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Giorgia Meloni ha chiesto di essere appellatə nelle comunicazioni ufficiali come “Il Presidente del Consiglio” e non come “La Presidente del Consiglio” e nemmeno “La Presidentessa”. Meloni ha inoltre chiesto di essere definitə “Il premier” e non “La premier”.
La Chiesa Cattolica, istituzione che sottomette le donne e umilia il femminile da due millenni, non se lo fa ripetere due volte. Il Cardinale Matteo Zuppi, presidente Cei, manda una lettera di auguri a Meloni che inizia così: “Illustrissimo signor presidente”.
Ad oggi non abbiamo notizia se Meloni sia sia finalmente convintə a fare il proprio personale coming out come donna biologica che in realtà è uomo rispetto alla propria identità di genere. Ricordiamo che, se così fosse, dovremmo rispettare la sua scelta e appellarci a Giorgia Meloni con genere maschile.
È infatti diritto di ogni persona affermare il proprio genere senza essere obbligatə a dare spiegazioni. Che sia femminile, maschile o non binario, il genere è inerente alla precisa e unica volontà della persona direttamente interessata. Si chiama “affermazione di genere”. Ed è una tema importante che attiene alla vita delle persone.
Dunque Giorgia Meloni si sente, e dunque è, una persona di genere maschile? Saremmo i primi a dare seguito a questa sua insindacabile verità.
Tuttavia il sospetto è che, in un impeto di volontà di potenza, Giorgia Meloni abbia voluto ribadire non tanto una sua presunta identità di genere, quanto il genere maschile che si addice al potere. Anche se c’è una donna a Palazzo Chigi, il potere è maschio.
Meloni inciampa in una provocazione arrogante e ignorante. Lo spiega bene Roberta D’Alessandro su Huffinghton:
“questa scelta va contro un meccanismo utilizzato da tutte le lingue del mondo, un principio già intuito dal linguista indiano Pāṇini nel IV secolo a.C. e poi denominato Elsewhere principle (principio dell’altrove) dal linguista finlandese Paul Kiparsky. Secondo questo principio, universale nelle lingue, se esiste una forma specifica si usa quella anziché la forma generale, se esiste una regola specifica si usa quella anziché quella generale.”
Huffinghton – Roberta D’Alessandro (Professoressa di Sintassi e Variazione linguistica presso l’Università di Utrecht)
Huffinghton – Roberta D’Alessandro (Professoressa di Sintassi e Variazione linguistica presso l’Università di Utrecht)
È incredibile come la declinazione femminile sia in voga – da sempre – per definizioni quali “operaia”, “commessa”, “cassiera”, “contadina”. E come diventi improvvisamente problematica quando la si applica a definizioni che alludano al potere: non sia mai dire “la presidente” o “la presidentessa” o “la direttrice” o “l’amministratrice delegata”.
Rivendicando “Il Presidente” al posto di “La Presidente”, Meloni ribadisce una visione patriarcale delle forme istituzionali e dei linguaggi ufficiali. E molto di più.
Meloni manda un patetico messaggio a tutto il femminile, siano esse donne o siano le mille sfumature non binarie o sia il femminile inteso come entità sempre più potente (evviva!) in una società che sta realmente prendendo in mano le proprie peculiarità e libertà individuali. Il messaggio di Giorgia Meloni è questo: il potere è maschile perché così è sempre stato.
La Presidente del Consiglio sbandiera come un vessillo identitario quel cordone ombelicale che la tiene legata a un mondo decrepito, scricchiolante, che innalza frangiflutti di sabbia davanti a un oceano di liquidità inarrestabile.
E saranno moltə lə italianə che apprezzeranno questa semplificazione, Meloni acquisirà consensi, grazie a questa scelta populista di matrice reazionaria. A perdere sarà, ancora una volta, il femminile assente nel potere italiano.
Gentile signora Meloni, illustrissima Presidente del Consiglio, prendiamo nota della sua richiesta di essere appellatə al maschile, ma allo stesso tempo le diciamo questo: noi non obbediremo.
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