In occasione del Transgender Day of Remembrance, Arcigay e Terra Nuova hanno accolto una delegazione di attivistə provenienti dal Sud America nell’ambito del progetto Centro America Diversa. Si tratta di un progetto co-finanziato dall’Unione Europea per fare luce sulla situazione dei diritti LGBTQIA+ nei Paesi di provenienza dei vari attivistə.
El Salvador, Honduras, Guatemala e Nicaragua sono i Paesi che hanno formato la delegazione e che, oltre ad aver partecipato agli eventi del Transgender Day of Remembrance, hanno preso a parte ad eventi organizzati da Arcigay nelle principali città italiane. Incontri ricchi di significato e di testimonianze che hanno permesso di dialogare sulle difficoltà dell’attivismo nelle Nazioni interessate.
La delegazione si è composta di Gabriela Abigail Redondo del Colectivo Unidad Color Rosa dell’Honduras, attivista trans che lavora per i diritti delle persone transgender; Britany Monserrath Castillo Lovo dell’associazione ASPIDH di El Salvador; Esteban Gonzàlez, rappresentante dell’associazione Lambda in Guatemala; José Ignacio Lopez, attivista per i diritti umani della comunità LGBTQIA+ in Nicaragua e Xiomara Rodriguez Flores, femminista salvadoregna e attivista per i diritti sessuali e riproduttivi.
In particolare, Gabriela Redondo ha rilasciato un’intervista a L’Espresso (qui) sottolineando la situazione critica in cui versa la comunità in Honduras. Infatti, nonostante negli anni il Paese abbia fatto progressi dal punto di vista legislativo per quanto riguarda i diritti LGBTQIA+, ha ancora un fondamentale problema che riguarda soprattutto la violenza nei confronti delle persone queer.
Di per sé l’omosessualità non è illegale in Honduras, ma il matrimonio egualitario, le unioni civili e le adozioni da parte delle coppie dello stesso sono state negate nel 2005 e nulla è ancora stato fatto a riguardo. Il problema critico è appunto l’alto tasso di violenza e omicidi che vedono coinvolte le persone LGBTQIA+: uno studio passato aveva evidenziato come, tra il 2009 e il 2017, 264 persone queer sono state vittime di attacchi o uccisioni. I numeri stimati indicano un incremento annuale da allora.
Gabriela, attivista transgender, ha raccontato in dialogo su L’Espresso con Simone Alliva che :«Il 28 giugno di 2009 quando c’è stato il colpo di stato, sono aumentati gli assassinii nella nostra comunità trans. Viky è stata tra le prime vittime. Era una volontaria e attivista del collettivo. Era uscita durante il coprifuoco, non lo sapeva. Doveva lavorare in strada, l’unico lavoro che possiamo portare avanti per sopravvivere. Fermata dai militari, le hanno sparato alla testa».
L’accanimento si verifica, appunto, soprattutto nei confronti della comunità trans*, subisce discriminazioni e vessazioni quotidiane. L’obiettivo del Colectivo Unidad Color Rosa, di cui Gabriela fa parte, è proprio quello di lottare, difendere e monitorare i diritti delle persone transgender nel Paese, chiedendo rispetto dell’identità di genere e accesso completo alla sanità, all’istruzione e alla giustizia.
«Come direttrice del Colectivo Unidad Color Rosa sono sempre esposta mediaticamente, soprattutto nel chiedere giuste indagini e giustizia per la morte delle mie compagne trans. Questa visibilità costa. Subisco continue minacce dalle bande armate e anche dalla stessa polizia. Vengo perseguitata. Ma non posso lasciare il Paese», racconta Gabriela. «Dovete sapere che l’Honduras ha all’attivo dieci sentenze che le impongono di rispettare la legge sul riconoscimento anagrafico delle persone trans*».
Nonostante l’esistenza di queste sentenze, tuttavia, gli attacchi alle persone trans* non sono diminuiti e le istituzioni non sono troppo interessate ad impegnarsi affinché la situazione cambi. La speranza è che le cose possano cambiare ora che l’Honduras ha un nuovo Presidente, una donna di sinistra. Xiaomara Castro è stata lo scorso gennaio e in lei la comunità ripone le speranze affinché qualcosa si muova concretamente. Come sottolinea Gabriela, le aspettative nei suoi confronti sono molto alte: ne va della vita delle persone trans* nel Paese.
«L’Honduras è l’inferno per le persone trans. Molte sono costrette a immigrare, chi non può perché non ha i soldi o non è istruita, rimane e subisce. Chiediamo solo il diritto di essere libere. Di vivere dignitosamente. Di non dover affrontare il pericolo di morte ogni volta che ci svegliamo la mattina. E soprattutto il diritto al nostro nome»
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