Due giovani attiviste iraniane, Zahra Sedighi-Hamedani (31 anni) e Elham Chobdar (24 anni), sono state condannate a morte dal Tribunale Rivoluzionario di Orumiyeh, nella provincia dell’Azerbaijan occidentale, con l’accusa di “corruzione sulla Terra attraverso la promozione dell’omosessualità”.
La notizia è stata riportata dall’associazione per i diritti umani Hengaw, la cui attività principale è quella di monitorare le violazioni dei diritti umani in Kurdistan, dopo che nella giornata di domenica 4 settembre la sentenza è stata ufficialmente pronunciata. Nel caso delle due attiviste è coinvolta anche una terza donna, Soheila Ashrafi, ma il suo verdetto non è ancora stato pronunciato.
Zahra ed Elham sono entrambe attiviste LGBTQ+ che combattono per i diritti della comunità in Paesi dove questa è ancora illegale e sottoposta alla pena di morte. Il calvario delle due ragazze con la giustizia iraniana è cominciato mesi fa, nell’ottobre del 2021. Dopo essere apparsa in un documentario della BBC sui diritti LGBTQ+ nel Kurdistan iracheno, Zahra è stata arrestata il 27 ottobre dello scorso anno con l’accusa di traffico di donne iraniane nella provincia di Erbil mentre cercava di passare il confine per chiedere asilo politico in Turchia. Elham, invece, è stata arrestata il 16 gennaio con l’accusa di promuovere l’omosessualità e il cristianesimo attraverso i canali mediatici anti-iraniani.
Le due attiviste sono detenute sin da allora, Zahra è anche rimasta in isolamento per 53 giorni subendo estenuanti interrogatori, insulti sulla sua identità e il suo aspetto e minacce di vedersi tolta la custodia dei figli da parte della Guardia Rivoluzionaria iraniana, la polizia di Stato che opera sotto il comando del regime di Khamenei. La notizia del loro arresto era stata diffusa per la prima volta dal Jerusalem Post nel dicembre dello scorso anno, suscitando la reazione di attivisti e dissidenti e portando Amnesty International a richiedere all’Iran il rilascio immediato delle due donne.
La richiesta, come è evidente, non è stata accolta. In aggiunta, l’Iran è noto per i processi non equi, soprattutto nei confronti delle donne. Nei 10 mesi di detenzione, alle detenute è stato anche negato il diritto di avvalersi di un avvocato e, fonti riferiscono, il loro destino potrebbe essere uno dei metodi di esecuzione preferiti dal regime iraniano, lo strangolamento.
Il regime di Teheran opera da decenni una vera e propria guerra omicida contro le donne e le persone LGBTQ+ ed è stata più volte comprovata la violazione di molteplici principi della Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite.
Two LGBTQ activists were sentenced to death by the
Islamic Republic of Iran for allegedly promoting homosexuality, human rights organization Hengaw reported. Learn more about the gay community’s situation in Iran here: https://t.co/HZbK7mZmld
By @BenWeinthal pic.twitter.com/d9Kw2QSS7j— The Jerusalem Post (@Jerusalem_Post) September 4, 2022
Jessica Emami, esperta iraniana e ricercatrice contro l’antisemitismo, nei mesi scorsi aveva affermato come «fin dall’inizio la Repubblica Islamica dell’Iran ha trattato le persone LGBTQ+ con dispotismo e barbarie», mentre una rifugiata politica residente nel Regno Unito aveva commentato: «Notizie come questa non ci sorprendono più».
Secondo delle stime approssimative, dalla rivoluzione del 1979 ad oggi la dittatura iraniana ha giustiziato tra le 4000 e le 6000 persone gay e lesbiche. La comunità LGBTQ+ viene considerata un pericolo nazionale e l’accanimento della Guardia Rivoluzionaria non dà cenni di diminuire. La notizia della condanna a morte sembra aver risvegliato le coscienze internazionali che ora iniziano a fare pressioni sulle autorità iraniane per commutare la condanna a morte.
All Out ha fatto partire una campagna di raccolta firme per chiedere il rilascio delle due attiviste, che potete trovare e firmare qui.
Gay.it ha contattato attivisti iraniani vicini al caso delle due donne per ulteriori commenti sulla vicenda che verranno aggiornati nei prossimi giorni.
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