La Corte Suprema indiana si appresta a pronunciare il verdetto definitivo riguardo alle numerose petizioni che sollecitano il riconoscimento legale del matrimonio tra persone dello stesso sesso nel paese.
Una sentenza a lungo posticipata: le discussioni in tribunale ebbero inizio il 18 aprile di quest’anno, con una decisione riservata fissata per l’11 maggio. Considerato, tuttavia, che uno dei giudici andrà in pensione il 20 ottobre, sembra che il verdetto arriverà invece entro fine anno.
Con un totale di venti petizioni in attesa di una decisione da parte del tribunale, avanzate da coppie dello stesso sesso, individui transgender e attivisti LGBTQIA+, e il 53% della popolazione favorevole al matrimonio egualitario, la sentenza del tribunale indiano si preannuncia storica.
Una decisione favorevole porrebbe infatti l’India – la democrazia più popolosa al mondo – in condizione di diventare primo paese del Sud Asia e il secondo paese asiatico, dopo Taiwan, a legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Il dibattimento
Sebbene nelle petizioni fosse in discussione la conformità dello Special Marriage Act del 1954, dell’Hindu Marriage Act del 1955 e del Foreign Marriage Act del 1969, che non estendono il riconoscimento legale ai matrimoni non eterosessuali, durante le sessioni di udienza la Corte Suprema ha tuttavia specificato che circoscriverà la sua analisi unicamente allo Special Marriage Act, per evitare di toccare questioni ancora più delicate, almeno per il momento.
Un elemento di notevole rilevanza nel caso è stato però il cambio di atteggiamento da parte del governo indiano, inizialmente espressosi in netta opposizione alle petizioni, argomentando che la questione del riconoscimento legale dei matrimoni tra persone dello stesso sesso dovrebbe essere una prerogativa del Parlamento.
Il governo di Narendra Modi ha infatti recentemente manifestato una lieve apertura, con la disponibilità a esaminare la possibilità di concedere alcuni diritti specifici alle coppie dello stesso sesso nel breve termine, indipendentemente dal riconoscimento giuridico del matrimonio.
Un cambiamento avvenuto in risposta a una domanda sollevata dalla Corte Suprema, che durante il dibattimento aveva chiesto se ci fosse la possibilità di emettere direttive esecutive per garantire che le coppie dello stesso sesso possano accedere a determinate misure di welfare e sicurezza sociale, tra cui la possibilità di aprire conti bancari congiunti, di designare il partner come beneficiario in polizze assicurative sulla vita, fondi pensione e altri strumenti finanziari correlati.
Il compromesso potrebbe quindi essere, almeno per ora, l’unione civile, nonostante la Corte Suprema abbia comunque esplorato l’opzione di emettere una dichiarazione che riconosce il diritto al matrimonio per le coppie dello stesso sesso, senza però modificare la legislazione esistente.
I sottoscrittori delle petizioni hanno infatti argomentato che i termini “marito” e “moglie” presenti nello Special Marriage Act dovrebbero essere interpretati in modo neutro sul piano del genere, come “coniuge” o “persona”.
In risposta, il governo dell’Unione ha però nuovamente espresso la sua opposizione, sostenendo che lo Special Marriage Act fu creato con un obiettivo completamente diverso e che, al momento della sua adozione nel 1954, il legislatore non aveva intenzione di includere le coppie omosessuali nel suo campo d’azione.
Il governo ha ulteriormente enfatizzato che una tale rilettura del testo legislativo avrebbe ripercussioni su una serie di altre leggi che riguardano questioni come adozione, sostentamento, maternità surrogata, diritti di successione e divorzio, e che un’interpretazione così ampia dello Special Marriage Act potrebbe perturbare l’equilibrio esistente in queste altre aree legislative.
Da qui l’intervento a sostegno del governo della Commissione Nazionale per la Protezione dei Diritti dell’Infanzia, che ha manifestato preoccupazioni sulla questione di estendere il diritto all’adozione a coppie dello stesso sesso.
Posizione in netto contrasto con quella della Commissione di Delhi per la Protezione dei Diritti dell’Infanzia, che ha invece sostenuto le petizioni in esame e appoggiato il diritto all’adozione per le coppie dello stesso sesso.
Un finale ancora da scrivere
Il persistente divario tra la posizione della Corte Suprema e quella del governo sottolinea ancora una volta la complessità e la polarizzazione del dibattito, non solo a livello legale, ma anche in termini di opinioni sociali e istituzionali. Divergenza di vedute che aggiunge ulteriori sfumature alla discussione in corso, rendendo il risultato finale ancora più incerto.
C’è infatti molto da bilanciare: da una parte le istanze del governo conservatore, delle autorità religiose e di quella fetta di popolazione che ancora fatica ad abbandonare i rigidi schemi tradizionali. Recentemente, un matrimonio tra un uomo transgender e una donna ad un tempio Sikh ha nuovamente scatenato un feroce dibattito che ha diviso nuovamente l’opinione pubblica.
Dall’altra, tuttavia, ci sono le storie di decine di migliaia di persone che lottano affinché diritti fondamentali come il matrimonio e la possibilità di costruire una famiglia con la persona amata vengano finalmente riconosciuti di default, senza la necessità di far ricorso alla Corte Suprema per ogni specificità.
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