Legend, arrivano i gemelli gangster londinesi, i fratelli Kray: sono Tom Hardy … e Tom Hardy! Nelle sale italiane arrivano anche “Sufragette“, “I Regali Da Uno Sconosciuto” e “Room“, con la vincitrice dell’Oscar 2016 come miglior attrice, Brie Larson.
Non è ancora una superstar, non ha sfondato realmente a Hollywood, non fa parte del sistema Supercinema americano nonostante la prima nomination agli Oscar per il brutale cacciatore del virtuosistico Revenant: è il bellissimo, tosto e maledetto trentottenne britannico Tom Hardy, criminale top nel geniale Bronson di Nicholas Winding Refn, il manager chiuso in un auto nel claustrofobico Locke, il temibile Max Rockatansky nell’adrenalinico Mad Max: Fury Road.
Eccolo duplicato nel noir Legend di Brian Helgeland tratto dalla storia vera dei famigerati gangsters Kray, i gemelli omozigoti Reggie e Ronnie. Faccia da schiaffi, pericolosissimi, sciupafemmine, conquistarono negli anni ’60 il cuore di Londra partendo dall’East End tra omicidi, ricatti (Ronnie riprendeva con telecamere nascoste i potenti che partecipavano alle sue orge) e follia allo stato puro (sempre Ronnie, gay a differenza del fratello, morì schizofrenico in un ospedale psichiatrico). Personaggi estremi perfetti per il talento camaleontico e sfrenatamente pulsionale di Tom Hardy che sembra dialogare con se stesso come sul palco di Bronson, in una sorta di dissociazione creativa volta all’estrinsecazione del Male, declinato questa volta in associazione a delinquere col gemellino separato da dieci minuti, alla nascita. Specchio del reame criminale della Londra non ancora swinging, e specchio delle brame di due gangsters davanti a cui s’inchinavano i potenti, grazie anche alle fotografie raffinate del grande David Bailey.
“Abbiamo testato vari look – spiega l’artista del make-up Christine Blundell – ma non c’era tempo per costruire protesi troppo complicate. Abbiamo dovuto fare quasi tutto all’interno dei nostri dipartimenti. Una parrucca che gli alza il viso, le cui guance sono state cosparse di cipria, è stata utilizzata per Ronnie”.
Tom Hardy si arrabbiò durante l’ultimo Toronto Film Festival perché un giornalista gli chiese pubblicamente se fosse gay: l’attore aveva dichiarato in passato di aver avuto rapporti omosessuali da giovane.
Suffragette, le prime femministe con Meryl Streep come leader, la rivoluzionaria Emmeline Pankhurst
Cinema civile, corretto e con una Meryl Streep che fa solo il cameo della leader femminista Emmeline Pankhurst ma resta impressa (e come non potrebbe!), il discreto Suffragette di Sarah Gavron racconta la storia del primo movimento femminista dal punto di vista di una giovane lavandaia, Maud (Carey Mulligan) sposata con un collega, Sonny (l’attore gay Ben Whishaw) e con un figlioletto adorato, George (Michael Adam Dodd). Ma quando Maud mette a rischio il lavoro e il suo stesso matrimonio unendosi alle Suffragette, rischierà di perdere il figlio. Nel cast ci sono anche Helena Bonham Carter e Brendan Gleeson, ma a spiccare tra i maschi è sicuramente Whishaw.
“Ben Whishaw è un attore con cui avevo sempre desiderato lavorare – rivela la regista – Sonny avrebbe potuto risultare uno stereotipo e invece non lo è. È un uomo prigioniero delle convenzioni del suo tempo. Ci sono cose che ritiene di essere tenuto a fare, malgrado le trovi devastanti sul piano emotivo”.
Lo stalker sotto casa, che paura! Quali sono I Regali Da Uno Sconosciuto – The Gift?
Opera prima dell’attore Joel Edgerton anche sceneggiatore e protagonista, girato in 23 giorni, è un horror con meccanismo ad orologeria paranoica e plot alla Eli Roth: un amico, tale Gordo – proprio Edgerton – si dice ex compagno delle superiori del marito Simon (Jason Bateman) di una designer d’interni depressa (Rebecca Hall), tornato a vivere con lui nella casa d’infanzia a Los Angeles. Costui deposita davanti a casa vari regali, s’insinua in casa, diventa un pericoloso stalker in quella che diventa una trappola per topi da cui riuscire a fuggire. A un certo punto, sul frigorifero di casa, appare la parola ‘weirdo’, ‘strano‘, e la situazione inizia a precipitare. Per intenditori in cerca di brivido, rassicurati però sotto le coperte di divano o letto di casa.
La rivelazione Brie Larson, premio Oscar, è la mamma protettiva del claustrofobico Room
Discreto thriller psico-topologico vagamente gender che ha consegnato alla semisconosciuta Brie Larson un Oscar per la migliore interpretazione femminile (non eccezionale ma intelligentemente giocata in sottrazione), vede una mamma, Ma, prigioniera da sette anni in una stanza, insieme al figlioletto Jack (Jacob Tremblay) di cinque. Jack sembra una bimbetta, ha i capelli lunghi e modi delicati, non è mai uscito dalla camera, non ha mai visto il mondo esterno e la sua unica paura è l’ombra del Vecchio Nick, il carceriere, che vede di notte tra le ante dell’armadio in cui la mamma lo chiude. Ma escogita un piano per fuggire – impossibile non pensare al caso dell’austriaca Natascha Kampusch, da cui però è stato tratto il film 3096, come i giorni di prigionia – e deve cercare il modo per far capire al figlio che esiste un ‘nuovo mondo’, non privo di insidie, in cui andranno a vivere, riducendo al massimo l’inevitabile trauma psicologico. Nonostante qualche ellissi di sceneggiatura piuttosto incongrua (che fine fa Old Nick?) e una spiccia semplificazione del disagio di Ma (non sembra molto provata, nonostante la lunga prigionia), Room si dimostra sufficientemente avvincente, soprattutto nella prima parte, in grado di ricreare nella stanza un intero mondo, dal punto di vista del piccolo Jack, abitato dalla fantasia e dall’immaginazione, in cui gli oggetti diventano ‘personaggi’ a cui rivolgersi direttamente.
Fate un lungo sospiro, poi andate al cinema.
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