“Io gay e musulmano, immigrato e cittadino: il futuro è dei meticci” Saif ur Rehman Raja racconta “Hijra” il suo romanzo d’esordio – intervista

"Chiunque di noi è un insieme di soggettività. Io sono un uomo, omosessuale, marrone, musulmano, non-monogamo, anarchico-relazionale, femminile"

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"Io gay e musulmano, immigrato e cittadino: il futuro è dei meticci" Saif ur Rehman Raja racconta il suo romanzo d'esordio "Hijra" - intervista
"Io gay e musulmano, immigrato e cittadino: il futuro è dei meticci" Saif ur Rehman Raja racconta il suo romanzo d'esordio "Hijra" - intervista
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Hijra è un termine pakistano, identifica chi non ha né un carattere maschile né femminile. È il titolo del libro che Saif ur Rehman Raja ha scritto. Un libro diretto, che lascia sgomenti, al cui interno c’è tutto. Tutto il percorso biografico di Saif, che dal Pakistan raggiunge l’Italia, a 11 anni, da solo. Si ricongiunge a Belluno con la famiglia, che era stata costretta a lasciarlo a Rawalpindi, due anni prima. Un nodo doloroso, che segna la sua vita nel profondo. La dipartita di amma Shakeela, sua madre, è una ferita inguaribile, che si protrae nel tempo, che non è possibile scordare. Saif è l’emblema dell’identità fluida, di chi è meticcio, perché non si riconosce né nella tradizione di provenienza né in quella d’arrivo. Sempre inadeguato, troverà la sua strada nella liberazione dei propri istinti, tra la parola ‘fr0ci0’ e la parola ‘femminile’. Nonostante la contrarietà della famiglia a cui è legato, e della cultura da cui proviene. Abbiamo intervistato Saif ur Rehman Raja

 

Intervista a Saif ur Rehman Raja autore di “Hijra”

Saif, in Hijra hai mostrato tutta la tua vita nel profondo. Che rapporto hai con il dolore?

Ho un rapporto di accoglienza. Non è qualcosa a cui veniamo educati, perché non educhiamo alle emozioni negative come il dolore e la tristezza. Il dolore è sempre stato un mezzo di comprensione di me stesso e di ciò che mi circondava in tutta la sua pienezza. Anche se mi ha fatto dormire tante volte piangendo, è sempre stata una compagnia perché è qualcosa che viene dato, non casuale. Chi lo dà e chi lo riceve ha delle soggettività ben specifiche. Il dolore che un adolescente gay bianco può ricevere è qualcosa di molto specifico e differente rispetto a quello di un gay nero o marrone.

 

A questo proposito, la tua è stata una battaglia tra diverse identità, quella pakistana e quella italiana, quella musulmana e quella omosessuale. Nel libro dici che il futuro è dei meticci. Ci spieghi meglio?

Chiunque di noi è un insieme di soggettività. Io sono un uomo, omosessuale, marrone, musulmano, non-monogamo, anarchico-relazionale, femminile. Questo sono io, siamo tutti e tutte noi. Tutti, infatti, subiamo oppressioni specifiche per il solo fatto di esprimerle. Nel libro cerco di raccontare una sequenza di oppressioni che subisco, specifiche dell’età e del contesto. Non trovo qualcosa di simile nella letteratura, nel fatto di essere bello in quanto pakistano oppure di chiedersi com’è l’odore di una pelle bianca. Questa è una storia intersezionale perché mostra il mio punto di vista e allo stesso tempo mostra le oppressioni collettive sull’orientamento sessuale e sulla purezza “etnica”, in entrambi i paesi. In Italia e in Pakistan i contenuti e la superficie sembrano diverse, ma i processi su cui si costruisce la protezione della propria identità sono gli stessi: quello che fanno gli etero sugli omosessuali, gli autoctoni sugli immigrati e gli stranieri.

"Io gay e musulmano, immigrato e cittadino: il futuro è dei meticci" Saif ur Rehman Raja racconta il suo romanzo d'esordio "Hijra" - intervista
“Io gay e musulmano, immigrato e cittadino: il futuro è dei meticci” Saif ur Rehman Raja racconta il suo romanzo d’esordio “Hijra” – intervista

La tua pelle, la tua etnia ti qualificano agli occhi di molti italiani. Oggi senti che il razzismo è aumentato rispetto a quando sei arrivato?

Per quanto riguarda l’Italia più che di razzismo, parlerei di razzializzazione. Non è una questione di come aumenta, ma di come cambia il modo in cui viene manifestato. Nel 2024 quasi nessuno mi direbbe: “la civiltà da voi deve ancora arrivare perché mangiate senza posate”. Era una pratica comune nel 2005. Il razzismo brutale è quello del Novecento: biologico e nazifascista. Invece, oggi le pratiche comuni sono di razzializzazione e di genderizzazione, di esclusione e di inclusione. Oltretutto, c’è ancora una gerarchia etnico-culturale a livello internazionale, per la quale l’Occidente ha un valore superiore. Potremmo anche dire che a livello collettivo ce lo siamo detti, dove andare. Ma a livello di ideologia, di convinzioni e prospettive di significato siamo legati all’eurocentrismo e lo manifestiamo con pratiche socio-linguistiche, come dice Mezirow.

Ti racconto una cosa che mi è successa – una delle prime volte che ho fatto l’educatore una nonna che mi ha detto: “ah ma voi fate anche questi lavori adesso?” Quel voi me lo porterò dietro tutta la vita. Non ho mai capito a chi si riferisse: pakistani, musulmani, omosessuali? Perché il pakistano rimane sempre la diversità e non la norma.

