AltreMuse: sui social l’arte vive un nuovo Rinascimento – Intervista

Abbiamo intervistato AltreMuse, il collettivo social che usa l'arte per parlare dei grandi temi

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AltreMuse Gay.it
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Ogni epoca hai il suo Rinascimento, quello storico avvenuto attorno al 1500, che è arrivato a noi grazie alle opere di Botticelli, Caravaggio, Leonardo e altri artisti che hanno realizzato opere eterne è solo uno dei Rinascimenti che ha fatto parte della storia dell’uomo.

Oggi, nello specifico, stiamo vivendo un Rinascimento che non ci sarebbe potuto essere senza l’avvento dei social, in particolare di TikTok, che hanno spostato l’attenzione dalle opere ai valori.

Cosa, nel 2023, innesca un’emozione?

Una risposta a questa domanda è rappresentata dalle community di lettori che hanno iniziato a valorizzare titoli, non necessariamente di ultima uscita, che rappresentano un qualcosa.

Una ricerca analoga viene fatta oggi da collettivi social che utilizzano l’arte di oggi e di ieri per confrontarsi sui grandi temi.

Una di queste realtà è rappresentata da AltreMuse (@altremuse) che in questa intervista ci racconta perché l’arte è uno dei topos della generazione che vede nei social il suo media primario.

 

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Siete una realtà nuova che si sta facendo conoscere adesso. Vi va di presentarvi attraverso un’opera d’arte che vi rappresenta? Perché?

«Siamo un po’ megalomani e, più di un’opera, crediamo che a rappresentarci possa essere un progetto di mostra. Ci riferiamo all’esposizione l’Altra Metà dell’Avanguardia curata da Lea Vergine. Fu un’occasione dalla quale emersero aspetti inediti, “suicidati”, della storia dell’arte. La curatrice si riferiva alle mogli, le sorelle, le compagne dei molti uomini che sono entrati a gamba tesa nella storia dell’arte: queste, spesso lavorando sotto falso nome o interdette dal lavoro per non svalutare quello del consorte, erano scomparse, ringhiottite dalla storia. Vergine condusse un’indagine minuziosa: andò a inseguire, letteralmente, alcune delle poche superstiti dimenticate, raccolse faticosamente le opere e restituì così un frammento dell’arte dimenticata. Crediamo che questo progetto espositivo parli di noi, o almeno vorremmo che lo facesse, perché anche noi, a nostro modo, tentiamo di svelare punti di vista inediti da cui osservare la storia dell’arte. Perché se la porta d’ingresso alla grande storia è sempre stata la stessa per molto tempo, ciò non significa che non ne esistano altre. Il nostro non è solo un discorso vicino alla sensibilità femminista, anche se questa è innegabilmente presente: noi vogliamo aprire ingressi alternativi per permettere ad un crescente numero di persone di conoscere la porosità di questo ambito»

Ciclicamente si leggono di proteste fatte nei musei. Dal vostro punto di vista sono giuste? Perché?

«Dobbiamo dire che le proteste che a partire dalla militanza ambientalista si spostano nei musei non sono esattamente qualcosa che ci riguarda direttamente. O meglio: capiamo condividiamo e abbiamo dato spazio alle istanze dell’organizzazione Ultima Generazione- inutile girarci intorno, di loro si sta parlando – , ma anche per rispetto del loro operato non vorremmo che si confondessero le loro azioni che, ripetiamolo, sono di militanza ambientalista, con l’arte. Loro agiscono nei musei per una serie di ragioni che vanno dal bisogno di intercettare grandi pubblici all’esigenza di far capire come il patrimonio culturale non sia scindibile da quello ecologico»

 

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Il book club di TikTok ha cambiato il modo di raccontare i libri. Sta succedendo qualcosa di analogo anche nell’arte? Come i social hanno cambiato l’arte e viceversa?

