HIV/Aids in Italia: inefficienza e cecità al Ministero, PrEp non considerata. Intervista al Presidente Lila.

In ambiti istituzionali abbiamo sentito autorità che dicevano "figurati se dobbiamo pagare un farmaco per far scopare la gente". La questione non sanata dei due registri al Ministero della Salute.

Hiv Aids Situazione Italia
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In occasione del 1 dicembre, Giornata mondiale contro l’AIDS, abbiamo intervistato il presidente della LILA, Lega italiana per la lotta contro l’AIDS, associazione senza scopo di lucro che da 35 anni agisce sull’intero territorio nazionale attraverso le sue sedi locali per tutelare il diritto alla salute, affermare principi e relazioni di solidarietà, lottare contro ogni forma di violazione dei diritti umani, civili e di cittadinanza delle persone sieropositive o con Aids e delle comunità più colpite dall’infezione.

Massimo Oldrini, nato a Milano nel 1963, è presidente nazionale della LILA dal marzo del 2015.

HIV/Aids in Italia: inefficienza e cecità al Ministero, PrEp non considerata. Intervista al Presidente Lila. - 40 anni fa il primo articolo stampa sullAIDS Lawrence Altman - Gay.it

40 anni di AIDS. Nel 1981 sul New York Post Lawrence Altman parlava per la prima volta  di “Raro cancro scovato in 41 omosessuali”.  Divenne subito stigma sociale per un’intera comunità. Cosa è cambiato da questo punto di vista, dopo 40 anni?

Sono cambiate fortunatamente tante cose. 40 anni fa non c’era nessun trattamento efficace, non c’era informazione e si propagò questa cosa folle e scandalosa che riconduceva l’infezione in gran parte sulla comunità gay. Ma non era vero. Anzi, in Italia agli inizi la pandemia si propagò tra chi usava droga per via iniettiva. Poi si capì che riguardava tutte le persone che avevano una sessualià attiva, e non esclusivamente la comunità gay. 40 anni fa non c’erano farmaci in grado di contrastare questa infezione. Per molti anni questa è stata la prima causa di morte per molti giovani, anche in Italia. Questa cosa generò molta paura tra la popolazione e molto stigma. Fortunatamente nel 1996 si è capito come contrastare efficacemente questa infezione. Da quel momento la storia dell’HIV è cambiata. Nei paesi occidentali si è iniziato a non morire più di AIDS, a curare le persone con HIV. Oggi, fortunatamente, l’HIV è un’infezione che potrebbe essere facilmente prevenuta, curabile, che consente alle persone di avere una vita normale, naturale.

Ancora oggi tante, troppe persone credono che l’HIV riguardi solo la comunità gay. Eppure da decenni sono i numeri statistici a smentirlo. A chi attribuire la colpa. Esiste un problema mediatico o c’è quel famoso stigma che dopo 40 anni si fa ancora sentire?

L’insieme di queste due cose. Pensiamo ad una società come quella italiana che ha difficoltà a parlare di piacere sessuale. Le istituzioni sono totalmente inefficaci, perché sono loro che dovrebbero veicolare informazioni corrette. E nel nostro Paese questo non avviene e tutto ciò contribuisce ad individuare gruppi di persone che possono essere più interessate all’HIV. C’è una classe politica incapace di leggere questioni sociali in modo pragmatico. Solo in Italia la PreP non è rimborsabile, a differenza di tutti i Paesi europei.

Quando parliamo di PrEP parliamo di Profilassi Pre Esposizione, che riduce sensibilmente le probabilità di infettarsi all’HIV. In Italia è disponibile con prescrizione medica ed acquistabile in farmacia. Perché non farla rientrare nel Servizio sanitario nazionale, visto e considerata che è universalmente riconosciuta come strumento efficace per combattere l’HIV?

Perché chi si occupa di sanità pubblica e di politica non riesce ad inquadrare questo tema come tema di sanità pubblica, che deve essere affrontato sulle evidenze della scienza. In ambiti formali e istituzionali abbiamo sentito autorità che dicevano “figurati se dobbiamo pagare un farmaco per far scopare la gente”. È una visione totalmente cieca. Si dice che la PrEP costi tanto, ed è falso. Oggi gli ospedali italiano comprano quel farmaco a 27 euro a flacone. Costa come un condom. È un pregiudizio, l’incapacità di affrontare questo tema in modo pragmatico. Che sia uno strumento efficace e fondamentale lo dice l’OMS, tutte le agenzie del mondo, e invece in Italia persiste questo dibattito bizzarro che non è basato sulla scienza ma sulle bugie, sul moralismo.

