È il film gay dell’estate francese mentre in Italia non è stato nemmeno acquistato dopo sporadiche apparizioni – ben accolte – al Festival di Giffoni 2014 e al cineforum romano San Paolo. Ma chissà che parlarne non attiri l’attenzione di qualche distributore avveduto. Sì, perché il delicato racconto di formazione Boys (Jongens) della regista olandese Mischa Kamp, nonostante qualche stilema televisivo – la Kamp arriva infatti dalla TV, iniziale destinazione del progetto – meriterebbe di essere distribuito soprattutto per le sue qualità di misura e sensibilità.
Ma, ahimé, quando in Italia si parla di omosessualità nella minore età, le frange destrorse sono pronte alla levata di scudi: invece sarebbe importante far trovare un pubblico a questo piccolo film fresco e pulito che parla di quella conflittuale Terra di Mezzo che è il momento di passaggio, spesso tormentato, verso la consapevolezza e – si spera – accettazione del proprio orientamento sessuale.
Sieger (Gijs Blom, rivelazione) è un placido quindicenne che vive col fratello ribelle Eddy (Jonas Smulders) e il padre vedovo, preoccupato soprattutto dall’irrequietezza di quest’ultimo. Quando l’allenatore della squadra atletica locale sceglie Sieger e il coetaneo Marc (Ko Zandvliet) per una competizione di staffetta a quattro, tra i due ragazzi si instaura un’amicizia empatica che evolve rapidamente verso un’attrazione erotica, complice un bacio furtivo in un laghetto a cui Sieger reagisce col classico commento egodistonico: “Non sono gay”.
Sieger si trova così la classica ‘fidanzatina schermo’, insieme a un altro amico eterosessuale, umiliando Marco ogni volta che lo incontra: ma la gara ufficiale si avvicina, e sarà proprio Marc a passargli il ‘testimone’ che potrebbe garantire la vittoria…
Il lento e travagliato percorso di autoaccettazione della propria omosessualità viene raccontato senza forzature, con pochi dialoghi essenziali, ponendo l’attenzione sull’espressività dei volti e sul rigoglioso patrimonio ecologico olandese quasi a ribadire l’assoluta naturalezza dei sentimenti sbocciati fra i protagonisti.
E ricorda quella sensibilità, quella calibrata attenzione all’emotività adolescenziale che il belga Bavo Defurne (North Sea Texas) profonde nelle sue opere – Boys ricorda anche vagamente il tedesco Sommersturm – ma c’è persino qualcosa di rohmeriano nell’interazione poetica fra i personaggi e l’ambiente circostante.
Molto ben costruito è anche il personaggio del padre sofferente perché non riesce a educare come vorrebbe il figlio scavezzacollo, e pone tutte le sue speranze in Sieger (quei lacci nuovi regalati in segno di supporto paterno), il quale ha il terrore di dichiarare la propria omosessualità per non deludere entrambi.
Un gradevole, piccolo dramma bucolico arricchito dalle musiche mai invadenti di Rutger Reinders. E chissà se gli staffettisti innamorati, dopo la rivoluzionaria copertina di SportWeek coi rugbisti gay in copertina, non riescano a vincere la sfida di essere sui manifesti di qualche sala cinematografica italiana.
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