«Il bookclub di TikTok abbiamo visto che è in grado di influenzare l’editoria e caldeggiare interesse per quanto riguarda la letteratura. Questo però non riguarda l’arte. Per la precisione, se volessimo calare l’azione del book club di Tik Tok all’interno del mondo dell’arte, dovremmo immaginarci spazi di conversazione e dialogo non tanto su mostre e musei, quanto più su testi rilevanti e in grado di farci apprezzare tt tre meglio ciò che l’arte ha da offrire. Ciò ovviamente avviene in misura molto minore, come è anche naturale che sia, vista e considerata la ristrettezza dell’ambito dell’arte rispetto a quello della narrativa. In Italia, c’è da dire, di arte si legge poco, e non è una cosa recente. La Francia ha una tradizione consolidata di dialogo su temi artistici che affonda le sue radici nei Salons parigini, mentre a noi questo passato manca. Questo ha fatto sì che in Francia fosse più facile “campare” con lavori culturali rispetto a quanto non lo sia in Italia. I social non colmano questo divario, ma sono ottimi strumenti pubblicitari di eventi»

Perché l’arte oggi è diventata, sempre più, un’esperienza da vivere e da raccontare sui propri social?

«L’attrattività dell’arte ha alle sue spalle molte ragioni. Una di queste, e non ce lo dobbiamo dimenticare, è che andare in un museo è ancora un simbolo di cultura che conferisce un alone di profondità, mistero e intelligenza a chi se ne appropria. O almeno questo è uno dei pensieri più diffusi. A volte, quindi, per raccontarci, essendo costretti a farlo mediante immagini, dobbiamo ricorrere a immagini che riassumano e codifichino una nostra caratteristica, o che vorremmo fosse tale. In questo senso, una foto in un museo non è molto diversa da quella scattata ad una pagina di un libro: in entrambi i casi stiamo articolando, per esempio, la nostra sensibilità introspettiva e un preciso desiderio di raccoglimento. Direi però che questo è un discorso che ha a che vedere soprattutto con musei di tipo classico: sia antichi che moderni, dal Louvre agli Uffizi. Quando si entra nell’ambito del contemporaneo le cose cambiano. Una foto scattato in un white cube è sofisticata, mentre l’immagine di noi alla Biennale ci rende complessi, a volte cinici sulle sorti dell’umanità, inintelligibili di rimando, proprio come lo sono le opere che fotografiamo. Le immagini dell’arte contemporanea ci servono per raccontare un nostro turbamento una voglia disperata di essere apprezzati per quello che non riusciamo a dire. Talvolta danno sostanza alla nostra voglia di cambiamento e sovvertimento della realtà quotidiana»

 

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Quali sono le 3 dritte d’arte che potrebbero essere utile a una persona che sta facendo un percorso di emancipazione?

«1) L’arte insegna che non conta esprimere sé stessi se, nel racconto che facciamo di quell’emozione o di quell’evento, non riesce a starci dentro anche il mondo intero. Di racconti autobiografici e onanisti è pieno il mondo, ma sono utili solo a chi li scrive. L’arte ha la pretesa, a nostro avviso giusta, di storie che sappiano essere allo stesso tempo personali e collettive.

2) L’arte insegna che non ci si può sempre permettere di essere persone solitarie. I grandi nomi della storia dell’arte non sono nati da un momento all’altro nella solitudine monastica della loro cameretta. Come è raro che, da bravi eroi romantici, gli artisti si siano spinti in avventure rocambolesche trovando per strada il loro capolavoro. Nella maggior parte di casi, la grande arte è stata frutto di collaborazione.

3) E infine che la forma è fondamentale. Il tuo messaggio artistico, o la tua storia di emancipazione, non devono per forza essere qualche cosa di rivoluzionario: a volte il modo in cui lo dici conta di più del contenuto. Il modo in cui possiamo arrivare ad una determinata idea di emancipazione può essere estremamente burrascoso e denso, mentre l’approdo può essere incredibilmente piatto e banale. Non importa. Ci sono opere che hanno trattato temi arcinoti in modi così efficaci da averceli mostrati davvero per la prima volta»

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