Corridoi umanitari in Ucraina per la comunità LGBTQ+: a che punto siamo?

La comunità LGBTQ+ si trova - come in molti si aspettavano - in estrema difficoltà durante la fuga dall'Ucraina. ONG e attivisti sui social media organizzano corridoi umanitari ad hoc, ostacolati da un sistema di supporto non adeguato per le minoranze vulnerabili.

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A seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – che ha dato vita all’esodo di milioni di persone nei paesi vicini – il Ministro Polacco per gli affari esteri ha espresso la propria solidarietà con un tweet:

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La dichiarazione è molto accurata: la guerra sta effettivamente avendo un impatto su tutti i cittadini ucraini, ma non nello stesso modo. I 4.3 milioni di rifugiati che hanno lasciato l’Ucraina e i 7.1 milioni di cittadini sfollati hanno esperienze simili ma uniche.
Diversi studi hanno dimostrato come gli appartenenti alla comunità LGBTQ+ sono alcuni dei più fragili in eventi catastrofici come questo, perché i gruppi marginalizzati subiscono discriminazioni anche in momenti di crisi come questo.

Come far parte della comunità LGBTQ+ impatta su un rifugiato

Le persone LGBTQ+ e gli attivisti che hanno tentato di attirare l’attenzione quando la Russia aveva appena mosso i primi passi in territorio Ucraino sono stati aspramente criticati. In molti si sono chiesti quale fosse il nesso tra diritti LGBTQ+ e guerra.

Tuttavia, spesso sorvoliamo sul fatto che sono atteggiamenti come questo che danno vita a disastri. Del resto, è stato proprio il Presidente russo Vladimir Putin a giustificare l’invasione dell’Ucraina, sostenendo che essa si era troppo staccata dallo schema di valori tradizionali adottando comportamenti contro natura. Non è un segreto che in parte si riferisse alla comunità LGBTQ+.

Intanto, gli studi dimostrano che – oltre a tutte le difficoltà portate dalla condizione di rifugiate – le persone LGBTQ+ devono anche andare incontro a una combinazione di xenofobia, omobitransfobia e sfruttamento che potrebbe avere un impatto estremamente negativo sul loro percorso e il loro processo di adattamento nei paesi di destinazione.

Tantissime persone queer evitano di dichiararsi tali per paura dei pregiudizi.

La vulnerabilità dei rifugiati Ucraini appartenenti alla comunità LGBTQ+

In realtà, la comunità LGBTQ+ in Ucraina lascia una situazione precaria per trovarsi in una ancora più altalenante. Sebbene l’omosessualità sia legale in Ucraina, il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è riconosciuto, e le terapie di conversione non sono ancora state bandite.

Dal punto di vista della transessualità la situazione è molto simile a quella italiana: le persone trans sono riconosciute e accettate a livello legale dal 2017, ma devono seguire un lungo e complesso percorso psichiatrico e burocratico prima di raggiungere l’obiettivo.

Secondo una ricerca del Pew Research Center’s 2019 Global Attitudes Survey, il 69% degli ucraini ha dichiarato che l’omosessualità non dovrebbe essere accettata, e in generale le no profit in ambito LGBTQ+ definiscono l’Ucraina decisamente indietro rispetto ad altri paesi europei sulle questioni LGBTQ+.

A prescindere da questo, tuttavia, tantissimi appartenenti alla comunità LGBTQ+ si sono uniti a titolo volontario alla milizia civile di difesa, sperando che questo possa contribuire ad abbattere i pregiudizi.

Chi invece ha deciso di fuggire va incontro a grossi rischi: secondo diversi studi la comunità LGBTQ+ è storicamente vittima di attacchi e discriminazioni in situazioni come questa, perché l’impossibilità di far valere i propri diritti non fa che esacerbare l’atteggiamento discriminatorio di chi accoglie.

Il rischio viene amplificato anche dall’impossibilità di scegliere dove rifugiarsi, con la possibilità di trovarsi in un paese poco accogliente o in una regione sicura ma ostile dell’Ucraina.

