Iraq, vogliono vietare la parola “omosessualità” nei media sostituendola con “devianza sessuale”

In un Iraq sempre più omobitransfobico, oggi si vota per definitre ufficialmente l'omosessualità una devianza.

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Nel luglio scorso, in Iraq, è stato presentato in Parlamento un disegno di legge che propone di vietare l’omosessualità.

Un’iniziativa che ha suscitato numerose preoccupazioni a livello internazionale, cementate anche dal fatto che recentemente la Commissione irachena per le Comunicazioni e i Media (CMC) ha annunciato l’intenzione di proibire l’uso del termine “omosessualità” nei media, sostituendolo con “devianza sessuale”.

Una decisione è stata interpretata da molti come un ulteriore regresso in materia di diritti umani e, nello specifico, per i diritti della comunità LGBTQIA+ nel paese.

La situazione in Iraq

L’Iraq, al pari di numerose altre nazioni del Medio Oriente, possiede un tessuto storico e culturale intricato, in particolare quando si affrontano questioni relative ai diritti LGBTQ+. Anche se la legge irachena non proibisce in modo esplicito le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso, esistono nel codice penale disposizioni vaghe in materia di moralità.

Queste clausole, pur non essendo specifiche, sono state frequentemente sfruttate per prendere di mira e perseguitare individui che esprimono un orientamento sessuale o un’identità di genere che si discosta dalla norma convenzionalmente accettata.

Tali disposizioni indeterminate offrono alle forze dell’ordine un’ampia libertà interpretativa, permettendo loro di infliggere pene a chiunque ritengano colpevole di aver manifestato “comportamenti immorali”.

Il potere delle parole

Le parole hanno un potere immenso. Possono elevare o sminuire, includere o escludere, celebrare o condannare. Sostituire il termine “omosessualità” con “devianza sessuale” – c’è anche una proposta per vietare la parola “gender” –  non è solo una questione semantica; è un messaggio potente e chiaro su come il governo iracheno percepisce e valuta l’omosessualità.

I mezzi di comunicazione sono fondamentali nell’orientare e plasmare l’opinione pubblica, agendo come specchi che riflettono e modellano la realtà sociale.

Quando un’autorità statale decide di imporre delle limitazioni linguistiche e tematiche sui media, essa non sta semplicemente imponendo delle regole editoriali, ma sta delineando attivamente come determinate tematiche o gruppi vengono percepiti dalla popolazione.

In una situazione come quella irachena, dove l’omosessualità potrebbe presto essere etichettata come una “devianza”, queste narrazioni distorte rischiano di avere effetti molto più deleteri di quanto pensiamo sulla comunità LGBTQ+.

Una percezione pilotata porterebbe ad esacerbare pregiudizi già esistenti, intensificando fenomeni di discriminazione, stigmatizzazione e, nella peggiore delle ipotesi, potrebbe culminare in atti di violenza e emarginazione nei confronti di tali individui.

La reazione della comunità internazionale

La decisione dell’Iraq ha naturalmente suscitato preoccupazioni a livello internazionale, con molte organizzazioni per i diritti umani che hanno espresso profonda indignazione verso il nuovo regolamento. Una restrizione linguistica che è vista come un’escalation nell’oppressione della comunità LGBTQIA+ in un paese in cui le minoranze vengono già ampiamente marginalizzate.

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johnwhite 10.8.23 - 10:25

Se vogliono possono anche parlare marziano, la realtà resterà sempre la stessa. Puoi uccidere un omosessuale, maltrattarlo a parole o a fatti, ma questo non lo rende in errore di esistere o una vera devianza. Alla fine queer non è molto lontano da devianza sessuale, dopo che lo chiami così cosa cambia? Non c'è da offendersi da chi non usa le parole con criterio.

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