo Renzi lo stima infinitamente, del futuro non ha da preoccuparsi. Perciò può portare avanti le battaglie che ritiene giuste, e in questi mesi il colpo d’occhio suggerisce che siano quelle che vanno contro i diritti della comunità lgbt. Domani, chissà. La sua proposta di legge contro l’omotransfobia del 2013, la n°245 nota come legge Scalfarotto, divenne l’esempio plastico di come non portare avanti una proposta di legge contro l’omotransfobia: accordi con la destra per indebolirla e difendere gli omofobi (il famoso Gitti-Verini cosiddetto “salva-vescovi”), rivendicazione trionfante da parte del relatore dopo l’approvazione, abbandono totale in un cassetto del Senato per la vergogna di aver approvato una legge che avrebbe avuto il merito di distruggere l’intero impianto della legge Mancino.

Nel 2016 da viceministro allo Sviluppo Economico vola in Iran per incontrare Hassan Rohani, “l’amico prezioso”, “il riformatore” che impicca i gay, perché “love is love” ma “bussiness is businnes”. Nel 2020 ci regala il silenzio mentre il suo leader Matteo Renzi davanti al principe Mohammed Bin Salman dichiara: “Ci sono le condizioni affinché l’Arabia possa diventare il luogo per un nuovo Rinascimento”. Un Rinascimento che odora dei cadaveri dei gay condannati a morte e ha la forma delle striature di sangue con la pelle quasi scuoiata di quelli fustigati. Dai selfie sorridenti con gli esponenti del Family day (perché bisogna parlare con tutti ma non con la comunità lgbt) agli inviti mancati ai Pride: “Non lo consideriamo” ha dichiarato il portavoce dei Sentinelli, Luca Paladini a Il Fatto.

Negli ultimi mesi si è calato nella parte di Wanna Marchi: “A scrutinio segreto il ddl Zan non sopravvive”, prevede. Forse. Forse no. Certo se mancheranno i voti di IV sarà così. Ma questo Scalfarotto lo ignora o finge di ignorarlo.

Ha intentato una lotta contro Fedez sui social: “La cosa singolare è che Fedez pensi che sia lecito parlare di Renzi ma non con Renzi“. Strano, pensavamo che la cosa singolare in tutta questa storia fosse che Italia Viva pensi che sia lecito mediare su una legge della comunità lgbt senza parlare con la comunità lgbt. “Scalfarotto non riesce a mandare giù il fatto che Zan sia il politico gay di riferimento in Italia”, mormora un suo collega non proprio amico. Può essere una questione di carisma. Scalfarotto è capace come per sortilegio di sparire dalle menti un secondo dopo esser scomparso dalla vista. Prima della giravolta di Italia Viva, i giornali di destra aggiungevano al ddl Zan il cognome Scalfarotto. “Zan-Scalfarotto”, scrivevano proprio così. Quasi a voler sminuire il testo. Crede nelle idee che non ha e porta avanti un’oratoria sepolcrale. È l’amico gay di Italia Viva. Quello “svelato” almeno. Matteo Renzi potrà continuare citarlo tra “i tanti amici gay” che riempiono il suo staff. È una storia vecchia come il mondo e da tempo ci suggerisce che le frequentazioni non fanno mai testo: quelle di Giuda erano le più rispettabili del mondo.

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Franzc Dereck 8.9.21 - 9:50

Mi pare di ricordare che in Inghilterra un eletto con un Partito ( e non vi solo solo i Labour ed i Tory a Westminster) decade e deve ripresentarsi all'elettorato. Ecco , questa semplice regola non vale per il Paese di Pulcinella!

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