“Drag Off the Stigma”, Enorma Jean racconta la sua sieropositività: “Non bisogna sentirsi soli” – Intervista Video

Trascinare via lo stigma attorno all’Hiv: Enorma Jean racconta a Gay.it la sua storia

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Enorma Jean Drag Off the Stigma Gay.it
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Sono passati più di trent’anni dall’inizio dell’epidemia di Hiv e, nonostante gli enormi passi avanti fatti in campo medico e in termini di sensibilizzazione, lo stigma attorno a questa malattia che ha causato la morte di migliaia di persone e decimato la comunità LGBTQ+ negli anni Novanta esiste ancora. Forse non viene più chiamata “la malattia dei gay”, ma un po’ di discriminazione, di pregiudizio e di giudizi vengono ancora fuori quando una persona dice di essere sieropositiva.

Drag Off the Stigma” perché lo stigma va trascinato via una volta per tutte e per farlo è necessario continuare a parlarne apertamente, continuare a spiegare che con questa malattia oggi si può convivere, continuare a ripetere che solo aiutandosi e sostenendosi a vicenda è possibile andare oltre i pregiudizi. E abbiamo tentato di farlo parlando con alcunə artistə e performer che hanno usato le loro piattaforme per parlare anche di sieropositività attraverso la loro esperienza.

Enorma Jean Drag Off the Stigma Gay.it
Enorma Jean, creazione di Davide Gatto, è una performer drag queen milanese

Unə di queste è Enorma Jean (@enorma_jean_official), personaggio drag creato da Davide Gatto che, durante la sua partecipazione a Drag Race Italia, ha parlato pubblicamente della sua sieropositività. Abbiamo incontrato Enorma al Mondans 87, locale milanese nella zona delle colonne di San Lorenzo dove ogni mercoledì sera intrattiene il pubblico tra karaoke e cabaret. In una lunga chiacchierata, Enorma Jean ci ha raccontato della sua nascita, del suo viaggio dalla scoperta della diagnosi fino ad oggi e di tutto quello che è cambiato nel frattempo.

Non è sempre facile parlarne e l’emozione si fa sentire, ogni tanto Davide ed Enorma si sovrappongono e non si distinguono più, l’uno e l’altra si intercambiano a parlare perché, come ci racconta, l’esperienza della diagnosi è talmente totalizzante che segna nel profondo. Ma l’importante, ci ripete Enorma, è andare avanti.

 

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Come nasce Enorma Jean?

Enorma nasce per una frustrazione di Davide e da una crisi dei quarant’anni. Sentivo la voglia di fare quello che non mi ero mai permesso di fare quando ero giovane, essendo nato nel 900 e quindi in un’altra epoca. Mi sono iscritto a un corso teatrale perché volevo essere un artigiano di giorno e un’attrice di sera. Mi sono iscritto a questo gruppo, a questo laboratorio teatrale delle Nina’s, che è un collettivo che fa trasposizioni di opere impegnate con la leggerezza delle drag. Nella mia mente Enorma era la madre nobile a teatro, quindi la vecchia col capello bianco che rompe le palle o da consigli. Finché le altre colleghe non mi hanno scoperto, non mi hanno detto che non ero così vecchia come pensavo e come volevo essere, che avevo delle splendide gambe. E mi hanno buttato nei concorsi dopo pochi anni dalla mia nascita.

Da lì è arrivato anche il successo?

Ho vinto un titolo nazionale molto importante al Gay Village a Roma. Era il Drag Factor e da lì mi sono sentita un po’ più a mio agio per poter sperimentare con me stessa. È stato sicuramente un percorso personale perché ho sempre pensato con la mia testa e ho sempre fatto le mie scelte, ho sempre seguito la mia strada e sono stata chiamata da Drag Race. Effettivamente essere andato a Drag Race mi ha dato più visibilità e anche molte più responsabilità, nel senso che devo stare più attenta a quello che dico. Non nel senso che mi devo filtrare: devo dare ancora più senso e contenuto e verità alle parole che mi escono dalla bocca.