 

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E in Pakistan com’è la situazione?

In Pakistan è in corso un percorso di nazionalizzazione dovuto ancora all’idea degli stati-nazione, molto strumentalizzata, non solo dal punto di vista terroristico. Nella Generazione Z e TikTok, invece, tramite i fenomeni di globalizzazione, c’è una tendenza all’omologazione e alla de-colonizzazione. Un movimento tendente alla sinistra che sta riscoprendo il Sud Asia, con la difficoltà nel riconoscersi come cittadino di uno stato-nazione in quanto tale. Anche io ho molto più in comune con un punjabi indiano che con un beluci del Pakistan. Su questo si basano, poi, tutte le domande sull’identità pura, sia in Italia, sia in Pakistan.  

 

hijra saif ur rehman raja

 

Ti identifichi come ‘fr0ci0’. Una rivendicazione importante, che hai utilizzato anche per il titolo di un racconto breve, molto intenso, ‘Un musulmano fr0ci0’. Qual è il motivo?

Mi identifico così, certo. Nella comunità è comune ed è tale anche perché costruiamo la realtà tramite le parole. Quando una parola fa parte di un potere oppressivo e riesci a rivendicarla, in modo da incarnarla e trasformarla in qualcosa di positivo, doni al mondo la bellezza. In questo modo fai valere la tua prospettiva e porti l’unicità dei corpi, che è qualcosa di rilevante.

 

In Hijra hai raccontato il difficile rapporto con tuo padre, abba Shabbir. Qual è il rapporto che hai con lui adesso?

Un rapporto molto tranquillo, siamo molto diversi come uomini. Oggi ci vogliamo bene, è civile, c’è rispetto, ma non gli parlo delle mie ansie e dei miei problemi. Lui conosce la progettualità della mia vita, la condivide ma non c’è un racconto o un’emotività, un rapporto che, invece, ho con mia madre.  

 

Oggi sei sposato con Carlo. Come vivi l’Unione Civile e come l’ha presa la tua famiglia?

La mia famiglia lo vive tranquillamente, lo vive come una mia scelta e, come tutte le scelte, sperano che questa mi renda il più felice possibile. Questo vale sia per l’Unione civile, sia per il dottorato, sia per la scrittura. Io, invece, lo vivo come tutti, con i suoi alti e bassi, ci divertiamo, cuciniamo, ci piace mangiare, ogni tanto litighiamo. Ogni tanto pranziamo sia con i suoi, sia con la mia famiglia. Unica cosa è che da quando ci siamo sposati cucina di meno.

 

Chi vorresti essere da grande?

Vorrei essere Nascia Prandi da vecchio, uno dei miei miti italiani.

 

Su Vanity Fair hai detto di essere pronto ad avere un figlio, anzi una figlia. La vedi come una possibilità vicina?

La vedo come una possibilità vicina solo se il governo permettesse a me e al mio compagno di avere le possibilità concrete, se aiutasse i giovani a livello economico. Non ci sono le possibilità lavorative, oltre la precarietà, mancano i servizi, i nidi. Al di là del fatto che pago le stesse tasse degli etero e non posso avere figli. Eppure, abbiamo gli stessi doveri e non gli stessi diritti, nonostante la scienza dica da quaranta anni che non fa differenza, e lo dico da pedagogista. Perché allora non mi fai pagare meno tasse? Però sì, vorrei avere figli, farei io la sostituzione etnica con i piccoli Saif. E avere figli nel mondo gay è anche un privilegio di classe, perché i gay poveri, che sono la maggior parte, non possono permetterselo.

 

In Hijra parli del tuo rapporto con le spezie. Le spezie sono il legame stretto che hai con la tua amma, come qualcosa di mistico. Che è anche un legame con il Pakistan, con la tua terra di origine. Oggi il loro sapore com’è?

Le spezie sono sempre qualcosa di mistico, che va oltre i cinque sensi. Devi saperle usare, amalgamarle. Se sai utilizzarle e sai quali spezie piacciono, allora riesci a conquistare gli altri e, a livello neuroscientifico, ci sono studi che dimostrano che riesci ad avere un minimo “controllo” sulle persone, una cosa che trovo molto sensuale, quasi erotica. Oggi per me cucinare per qualcuno significa fargli passare 20 minuti per cucinare bene, per concentrarmi, mostrare l’affetto a chi voglio bene. Oggi a Bologna riesco a trovare negozi con spezie molto buone e il problema del sapore, che avevo a Belluno quando sono arrivato, viene a mancare. Le spezie commerciali non mi piacciono, sono un po’ signora dentro.

 

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Per finire, qual è il tuo rapporto con l’islam, dato che nel libro ti rivolgi ad Allah in termini femminili?  Come lo concili con l’omosessualità?

Oggi, più che ateo sono uscito dal concetto binario di scienza e di credo. Poi, sul rapporto tra islam e omosessualità c’è un grande errore. L’islam non prevede il binarismo di genere, prevede gli uomini femminili che non hanno desiderio sessuale per le donne. Davanti a loro le donne non tengono il velo e non devono abbassare lo sguardo. Ci sono interi surah che ne parlano. Poi, nella religione musulmana non esiste il concetto di orientamento sessuale, ma l’atto sessuale, dove il matrimonio serve come istituto di regolazione sociale che emancipa dal peccato e ti conferisce i diritti. I pakistani hanno spesso un’ottica occidentale, colonizzata dell’islam stesso. Oggi c’è una tendenza a rileggere l’islam a livello decoloniale.

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