Arnold Schwarzenegger celebra la sua eccezionale carriera nel culturismo, cinema e politica con un’imponente monografia fotografica in due volumi, pubblicata dalla casa editrice Taschen, pubblicata il 19 luglio. Questo progetto segue di pochi giorni la sua recente docuserie su Netflix, entrambi intitolati semplicemente Arnold. “Ad Hollywood hanno imparato a pronunciare Lollobrigida, impareranno anche il mio,” ha commentato scherzosamente Schwarzenegger.
La monumentale biografia fotografica, composta da 800 pagine, presenta una vasta selezione di foto d’archivio e ritratti realizzati da rinomati maestri della fotografia che lo hanno immortalato nel corso degli anni, tra cui Avedon, Leibovitz, Erwitt, Scavullo, Ritts e Warhol. Presenti anche alcune foto dell’italiano Giampaolo Sgura.
Schwarzenegger racconta che, insieme al curatore Dian Hanson, ha impiegato dieci anni per completare quest’opera, suddividendola in quattro sezioni: l’atleta, l’attore, l’americano e l’attivista. Ironicamente, Schwarzenegger commenta: “È stato più semplice diventare Mr. Universo.”
Schwarzenegger riflette sulle sue prime esperienze nel bodybuilding, ricordando come, da giovane, appendeva i poster di Steve Reeves, l’Ercole di Cinecittà, nelle pareti della sua cameretta.
Scherzando, ricorda che sua madre chiamò un dottore pensando che potesse essere gay: “”Mia madre pensava fossi gay e mi portò dal dottore” ha spiegato la star.
Dopo il titolo di Mister Universo a soli 20 anni, riuscì finalmente a realizzare il suo sogno e si stabilì in California nel 1968, lasciandosi alle spalle un’Austria devastata dalla guerra.
Uno dei primi fotografi di Schwarzenegger, Jimmy Caruso, ricorda come Arnold avesse compreso l’importanza dell’immagine nella promozione del bodybuilding. Andy Warhol fu il primo a invitarlo alla Factory e a ritrarlo con una Polaroid (immagine di copertina del libro). Warhol lo fece anche posare per la sua rivista, Interview. Francesco Scavullo volle fotografarlo nudo, ma non completamente frontale, per un servizio su Cosmopolitan. Schwarzenegger commenta: “Ero diventato un sex symbol.” Un altro fotografo che contribuì a consacrare il suo mito fu Robert Mapplethorpe nel 1976, dando plasticità alla sua pelle, animandola come se fosse una scultura di Rodin.
La sezione dedicata ai suoi successi cinematografici copre gli anni ’80 dell’ottimismo reaganiano e dei film d’azione, da “Conan il barbaro” di John Milius a “Terminator” e alla sua collaborazione con James Cameron. Il regista rivela scherzosamente: “Con il suo accento tedesco, parlava già come una macchina.”
Con le copertine di Vanity Fair degli anni ’90, realizzate da Annie Leibovitz, maestra delle atmosfere, Schwarzenegger raggiunge l’apice del ritratto. In una copertina viene ripreso con uno sfondo alpino, in omaggio all’iconografia del Terzo Reich di Leni Riefenstahl, mentre in un’altra lo vediamo a cavallo, torace nudo, con un tocco di ironia che si riflette anche nei suoi film, da “True Lies” alla commedia “I Gemelli”.
Gli ultimi capitoli del libro sono dedicati alla sua vita politica e alle sue battaglie per la difesa dell’ambiente. Viene fotografato insieme a Greta Thunberg. Si esplora il suo periodo come governatore della California e si menziona il suo matrimonio del 1986 con Maria Shriver, erede della famiglia Kennedy, che lo ha lasciato nel 2011 a seguito di un tradimento con la governante. Tuttavia, in questa sezione, con le retoriche foto patriottiche di Nigel Parry, si rischia di trasformare il progetto in un monumento al marchio Schwarzenegger, che rappresenta anche il limite della docuserie su Netflix, giudicata da molti critici come eccessivamente autocelebrativa.
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