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Enorma Jean al Drag Factor 2017

Come è cambiata la percezione del mondo drag?

La percezione del mondo drag rispetto a dieci anni fa è decisamente cambiata, nel senso che si è democratizzata, anche a livello anagrafico. Si è democratizzata anche perché prima c’erano dei paletti che adesso non ci sono più, pur essendo io una donna di una certa età – nel senso che ne ho 46 e morirò a 46 anni – sono molto giovane, perché sono comunque sei anni che lo faccio. Io dico sempre che sono la più giovane delle vecchie e la più vecchia delle giovani. Quando ho iniziato io, qui in Italia ad esempio le drag erano solo degli uomini cisgender che si travestivano da donna e quindi era assolutamente importante e vitale questo passo di cambio di genere.

Il fatto che il drag sia oramai abbracciato da tutti, tutte e tutt*, vuol dire che anche le drag della vecchia scuola si sono dovute interrogare. Prima di tutto è stato un adeguarsi ai tempi: adesso la drag non è più solo l’uomo che si trasforma, è la donna che vuole essere viva o la donna transgender. Non è più solo la persona, ma è una disciplina e quindi sotto questo punto di vista è sicuramente più democratica di prima. È anche più accessibile in termini di costo, nel senso che effettivamente tutti scopriamo che essere delle belle donne ha un costo. Però è un po’ alla portata di tutti, ci sono molti tutorial su YouTube e su Instagram. Sui social c’è sempre questo discorso continuativo, quindi penso che effettivamente chi vuole intraprendere quest’arte ha tutta una serie di fonti che prima non c’erano.

Enorma Jean Drag Off the Stigma Gay.it
Davide Gatto, aka Enorma Jean

Hai parlato pubblicamente per la prima volta della tua sieropositività all’interno di Drag Race Italia, come sei arrivata a quel punto?

Io ho parlato pubblicamente della mia sieropositività all’interno di un programma come Drag Race e l’ho fatto sicuramente da privilegiato, privilegiato e privilegiata, nel senso che non tutti hanno la fortuna… non è solo una questione di coraggio, è proprio la fortuna di poterlo dire senza pensare alle conseguenze. Io tendo sempre a sottolineare che non sono entrato a Drag Race perché sieropositivo. I provini erano già terminati, ero già all’interno della trasmissione, dovevamo iniziare a registrare e quando ci siamo mosse tutte verso Roma, dove erano gli studi, ovviamente c’erano delle regole da rispettare. All’interno delle regole c’era anche di dichiarare quali medicinali ti portavi dietro, quindi ho dichiarato che ero in terapia antiretrovirale. Insieme agli autori si è parlato dell’opportunità di parlare di sieropositività all’interno del programma. Una cosa molto bella.

In parte avevi anche criticato gli autori del programma…

Io spesso ho parlato male di questi autori ma non hanno fatto solo robe orrende. Mi ricordo in particolare di Susanna Blattler, che quando l’ha saputo mi ha detto: «Guarda, prenditi qualche giorno, parlane con il tuo compagno e vedete», io vivo in una relazione stabile da 16 anni, «vedete se per voi due è il caso di rendere pubblico il fatto che tu sei sieropositivo e che vivi all’interno di una relazione sierodiscordante». Il che significa che il mio compagno invece è negativo. Ne abbiamo parlato, ne abbiamo discusso, e il mio compagno era assolutamente a favore. Però ho avuto la fortuna di vivere con il neozelandese da genitori inglesi che rispetto a un certo tipo di tematiche ha una visione molto più moderna e scevra di preconcetti, rispetto a molti italiani.

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Enorma Jean ha parlato pubblicamente della sua sieropositività a Drag Race Italia

Cosa è cambiato dopo che hai fatto “coming out” come persona sieropositiva?

