Hanno quindici anni tutti e cinque, e sono compagni di scuola. Frequentano un liceo della provincia italiana, in un quartiere popolare e difficile. C’è Carla, detta Puttana perché bacia tutti e non la dà a nessuno, in cerca del mitologico “Sesso Senza Limiti”, che poi altro non è che un sinonimo disilluso di “amore.” C’è Enrico Cervello Bruciato, che si ammazza di canne e non disdegna le pastiglie, e forse spaccia pure, chissà, in fuga continua da una realtà durissima. C’è Graziano Scarpe Strette, che ha mani e piedi troppo grandi per colpa di un ormone impazzito, e non vuole curarsi perché tanto è tutto inutile. C’è Teresa Gambe a Fiori, che a casa si prende un sacco di botte, e nasconde i lividi trasformandoli coi pennarelli in disegni colorati.
E c’è Checco detto Finocchio, genio matematico in erba, amante dei cani, in pace con la propria sessualità molto più di quanto lo siano quelli intorno a lui. “Come Checco detto Finocchio si salvò” racconta un breve periodo della loro giovinezza da outsider, segnato da guai di ogni sorta, scontri anche violenti con i coetanei e addirittura problemi con la giustizia. Traversie da ragazzini, certo, ma enormi per portata emotiva e conseguenze sulla formazione della personalità, il cui superamento rinsalderà per la vita rapporti già importanti nel tempo epico dell’adolescenza.
A raccontare la storia in flashback è Carla, ormai adulta, con il controcanto dell’ex preside, che nel libro rappresenta una delle poche figure non adolescenti realmente illuminate. Gli altri adulti ricordano quelli dei Peanuts: assenti, deboli, problematici, simili a indecifrabili voci fuori campo, capaci di imporsi, verbalmente o fisicamente, ma non di ascoltare, e men che meno di capire. Fanno anche loro parte di “Tutto Quello”, la formula sintetica nella quale i giovani protagonisti riassumono l’ostilità del mondo. La salvezza e il riscatto, come suggerito dal titolo, alla fine arriveranno, seppur faticosamente conquistati. E arriveranno soprattutto grazie al preside, uomo disposto al tentativo di salvare anche chi all’apparenza non vuole essere salvato, capace di mettersi in discussione e formulare un pensiero come “Non ero io a dover contare su di loro, ma loro a dover e poter contare su di me. A fidarsi di me. Di noi. Di noi adulti.”
È un libro molto interessante, questo di Fanucci, innanzitutto perché ci ricorda come la letteratura per ragazzi possa essere fonte di grandi sorprese. Nel linguaggio, che qui è straordinariamente fresco, attuale e verosimile, oltre che duro quanto basta. Nei temi affrontati, e va detto che in questo libro non manca davvero nulla: amicizia, amore, droghe, sesso, violenza; problemi adulti filtrati attraverso una fragilità da ragazzini, tratteggiati in modo sempre sobrio e credibile, con interessanti intuizioni (“La scuola. Il mondo conosciuto, stabile, che nella sua imperfezione ci dava il rifugio. Poteva succedere qualsiasi cosa, ma là dentro trovavi un posto dove sederti, qualcuno che ti chiamava per nome, che pretendeva sapessi i congiuntivi, che ti guardava mentre camminavi e mentre prendevi la penna e ti chiedeva se avevi capito; a volte ti rimproverava e altre ti guardava quasi con tenerezza. E questo, ogni giorno, per ogni settimana, per nove mesi all’anno. E poi si ricominciava. E ci si poteva sentire al sicuro, protetti da una serie di regole con l’odore di quasi eterno.”), qualche valida trovata stilistica e anche alcune punte di lirismo. Ed è bello, addirittura rincuorante pensare che i lettori-target della collana “Teens”, cui il libro appartiene, si ritroveranno davanti un personaggio gay perfettamente equiparato agli altri, il cui orientamento sessuale è un dettaglio tra i tanti, non di certo il più importante.
di Matteo Colombo
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