Quanto si può definire efficace, quali sono i pro e quali i contro della PrEP?

Ci sono più pro, ma certamente ci sono anche dei contro. È un farmaco importante, non è un’aspirina. Per prenderlo bisogna fare degli esami per capire se non si hanno problemi congeniti che possano portare problemi di altra natura, renali. Ancora oggi bisogna farsela prescrivere in un centro e, se dovesse essere – come in Francia – rimborsata dal sistema sanitario, le persone dovrebbero andare con costanza in ospedale per controlli e analisi, per verificare che vada tutto bene. Ma i pro sono tanti. Questo farmaco è molto efficace e deve essere inquadrato come ulteriore strumento di lotta all’HIV. Se diciamo che le politiche di prevenzione basate sul condom funzionano, saremmo falsi perché non è così. Il condom altera un pochino tutta l’atmosfera sessuale, perché va indossato e perché ad alcuni dà proprio fastidio. La PreP è uno strumento molto importante, soprattutto se lo pensiamo rivolto a popolazioni maggiormente esposte. Penso a chi si prostituisce. Questo è uno strumento che tutte le agenzie dicono di produrre, perché grazie anche a questo strumento potremmo raggiungere l’obiettivo di eliminare l’AIDS e l’HIV entro il 2030.


L’obiettivo dell’ONU è quello di sconfiggere l’AIDS entro il 2030. Fantascienza o credibile realtà?

Questo modello automatico è abbastanza credibile, ma va detto con chiarezza che la pandemia da Covid-19 sta minando il raggiungimento di questi obiettivi. La pandemia da Covid-19 produrrà danni che saranno maggiormente visibili nei prossimi 2/4 anni. Questo obiettivo sembra ad oggi difficilmente raggiungibile. Nel mondo ci sono ancora 9 milioni di persone che non accedono ai trattamenti antiretrovirali. Per fortuna 28 milioni ci accedono, ma 9 milioni ancora no. Ci sono problemi a far emergere il sommerso. Questo obiettivo appare complicato perché ci sono diminuzioni di risorse date al fondo globale e a tutti i piani che ci sono nel mondo per contrastare l’HIV/AIDS. Anche Unaids ha diramato un alert perché se le cose vanno avanti così, sarà difficile arrivare a raggiungere l’obiettivo del 2030. Quello che sta succedendo con il Covid-19 è un po’ la fotocopia di quello che sta accadendo con l’HIV. Nove milioni di persone non accedono alle terapie, miliardi di persone non stanno accedendo ai vaccini. È uno scenario poco tranquillizzante.

Almeno  il 36% dei 2,2 milioni di persone che convivono con l’HIV in Europa non conosce il proprio stato sierologico. Il test è fondamentale per frenare l’infezione e aiutare  sé stessi. Perché si fa fatica a far capire una così semplice verità?

C’è ancora paura. Gran parte della popolazione preferisce pensare che questa cosa riguardi altri, non capendo che contrarre l’HIV è molto semplice. Può avvenire attraverso un rapporto sessuale. La gente non sente di aver corso dei rischi e non fa il test, anche perché in Italia non è così semplice fare il test in forma gratuita e anonima. Per legge, ci deve essere almeno un centro per ogni provincia che lo permette, ma un centro per ogni provincia è molto poco. Così non stai cercando di facilitare l’accesso ai test. Per questo motivo tutte le organizzazioni della community sono impegnate nell’offerta attiva del test, ma con le nostre risorse l’impatto è limitato. Ci vorrebbero delle campagne di comunicazione scevre da pregiudizi, che dicano esplicitamente che l’HIV riguarda tutti, che se si è sfortunati basta un unico rapporto sessuale penetrativo. Non ci interessa di che tipo. E invece tutto questo non viene fatto e risulta difficile invertire una tendenza che gli ultimi dati confermano.

Quali sono gli ultimi dati nel merito?

Gli ultimi dati del COA dicono che le nuove diagnosi diminuiscono, ma invece aumenta la quota di persone che scoprono tardivamente di avere l’HIV. Questo vuol dire che queste persone ce l’hanno da molti anni, che non lo sapevano, e che, se non hanno adottato precauzioni, hanno trasmesso l’HIV ad altre persone. L’inconsapevolezza produce una catena di infezioni.

Soprattutto tra i più giovani l’HIV parrebbe non fare più troppa paura, con inevitabili conseguenze derivanti dal fare sesso non protetto. L’impressione è che anche da un punto di vista mediatico, di pura e semplice comunicazione sociale, l’HIV sia stato quasi superato, che non sia visto più come un’emergenza?