Per me è stata una chiamata alle armi. Ho sempre detto che essere drag è prendere una posizione politica: drag è politica ed è politica anche parlare di problemi che toccano la comunità e di problemi di cui la comunità stessa a volte ha paura di parlare. Il fatto di essere una minorità all’interno di una minoranza, sotto questo punto di vista mi ha reso più determinata. Per me è assolutamente importante comunicare il fatto che io assolutamente non ho avuto potere sull’editing di quello che è stato il mio coming out come persona sieropositiva. Fa parte delle dinamiche televisive della trasmissione dare un taglio drammatico, togliendo secondo me quello che era il messaggio importante dietro quel pianto che tutti hanno visto.

Quando ho scoperto di essere sieropositivo ero già in una relazione stabile col mio compagno da un anno e quindi ogni volta che ripenso al momento della diagnosi, rivivo il terrore di aver anche solo pensato di averlo potuto contagiare, da una parte; dall’altra anche il terrore dell’eventualità, dopo un anno di relazione, di perdere quello che per me era l’amore della mia vita. Ripeto, sono stato un privilegiato perché l’ho scoperto all’interno di una relazione con una persona che si è subito testata, ha assolutamente avuto bisogno delle sue quarantottore per tentare di capire come gestire il suo futuro, però non mi ha mai abbandonato e quando una persona ha una fortuna del genere, a maggior ragione ha anche la responsabilità di non aver paura.

 

 

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Vediamo tutti che nel corso degli anni sono stati fatti enormi passi avanti in questo senso, però un certo stigma attorno alla malattia e alle persone affette da HIV esiste ancora. Avevi paura dei pregiudizi delle persone quando hai scoperto la diagnosi?

L’epidemia di Hiv-AIDS inizia in Italia nel 1984, quando io avevo 9 anni. Si è sviluppata tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, quando io ero in età puberale e poi assolutamente in giovinezza, quindi io avevo interiorizzato uno stigma, una paura, che è normale, soprattutto quando sul tema c’è tanta disinformazione e tanta ignoranza. Ho scoperto di essere sieropositivo come Davide nel 2010, sono entrato in terapia nel 2012 e sì, rispetto a quella che era la situazione negli anni Novanta, tra il 2007 e il 2010 stava migliorando. Forse non era cambiata dopo il mio coming out ma ho avuto la fortuna di ricevere messaggi da persone che non hanno avuto il privilegio di potersi dichiarare come persone positive e che hanno vissuto a pelle degli stigmi importanti. Questa roba mi tocca davvero tanto nel profondo perché mi rendo conto che per la comunità sono diventata un po’ come la madre comprensiva e questa cosa mi riempie di responsabilità e di amore. È un tipo di comprensione e di empatia che prima non avevo.

Poi cosa è successo?

Ho avuto la fortuna da subito di affidarmi a delle associazioni che lavorano con i sieropositivi sul territorio da anni perché per me era assolutamente importante cosa dire, come dirlo e che tutti i messaggi che passavo avessero una valenza scientifica. Sotto questo punto di vista ho trovato nel Milano Checkpoint, che è un’associazione in cui mi pregio di far volontariato, non solo una famiglia ma un ufficio stampa importante rispetto a tutta quella che è la tematica della sieropositività. Da una parte non bisogna passare il messaggio che, visto che ci sono delle terapie retrovirali che azzerano la carica virale, se tu sei in terapia non hai la possibilità né di trasmetterlo né di riprenderlo: il fatto che uno sia entrato in contatto con l’Hiv non vuol dire che non possa entrare in contatto magari con un ceppo diverso una seconda volta. Quindi lungi da me il messaggio del “Oh, liberi tutti”. Si può convivere, nel senso che ci vuole assolutamente attenzione in tutti quelli che sono i comportamenti sessuali, anche se io sono assolutamente per avere una vita sessuale attiva, però testarsi regolarmente è una cosa che elimina il rischio, soprattutto quando si riesce a capire subito dall’inizio e si riesce ad aggredire il virus appena si entra in contatto.

