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Cannes: 120 Battements par Minute, il capolavoro di Robin Campillo commuove la Croisette

Si candida istantaneamente alla Palma d’Oro questo dramma sconvolgente sulla storia di Act Up, associazione d’assalto contro l’AIDS.

Cannes: 120 Battements par Minute, il capolavoro di Robin Campillo commuove la Croisette - 120 battiti al minuto�Celine Nieszawer photo7 - Gay.it
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Lacrime, singhiozzi, urletti. “Bravo!“, “Palma!“. Era infiammata la Salle Lumière del Palais per la proiezione stampa del capolavoro 120 BATTEMENTS PAR MINUTE (120 Battiti al Minuto) di Robin Campillo, già papabile per la Palma d’Oro.

Un emozionante, straziante e perturbante dramma francese sulla storia di Act Up (Aids Coalition to Unleash Power: Coalizione AIDS per scatenare il potere), associazione francese fondata nel 1987 da Larry Kramer, nota per azioni di disturbo e clamorose iniziative quali mega preservativi su obelischi parigini (Act Up – Paris) e incursioni in aziende con lanci di palloncini pieni di vernice. Uno dei loro claim è: “Noi consigliamo e informiamo. Noi dimostriamo. Non siamo silenziosi“. Di Act Up si ricordano in Italia soprattutto gli slogan “Silence = Death” (Silenzio = Morte), “Dance = Life” (Ballare = Vita), le campagne discusse per la loro organizzazione militaresca.

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La magnifica storia corale raccontata da Campillo si concentra su due esponenti dell’associazione, Sean e Nathan (Nahuel Perez Biscayart e Arnaud Valois), il cui amore assoluto prende corpo durante le sedute accalorate, le azioni di disturbo, i giri di lenzuola teneramente affettuosi, in cui i due ragazzi danno vita a un amore selvaggio, imprevedibile, eppure prudenziale, consapevole e responsabilmente irregimentato dal fatto che le cure ci sono ma non il vaccino.

120 Battements par Minute è il ritmo cardiaco medio ma anche il massimo per un bimbo di 3-4 anni: ma l’elettrocardiogramma di 120 Battiti al Minuto (sarà distribuito in Italia da Teodora) rallegrerebbe qualsiasi cardiologo. Ha infatti ritmo e tensione, non è affatto troppo lungo – due ore e venti necessarie – perché ci vuole tempo per entrare nelle complesse psicologie dei vari personaggi: c’è la bella femme Sophie (Adèle Haenel, bella e bravissima), l’anima razionalmente interventista del gruppo, combattiva e dallo spiccato senso pratico (ma la sua vita privata è in ombra: la si vede baciare una ragazza e stop); il combattivo Thibault (Antoine Reinartz) che entra nell’orbita di Sean e Jérémie.

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Non c’è nulla di compiaciuto, ‘facile’ o prolisso, in 120 Battements Par Minute: anche il Pride evita ogni carnevalata ridicola (le pon-pon girls: occhio a numero, colori e slogan!) e diventa un’occasione davvero ‘politica’ per coinvolgere la società e non divertirla come al circo. Poi si balla in discoteca, ci si diverte, ci sono i Bronski Beat che impazzano con Smalltown Boy, come in questo momento sulle Marches.

Ci sono le ‘Manif’, le manifestazioni, certo, c’è la politica, c’è il dramma di chi ha scoperto troppo tardi l’infezione (test prima possibile, non si discute!) e chi ha perso, oltre all’amore, amici, complici, amanti e famigliari (terribile la testimonianza sul padre sposato con figlio e la foto  di coppia con le devastazioni della malattia).

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Ma quando si avvicina il finale, il silenzio in sala è assoluto: è probabilmente la migliore chiusa del cinema lgbt, ma non ci diciamo altro. Secondo applauso sui titoli di coda.

Abbiamo chiesto in conferenza stampa al regista quanto l’avere avuto un’esperienza così diretta in Act Up abbia condizionato la realizzazione del film e come il suo lavoro potrebbe convincere i giovani a entrare nell’attivismo gay, come facevamo noi ai tempi di Federazione Omosessuale, di Informagay, del FUORI!. Oggi ci sono ancora Arcigay, il Mario Mieli e tante altre associazioni valide in tutt’Italia.

“Penso che sia molto difficile creare un movimento politico, l’abbiamo visto in Francia attualmente… Quando si tratta di ‘lotte’ e non di ’cause’ il coinvolgimento è alto. Lo è quando il corpo della gente è implicato nel combattimento. L’abbiamo visto con l’aborto e l’Aids. C’è il razzismo, è molto difficile mobilitare la gente anche se non so com’è la situazione in Italia, a parte che ovviamente c’è un movimento gay. Ma Act Up è molto minoritaria. C’erano comunque riunioni con 150-200 persone che si trovavano tutte le settimane. La gente non aveva scelta: per fare evolvere le cose bisognava mettersi insieme. Per questo il film non dà consigli ma vuole ricordare questo insieme di persone che non si sarebbe incontrata se non per questa epidemia. Hanno forgiato insieme un discorso, un’azione e una forza politica abbastanza forte, in realtà. Act Up ha ottenuto delle vittorie, è nata da un bisogno molto forte, incandescente”.

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120 Battements par Minute è già in pole position per una Palma Arcobaleno bellissima, a quattro anni dal trionfo de La Vie d’Adèle: se Pedro avrà bisogno di imporsi ma sceglierà un altro titolo saremo pronti a manifestare tutta la notte davanti al Palais: ma non preoccupatevi, sarà una grande, grande festa. E ve lo diciamo dopo un’evacuazione per un oggetto sospetto in Salle Debussy, prima della proiezione di Le Redoutable di Michel Hazanavicius sulla vita di un grandissimo, Jean-Luc Godard. Allarme rientrato: al contrario della minaccia Aids.

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