Il 7 marzo l’INPS, ovvero l’Istituto nazionale della previdenza sociale, ha esteso l’applicazione dei permessi lavorativi riconosciuti alle parti dell’unione civile che assistono persone con disabilità grave. L’articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992 prevede infatti il diritto ad usufruire di tre giorni di permesso mensili retribuiti, in favore di lavoratori dipendenti che prestino assistenza al coniuge, a parenti o ad affini entro il secondo grado – con possibilità di estensione fino al terzo grado – riconosciuti in situazione di disabilità grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della medesima legge. Fino ad oggi infatti questo diritto era limitato all’interno della sola un’unione civile, e dunque non comprendeva parenti e affini.
In una precedente circolare del 2017 l’INPS aveva previsto che tali permessi valessero solo e soltanto se l’assistenza riguardasse l’altra parte dell’unione civile con disabilità. Con questa nuova circolare, invece, quello stesso permesso è stato esteso anche a chi presta assistenza agli “affini”, ovvero ai parenti dell’altra parte dell’unione civile, che possono essere i suoceri, i nipoti, i generi. Allo stesso modo i parenti dell’unito civilmente avranno diritto ad assistere l’altra parte dell’unione.
Nel 2017 l’esclusione degli “affini”, come riporta il giurista Antonio Rotelli su Facebook, era diventata realtà a causa della legge 76 del 2016 (la legge sulle unioni civili), che non fa nascere rapporti di “affinità” nell’unione civile. Un’esclusione discriminatoria riguardo al diritto alla vita familiare delle persone omosessuali.
L’orientamento seguito finora, infatti, seppure attuativo di una norma nazionale, sarebbe in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale dell’Unione Europea che, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio di parità di trattamento, vieta la discriminazione basate sull’orientamento sessuale, in particolare per quanto concerne l’occupazione, le condizioni di lavoro e la retribuzione. Il diritto ai benefici in oggetto nei confronti delle parti di un’unione civile non avrebbe la stessa estensione riconosciuta ai soggetti legati da un rapporto di coniugio (al quale pur volendo non potrebbero accedere), anche se in presenza di situazioni comparabili, caratterizzate entrambe da una stabile relazione tra le parti e da un rapporto di affettività che da essa deriva anche nei confronti dei parenti del partner.
L’INPS, in riferimento al ristretto ambito di sua competenza, ha così dato forma ad un’interpretazione delle disposizioni in materia che riconosce rilevanza ai rapporti intra-familiari che l’unione civile crea di fatto, se non di diritto. Perché l’affinità venga finalmente riconosciuta giuridicamente, senza limiti, anche nell’ambito delle unioni civili, bisognerà aspettare che un caso arrivi alla Corte costituzionale o che si modifichi la legge 76, ha concluso Rotelli sui social. A meno che il matrimonio egualitario non diventi finalmente realtà anche in Italia.
La circolare si può leggere qui in tutta la sua interezza.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.