 

 

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È importante parlarne liberamente, cosa bisogna fare quindi?

Esistono due tipi di protocolli, per il pre-contatto e per il post-contatto. Basta andare dal virologo e chiedere. Per me, che sono un po’ una zia vecchia, iniziare a conoscere e a parlare di queste cose, a parlare coi giovani… anche del “chemsex”. È una cosa che non ho mai fatto ma anche io ho dovuto abbattere una serie di pregiudizi e questo è meraviglioso, perché passa il messaggio che non è vero che i cani vecchi non possono imparare i trucchi nuovi. Non si finisce mai di imparare. Anche le vecchie come me, le vecchie cariatidi, riescono ad aprire gli orizzonti e ad abbattere gli stigmi. Io, l’unica cosa che voglio è vivere la mia vita in maniera tranquilla, aperta, senza segreti. Non dico di voler essere un esempio, perché gli scheletri nell’armadio ce li abbiamo tutti, però forse sono i miei scheletri nell’armadio che mi rendono umana. Se si ha paura va bene, ma il nemico non è la paura. Il nemico è l’ignoranza. Sul territorio, soprattutto la comunità LGBTQIA+ ha tutta una serie di strumenti che può utilizzare e ci sono tutta una serie di consultori, basta anche l’uso dei social per informarsi e parlarne. È importante passare un messaggio di questo tipo, rimanendo me stessa.

Qual è il messaggio che vorresti passare alle persone che scoprono di essere positive ma non possono dirlo?

Il messaggio che vorrei passare alle persone che scoprono di essere positive ma non hanno la fortuna che ho avuto io di fare coming out è: parlate subito con qualcuno. Io ho scoperto che tenere una notizia di questo genere per sé è deleterio, nel senso che la diagnosi ci rende mortali nel giro di un nanosecondo ma non è una condanna a morte. Però questo senso di mortalità, questo senso di avere paura di trasmettere, avere paura di infettare, è una cosa che si radica dentro e mette radici. Esiste una rete d’appoggio importante e quindi, anche se non lo vuoi dire, parlarne con qualcuno è assolutamente importante. Se vuoi parlarne con la zia, la zia è sempre disponibile ad ascoltare, è qua e, a seconda di dove ti trovi in Italia, ci sono i gruppi. Non affrontare questa cosa da solo, non affrontare questa cosa da sola, perché non è giusto nei tuoi confronti. Hai bisogno di avere un paracadute, di avere qualcuno che è pronto a prenderti. C’è una rete importantissima di persone sieropositive che vivono una vita normale e che sono lì per rispondere a tutti i tuoi dubbi, a tutte le tue paure e a darti una spalla se hai bisogno di piangere. Perché va bene anche piangere. Ma poi si piange, si va avanti. Non bisogna sentirsi vittime e soprattutto non bisogna sentirsi soli, perché non è colpa tua. Non è colpa tua. 

Enorma Jean Drag Off the Stigma Gay.it
Enorma Jean

Per scoprire i centri in tutta Italia in cui è possibile richiedere la PrEP (profilassi da pre-contatto) potete recarvi su questo link. Qui le associazioni sul territorio che si occupano di creare una rete di persone sieropositive a cui rivolgersi:

  • ALA (Associazione Nazionale Italiana Lotta Aids)
  • ANLAIDS (Associazione Nazionale per la Lotta contro l’AIDS)
  • ARCHÉ
  • ASA (Associazione Solidarietà AIDS)
  • CICA (Coordinamento Italiano Case Alloggio/AIDS)
  • LILA
  • MILANO CHECKPOINT
  • NPS (Network Persone Sieropositive)
  • Associazione Nadir Onlus
  • Arcobaleno AIDS
  • GVMAS (Gruppo di Volontariato per Minori e Adulti Sieropositiv)

 

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