La popolazione trans ad esempio è stata respinta o maltrattata diverse volte dalla polizia. Attivisti e volontari hanno riportato che donne e uomini trans, e persone non binarie sono state molestate o è stato vietato loro di passare la frontiera. In un intervista al Guardian, una donna trans ha riferito che – sebbene sul certificato di nascita ci fosse effettivamente scritto donna – le guardie di frontiera l’hanno perquisita ed etichettata incorrettamente come uomo, impedendole di passare.

Alcune donne trans hanno invece riferito di aver paura a lasciare l’Ucraina, perché le guardie di frontiera potrebbero addirittura costringerle a unirsi all’esercito se sui documenti c’è ancora riportato il genere maschile. La ONG europea TGEU ha dichiarato di temere concretamente che migliaia di persone transessuali siano letteralmente intrappolate in Ucraina.

Tuttavia, non se la passa bene neanche chi è riuscito a fuggire: al di là della frontiera, i rifugiati LGBTQ+ potrebbero andare incontro a discriminazioni da parte dei paesi con leggi anti-gay, come la Polonia e l’Ungheria. In Polonia, ad esempio, più di 100 comuni hanno passato una legge che stabilisce zone “LGBTQ+ free”.

Un sistema di aiuti che non supporta le minoranze

Storicamente, il sistema di supporto alle vittime di grandi crisi umanitarie è sviluppato per difendere strutture familiari eterosessuali e cisgender, con donne e bambini definiti come unica popolazione vulnerabile.

Il che potrebbe far sì che altre comunità fragili e ad alto rischio come la comunità LGBTQ+ vengano lasciate da parte. Ad esempio, le carte d’identità potrebbero non venire riconosciute, le persone potrebbero non avere accesso agli aiuti perché non contano come “famiglie”.

Queste esclusioni sistematiche e falle nella legislazione di alcuni paesi potrebbero addirittura essere più dannose delle leggi dichiaratamente anti-LGBTQ, perché renderebbero i rifugiati appartenenti alla categoria completamente invisibili.

Gli appartenenti alla comunità LGBTQ+ vengono spesso lasciati fuori dalle legislazioni di emergenza. Ad esempio, le organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, Medici Senza Frontiere e UNICEF hanno enfatizzato e risposto alle disuguaglianze di genere riscontrate in periodo di pandemia, ma hanno lasciato le minoranze fuori dalla discussione.

I corridoi umanitari LGBTQ+ in Ucraina partono da ONG e social media

A oggi, tantissime persone e gruppi hanno fatto fronte comune per aiutare i rifugiati LGBTQ+ a fuggire dall’Ucraina. ILGA-Europe e TGEU hanno messo insieme gruppi di supporto in Ucraina, Polonia e Germania per aiutare i rifugiati queer.

ONG locali come Trans*Generation, HPLGBT e Safebow si stanno invece occupando di aiutare i gruppi marginalizzati ad attraversare la frontiera. Secondo un recente rapporto proprio di Safebow, oltre 4000 persone appartenenti a minoranze – comunità LGBTQ+, persone di colore, bambini, anziani e persone affette da disabilità – sono riuscite a superare la frontiera proprio grazie alle organizzazioni umanitarie.

Rain Dove, attivista in prima linea su questo fronte, ha dichiarato di essere statǝ recentemente arrestatǝ in Polonia dopo aver aiutato una donna trans e autistica e un uomo gay positivo all’HIV a scappare dall’Ucraina. Tantissimi stanno inoltre supportando i rifugiati LGBTQ+ organizzandosi sui social per fornire aiuti, spazi sicuri e supporto individuale.

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Ad esempio, la popolare app per incontri gay Romeo ha recentemente modificato il proprio servizio per aiutare i rifugiati Ucraini LGBTQ+ a trovare alloggi sicuri in giro per l’Europa.

Con questo articolo non stiamo dicendo che la comunità LGBTQ+ sia la sola minoranza vulnerabile in questa situazione: migranti e persone di colore stanno avendo le stesse difficoltà nel ricercare asilo. È proprio per questo che urge una movimentazione dal basso per supportare tutte le minoranze che in questo momento hanno bisogno di fuggire in un luogo sicuro.

 

Foto di Alessio Mamo da The Guardian che rappresenta Judis, una ragazza transgender intrappolata in Ucraina. 

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