Questa percezione ha avuto un impatto su tutti, sui 50enni e sui giovani. Si dice “di HIV non si muore più e quindi non è un grande problema”. Vediamo giovani molto attenti, ma anche giovani che hanno un retaggio di stereotipi potentissimo, convinti che riguardi solo i gay, chi fa uso di droghe. Il bollettino del ministero ci dice che la quota maggiore di nuove diagnosi viene fatta tra i giovani tra i 25 e i 29 anni. Questo perché non ci sono più campagne di prevenzione e informazione rivolte ai giovani. L’Italia è uno dei pochi paesi dell’UE che non ha l’educazione sessuale nel curriculum scolastico. I giovani non ricevono informazioni. È vero che non muoiono più 5000 persone all’anno di AIDS, ma comunque ne muoiono 500/1000 ogni anno ancora oggi e solo in Italia. Le istituzioni si ricordano di HIV/AIDS solo il primo dicembre, non ci sono più campagne di informazione e questo penalizza soprattutto i più giovani.

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Nel nostro paese oltre il 90% delle persone con HIV in trattamento raggiunge lo stato di soppressione virologica. Vogliamo spiegare perché siamo davanti a un’evidenza scientifica rivoluzionaria?

Questo concetto riassunto con U=U, Undetectable equals Untrasmittable vuol dire che le persone che assumono una terapia in modo costante non sono più un pericolo per gli altri. I loro liquidi biologici, sessuali, non trasmettono l’infezione, così come il sangue. In Inghilterra in tal senso è stato rimosso il divieto di operare a chirurghi che hanno l’HIV. È un’evidenza importantissima, in termini di salute individuale perché le persone che si curano hanno prospettive di vita simili a chi non ha l’HIV. Se continuano a curarsi. Ma ha un impatto importantissimo anche di salute pubblica, perché se tutte queste persone non trasmettono più l’HIV, è come se  avessero messo loro un gigantesco condom su tutto il corpo, perché non sono più motore dell’infezione. L’opinione pubblica però non è a conoscenza di questa cosa. Le istituzioni non lo dicono. Da 3 anni chiediamo al ministero una campagna su U=U, ma il ministero non le vuole fare. Contribuirebbe ad inquadrare in modo corretto e pragmatico il problema dell’HIV. Da una parte vorrebbe dire che se scopri di avere l’HIV, puoi avere una vita normale su tutti i fronti. Sapendo di non essere più infettivo, diminuirebbe quella paura che era logica fino a pochi anni da parte della società. Oggi non c’è più bisogno di aver paura delle persone con l’HIV che sanno di avere l’HIV. Diminuirebbe lo stigma. Le persone avrebbero anche meno paura a sottoporsi al test, perché ci sono tante persone che hanno talmente paura delle ipotetiche conseguenze, da non volere fare il test. Il voler non portare a conoscenza della popolazione questi elementi è semplicemente cieco. È come se il ministero non riuscisse a sganciarsi da una comunicazione ferma a 30 anni, quasi totalmente centrata sui test e non tanto sui condom. Ma anche qui, bisognerebbe facilitare l’accesso ai test ma tutto questo non accade.


Esistono numeri che quantifichino 40 anni di HIV/AIDS in Italia?

Non esistono numeri ufficiali su quante persone con HIV vivano oggi in Italia. Si sa solo che dal 2012, ovvero da quando è nato il registro delle infezioni, sono state segnalate 29.000 infezioni. Ma le ricerche di tipo scientifico dicono che in Italia vivono circa 120/130.000 persone con HIV/AIDS. La maggior parte di queste persone è in terapia antiretrovirale ed è anche Undetectable. Ci sono invece delle difficoltà a stimare correttamente quante siano le persone che non sanno di avere l’HIV. Esistono stime diverse che vanno dai 15/20.000 fino alle 30.000 persone. In modo più definito sappiamo che dal 1981 ad oggi sono state segnalate 71.591 persone con AIDS. Purtroppo circa 50.000 sono morte. Questi sono i numeri del nostro Paese, ma va detto che non viene prestata grande attenzione alla questione epidemiologica. Basti dire che nell’ultimo bollettino l’Istituto Superiore di Sanità parla di 1300 nuove diagnosi nel 2020, ma non si conosce il numero di test effettuati. Poi in Italia esistono due registri. Uno per l’HIV e uno per l’AIDS, ma questi registri non comunicano tra di loro. Soprattutto nel pieno della pandemia da Covid-19 ci sono stati problemi di notifiche. Inefficienza e disattenzione, l’unificazione di queste schede di sorveglianza è stata annunciata dal ministro Lorenzin nel 2017. Sono passati 4 anni e siamo ancora fermi allo stesso punto.

Lila – Il sito web 

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