Vincent “Biofrost” Wang è un giocatore professionista del videogioco a squadre League of Legends. Gioca a videogiochi per lavoro, partecipando a grandi tornei internazionali per cui è necessario un allenamento costante. Quando Wang ha fatto pubblicamente coming out su Twitter, annunciando di essere omosessuale, ha anche attaccato il settore del videogioco competitivo, il cosiddetto “esport,” descrivendolo come un ambiente omofobo che lo ha spinto a nascondere per anni la sua omosessualità.
“Sono gay” ha scritto Wang. “Ho dovuto lottare con la mia identità per la mia intera vita […]. All’età di 8 anni sono stato bombardato a casa con osservazioni omofobe e sessiste, e ogni volta che facevo qualcosa che non era ‘virile’ mi chiedevano perché mi stessi comportando come una ragazza e mi dicevano di smetterla di essere ‘gay.’ Sono diventato estremamente attento a come dovevo e non dovevo comportarmi per non sembrare ‘gay’ eppure continuavano a bullizzarmi a scuola per questi motivi. […] Lavorare nell’industria del videogioco non ha aiutato. In quasi ogni squadra in cui sono stato ho sentito commenti omofobi o da parte dei miei compagni di squadra o da parte dello staff. Non mi sono sentito a mio agio. Avevo persino timore di perdere il lavoro se avessi detto la verità. […] La mia storia non è unica. Ovunque nell’industria del videogioco vediamo sessismo, pregiudizio, omofobia.”
La denuncia non è sorprendente. Come dice anche Wang, l’industria del videogioco e il videogioco competitivo sono mondi che almeno a partire dagli anni 80 sono stati costruiti con in mente un certo tipo di persona: l’uomo eterosessuale, cisgenere, privo di disabilità e (in occidente) bianco. Secondo uno studio, il 35% delle persone statunitensi appartenenti alle comunità LGBTQIA+ ha subito discriminazione sulla base di orientamento sessuale o identità di genere mentre giocava online. L’ambiente discriminatorio e prettamente maschile e maschilista del videogioco competitivo è anche uno dei (francamente tanti) problemi che frenano il riconoscimento dell’esport come uno sport vero e proprio: secondo un’altra analisi, solo una donna (Sasha “Scarlett” Hostyn) rientra nella classifica delle 500 persone che hanno guadagnato di più nel mondo del videogioco competitivo.
Per fare qualche esempio, nel 2018 il torneo competitivo ufficiale del videogioco Overwatch di Activision Blizzard incontrò vari problemi a causa del comportamento dei membri delle sue squadre, e il giocatore Felix “xQc” Lengyel fu multato e sospeso per aver usato un’offesa omofoba contro un avversario, tra l’altro, apertamente omosessuale (Austin “Muma” Wilmot). Lo stesso anno, l’ex giocatore professionista del videogioco di sparatorie a squadre Counter-Strike: Global Offensive Mohamad “m0E” Assad fu sospeso dalla piattaforma di streaming Twitch per aver usato un’espressione omofoba, scatenando un lungo e assurdo dibattito sull’accettabilità di offese omofobe nel mondo dei videogiochi. L’anno successivo fu sospeso da Twitch un altro giocatore professionista di Counter-Strike: Global Offensive, Oleksandr “s1mple” Kostyliev, sempre per l’uso di un’espressione omofoba. Nel 2021, Duane “Kelra” Pillas, che compete in Mobile Legends, è stato sospeso dalla lega professionistica del gioco per aver attaccato con commenti omofobi due avversari (di cui uno apertamente parte delle comunità LGBTQIA+, Johnmar “OhMyV33nus” Villaluna, già vittima di omofobia in passato) e per aver rivolto commenti sessisti verso la giocatrice Chareeny “Ramella” Ramella. E a inizio 2022, il manager Kbaton è stato allontanato dalla squadra di esport Cyclops Athlete Gaming dopo una serie di tweet con offese omofobe e abiliste (cioè discriminatore verso le persone con disabilità).
Potrei continuare ancora per un po’. La discriminazione verso gruppi marginalizzati è tanto diffusa che quando una qualche persona, magari durante una diretta, usa una espressione omofoba, sessista o razzista si dice che ha avuto un “gamer moment,” un “momento da videogiocatore.” Spesso lo diciamo ironicamente, ma lo streamer Cody “Donut Operator” Garrett è stato sospeso da Twitch per aver davvero cercato di normalizzare una diffusa offesa omofoba come “linguaggio da videogiocatore.”
In un ambiente del genere, è pericoloso ammettere di essere donna, gay, trans, disabile e (almeno in occidente) di non essere una persona bianca. Il 59% delle donne è costretto a giocare online adottando nomi che non permettano di identificare il suo genere e senza usare la chat vocale. Un interessante video realizzato di recente da WINDTRE mostra lo YouTuber Mirko “Tuberanza” Pelliccioni mentre gioca online parlando attraverso un modificatore vocale che rende femminile la sua voce. Pelliccioni si trova quindi a ricevere tutti gli insulti sessisti che una donna riceve normalmente mentre gioca a un videogioco.
Sono problemi che ritroviamo anche nelle compagnie che questi videogiochi li realizzano. League of Legends a cui gioca Wang è sviluppato da Riot Games, studio del gigante cinese della tecnologia Tencent cioè della principale compagnia di videogiochi al mondo. Per un altro videogioco competitivo di Riot Games, il gioco di sparatorie a squadre Valorant, è stato ora annunciato il programma Game Changers, dedicato alla valorizzazione di donne e in generale di persone di generi marginalizzati nella scena competitiva. Ma Riot Games ha anche dovuto pagare 100 milioni di dollari per risolvere una class action portata avanti dalle sue dipendenti a causa di discriminazioni e molestie da loro subite sul posto di lavoro. Non è un caso isolato: anche qui faccio solo qualche esempio, ma negli scorsi anni sono state coinvolte in scandali legati a molestie, sessismo, omofobia e razzismo sul posto di lavoro anche le francesi Quantic Dream e Ubisoft, lo studio di PlayStation Naughty Dog e Activision Blizzard. L’industria e le comunità videoludiche hanno, insomma, un problema di omofobia. E non solo.
Immagine di copertina da League of Legends di Riot Games.
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