La crisi si porta via anche la rivista Zero, storica icona del movimento lgbt spagnolo. Nata nel 1998, da allora è sempre diretta da Miguel Ángel López. Nel numero 120, uscito ai primi di dicembre dopo quattro mesi di silenzio, il direttore si accomiata dai lettori con una lunga lettera in cui spiega le ragioni della crisi economica in cui è sprofondata la rivista.
Secondo il direttore, c’è stata una serie di cause concomitanti, «non tutte chiare», dice, che hanno portato al fallimento (tecnicamente in spagnolo si chiama “concorso di creditori”). La pubblicità – che costituiva il 90% delle entrate di una rivista che vendeva in media 50mila copie, con 80mila lettori – nel 2009 ha subito un crollo verticale. In secondo luogo, spiega il direttore amareggiato, si è aggiunta la crisi delle agenzie intermediarie che vendono la pubblicità, che hanno interrotto improvvisamente il loro servizio. Infine la crisi di liquidità, con le banche che hanno chiuso i rubinetti per le piccole e medie imprese (nonostante i generosi finanziamenti statali), «come mezzo paese sa e soffre», aggiunge.
Infine ammette degli errori: «non abbiamo saputo prevenire e gestire il cambiamento» e la crisi non ha fatto che far esplodere le contraddizioni che c’erano all’interno del gruppo che portava avanti il progetto. Un progetto ambizioso. Dare voce alla causa gay, allora ancora quasi invisibile (si partiva da “zero”), ma utilizzando le armi del mercato e della politica. Nei suoi undici anni di vita, Zero si è impegnata a difendere con le unghie e con i denti la causa gay e rendere visibile l’omosessualità, riuscendo a “tirare fuori dall’armadio” (cioè spingendo al coming out) personaggi pubblici come il giudice Fernando Grande-Marlaska della Audiencia Nacional (lo stesso tribunale per cui lavora il giudice Baltazar Garzón), il regista Alejandro Amenábar, il primo militare spagnolo dichiaratamente gay, il tenente generale dell’esercito José María Sánchez Silva o il sacerdote cattolico José Mantero, apparso in copertina sotto il virgolettato "Ringrazio Dio per essere gay”.
L’obiettivo dichiarato del direttore è sempre stato quello di fare scandalo, creare opinione e dibattito. Fu dalle sue pagine che Zapatero si impegnò con la comunità gay ad approvare il matrimonio per le persone dello stesso sesso. Ma Zero non ha esitato a ospitare anche politici come il popolare sindaco di Madrid Alberto Ruiz-Gallardón (che prometteva dalle sue colonne un cambio per il suo partito, il Partito popolare: non era vero. Ancora oggi pende il ricorso dei popolari al Tribunale costituzionale contro il matrimonio gay).
Una delle delusioni di Miguel Ángel López è stata quella di non essere mai riuscito ad aprire “l’armadio meglio chiuso” del mondo: quello del calcio. «Una causa persa», dice sconsolato López. Una volta, dicono le voci, la rivista fu sul punto di pubblicare il nome di un calciatore molto noto della serie A spagnola, ma che all’ultimo momento si tirò indietro. Evidentemente ancora scotta la triste storia di Justin Fashanu, il primo e ultimo calciatore a dichiararsi (in Inghilterra) e che finì suicida dopo essere stato ostracizzato da tutti.
La ricetta che metteva insieme sensibilità e personalità diverse, «pensiero critico e intrattenimento, parole e immagini, la comunicazione con i pubblici lgbt e quella con la società attraverso i media» (sono parole del direttore) ha fatto evidentemente il suo tempo. Il direttore chiede scusa «agli abbonati, ai lettori, alla professionalità dei molti collaboratori, cui devono ancora essere pagati gli stipendi, e alle persone, gruppi e imprese con cui abbiamo lavorato». Ma promette: «torneremo a cambiare e a creare qualcosa di nuovo, però stavolta non da zero».
Nel frattempo, con un tempismo quanto mai sospetto, viene lanciata la nuova rivista Oh my God, diretta dall’eclettico (e attraente) porno star Martín Mazza, in cui pare lavoreranno anche alcuni dei collaboratori di Zero. I primi numeri saranno distribuiti gratuitamente, poi andrà in edicola. Ma sarà tutta un’altra storia. «Oggi gli omosessuali sono ben visti dagli eterosessuali. Abbiamo i nostri diritti, le nostre leggi. Non c’è bisogno di altro fanatismo».
«Gli stessi telegiornali, che non sono diretti da gay, già ci difendono», dichiara Mazza. E ancora: «Nella mia rivista non metterò tanta politica, perché ai gay e ai cittadini la politica interessa solo il giorno del voto». Ed è di parola: l’impegnata copertina del primo numero è dedicata a Carmen Lomana, multimilionaria collezionista di moda che dice che il Gay Pride le piace perché le sembra «molto divertente» e che quello che proprio non le piace sono tutte «queste rivendicazioni furiose».
Che si tratti di una nuova fase per un paese già molto avanti? Il dubbio rimane. Basta leggere la statistica pubblicata proprio sull’ultimo Zero: nell’anno dedicato in Spagna alla diversità affettiva e sessuale nella scuola, ben il 42,7% dei bambini fra 8 e 10 anni prova “repulsione” se vede due uomini che si baciano. Fra 10 e 12 anni, il 45,9% dei ragazzi e il 43% delle ragazze se vede due omosessuali baciarsi si sente infastidito.
La strada da fare è ancora lunga, checché ne pensi il bel Mazza.
di Luca Tancredi Barone
© Riproduzione Riservata