Adriana Hot Couture è un brand, un progetto, un sogno nato e cresciuto a Milano. Il primo magazine a parlarne è stato Vogue America, inserendolo nel 2018 tra i “Vogueworld 100”, la lista di talenti emergenti da tutto il mondo. Proprio a Milano, prende vita l’esordio del brand grazie al collettivo Mindstream, composto da Elisa Zaccanti, Bianca Luini, Rujana Cantoni e Greta Gerardi: una performance site specific a metà tra arte e moda. Per tre mesi una vetrina commerciale alla fermata Duomo della metropolitana ha ospitato l’allestimento che veniva cambiato a rotazione. Il video con Sagg Napoli ha introdotto il mondo di Adriana Hot Couture, a seguire la partecipazione di molte altre muse amate dalla designer come La Persia.
Il brand ha reso protagonista sin dall’inizio la queer community, partecipando al Pride di Milano con un carro interamente customizzato dalla designer e successivamente nella sua prima sfilata a settembre per la Milano Fashion Week “È stato un modo per celebrare l’amore e la diversità con totale libertà creativa”. Da non perdere, l’ultimo video di Miss KETA, dove Le Ragazze di Porta Venezia sono tutte rigorosamente by Adriana Hot Couture.
Come è nato il progetto Adriana Hot Couture?
Ho sempre amato arte e moda e fin da piccola passavo ore a customizzare accessori, vestiti e oggetti. Era una necessità personale: non ho mai pensato a un lato “pubblico” del mio lavoro fino a quando nel 2015 ho conosciuto la fashion editor Elisa Zaccanti, che mi ha richiesto alcuni pezzi per i suoi editoriali su Vogue Italia. Così, ho iniziato a collaborare ai suoi servizi con delle creazioni ad hoc, e dopo alcune pubblicazioni su Vogue sono arrivate altre richieste, principalmente dall’estero: stylist come Jane How e Robbie Spencer, o artisti come Jared Leto (che ha usato i miei guanti per il suo tour europeo), o Rihanna (ho creato dei guanti per la sua campagna di SavagexFenty). Altre artiste che amo e che hanno usato i miei pezzi sono Petra Collins e Alana O’Herlihy.
Che rapporto hai con le regole del fashion system?
Ho sempre avuto un rapporto complicato con le regole: non riesco ad accettare imposizioni da persone o istituzioni che non stimo.
Per questo cerco di stare il più possibile al di fuori di queste dinamiche, cercando di percorrere una strada fluida tra arte e moda, lontana dal commerciale. Voglio provare a dar vita a un mondo, una visione, un’estetica, come se vivessi sempre dentro a uno shooting di Steven Meisel.
Mi sento più vicina a una sensibilità editoriale, dove la creatività è libera di esprimersi in tutte le sue forme.
Quali sono i canoni estetici di rifermento che ispirano questo progetto?
Per scherzo ci definiamo la “Puccio Gang”, ma c’è un enorme fondo di verità dietro a questo soprannome: quell’estetica kawaii, glitterata, rosa (insomma “pucciosa”) è davvero l’anima delle mie creazioni. Sempre unita ovviamente a un lato “weird”, dove ha spazio l’errore, il caso, l’inaspettato, cioè tutto quello che è necessariamente legato al fatto a mano, all’artigianale.
Volendo rimanere in Giappone, potremmo definirlo in una parola: wabi-sabi.
Come nascono i capi?
C’è una frase che riassume bene la genesi di tutti i miei lavori: “Minimalism is dead! Long live tacky extravagance, performative excess, artless luxury, and all forms of OPULENCE for its own sake! Long Live BAD TASTE!”
Adriana Hot Couture fra 10 anni?
Penso che la vera natura dell’arte e della moda sia reagire al contemporaneo, ed è questa particolare sensibilità che ti fa anticipare quello che accadrà poi.
Stando immersi in un flusso così veloce, non voglio né posso dire ora cosa sarà AHC tra 10 anni, ma sono sicura che nei progetti a cui stiamo lavorando in questo momento ci sono molti frammenti di quello che saremo in futuro. Sono una persona curiosa che vive di ossessioni, seguo istintivamente quello che mi piace, con un’attenzione particolare al mondo degli adolescenti.
Per esempio un po’ di mesi fa mi sono fissata con i filtri di Instagram e dopo un paio di collaborazioni con artist 3D come Nicole Ruggiero, Kovak e Visualize.mee, ho imparato a farli da sola: se una cosa mi piace mi ci butto, mi metto alla prova. È bello scoprire che non ci sono limiti: non importa se non hai budget, o una grossa organizzazione alle spalle, ormai puoi creare qualsiasi cosa da una piccola stanza in mezzo al nulla! Per me poi, è molto importante lo scambio con altri creativi, come ad esempio il fotografo Luca Anzalone, che è una grossa parte di quello che è AHC oggi.
Vedere il mondo e la community di Adriana attraverso la sua visione è un’ispirazione continua.
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