Non saprei dire se la canzone “Fuoco di paglia” di Mace con Marco Mengoni, Gemitaiz e Fra’ Quintale sia la canzone più bella del nuovo album di Mace. È certamente quella che ascolto a manetta. E a dirla tutta non sapevo di attendere da tempo un brano funk-soul contemporaneo arrangiato da Mace con la voce di Mengoni. È una specie di canzone perfetta. Dopo due ore che non l’ascolti, devi riprendere in mano il telefono e cliccare nuovamente il tuo spotify a manetta e suonarla di nuovo. E ancora, e ancora, qui chiusa nella mia vestaglia!
“MAYA” è già senza alcun dubbio il progetto discografico italiano dell’anno. Che album clamoroso (prendi gli anni ’70 e usali per fare brani urban di oggi: chapeau Mace, che l’universo ti abbia in gloria!). Tuttavia, qui e ora, non vogliamo parlare di come Mace (nome Simone Benassi) sia riuscito ancora una volta a surfare l’onda dello strapotere dei producer per farla diventare opportunità artistica collettiva.
{MAYA in fondo è questo: un manifesto di rara bellezza, farcito di estetismi musicali da svenire (ascoltatevi il brano con quel dio di Marco Castello, per dire) che ci dice come sia cambiata la discografia, grazie ad artisti che imprimono ai brani il proprio sound. È un palcoscenico inedito, sul quale da tempo godiamo già delle prelibatezze di Dardust e su cui si è affacciato anche Michelangelo – per citare, insieme allo stesso Mace, gli altri due producer che in qualche modo sono già star: ma altrə ce ne sono e moltə altrə ne arriveranno, olè!}
Ebbene, in questa canzone bellissima tratta da un album epocale, c’è pure un piccolo passaggio (mica tanto piccolo: è il ritornello!) che fa la storia del nostro guerriero. Un verso che piacerà a tuttə noi povere anime queer, da illo tempore svenevoli e svenute ai piedi di quel travolgente turbine di emozioni, che all’anagrafe di Ronciglione hanno iscritto con nome e cognome di Marco Mengoni (noi, strepitanti fin da quando se la doveva vedere con Morgan a X-factor, per intenderci). Dopo aver sventolato bandiere Pride progress ad Eurovision 23, dopo non averla mandata a dire dal palco di Sanremo 2024 – Sì, sono antifascista, disse il nostro in conferenza stampa, frase che in questa Italietta fascistoide pare ormai una specie di oltraggio alla morale (nera) – , dopo la difesa delle famiglie arcobaleno dal palco di Padova, dopo l’attacco alla presidente di destra, dopo la premiazione di Donatella Versace, Mengoni approda alla congiunzione tra proposizione artistica e sincerità di messaggio. E finalmente, dopo le insinuazioni della storia con Mahmood e l’outing (vabbè) di Dagostino e Gomez, e dopo tante canzoni con una lei, ed altre con suffissi neutri, questa volta Marco la canta papale, e parla a un amore, e quest’amore ha desinenza maschile. “Da quando sei arrivato tu“, e poi quel tu che si fonde con tutto che diventa “un fuoco di paglia“. È una strofa apparentemente frivola: una vestaglia indossata per proteggersi poi da chissà cosa (da un granello di sabbia), ché poi tanto sei arrivato tu ed è tutto un fuoco di paglia con cui – giusto il tempo di dire qualcosa – e subito mi scotto (le labbra). Una vocale, una “o” per dire tutto, in questi tempi di manifesti sbandierati per fare notizia, Mengoni vola questa volta senza clamore, senza sbandieramenti. Nel solco di un percorso artistico in cui tuttə noi cresciamo. Insieme.
ritornello di “Un fuoco di paglia” di Mace, con Marco Mengoni, Fra Quintale e Gemitaiz (dall’album MAYA)
Ma che senso ho io, io, io
Chiuso nella mia vestaglia?
Ma da cosa mi protegge?
Ma da cosa mi protegge?
Da un granello di sabbia (Uh-uh)
Da quando sei arrivato tu
Tu’, tu’, tu’, tutto è un fuoco di paglia
E ogni tanto provo a dirtelo
Ogni tanto provo a dirtelo
E mi scotto le labbra
Aggiornamento: arriva un brano di Angelina Mango featuring Marco Mengoni! Ne ha dato notizia in anteprima il collega Corbo proprio qui su Gay.it >
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Definire qualcosa un fuoco di paglia significa non dargli importanza. Non mi sembra un modo per dare valore a qualcosa...
Non sono le canzoni che cambieranno le ode