Alessia P. M., l’attivista trans che lo scorso giugno ha parlato dal palco del Milano Pride denunciando la propria condizione di persona triplicimente discriminata in quanto donna, in quanto persona transgender e in quanto immigrata, sarebbe stata deportata in Perù senza la possibilità di parlare con un avvocato.
A denunciare il tutto l’associazione ‘Nessuna Persona è Illegale‘. Il Milano Pride ha immediatamente commentato l’accaduto, sottolineando come ‘questa vicenda sembra confermare la necessità di considerare la battaglia dei diritti, di tutti i diritti, una battaglia unitaria, contro le tendenze liberticide di questo governo’, definito ‘razzista ed omotransfobico’.
Nel giugno scorso Alessia aveva partecipato attivamente all’organizzazione del corteo, con entusiasmo e grinta, chiedendo di potersi esprimere liberamente, anche se senza permesso di soggiorno. “Tre volte discriminata perché sono donna, transgender e immigrata”, disse dal palco del Pride, “fino ad ora le istituzioni non si sono mai realmente impegnate per dare corpo ai diritti, lasciandoli marcire sulla carta”.
“Alessia ha dato corpo e voce alle rivendicazioni che da anni portiamo avanti: che le persone siano libere di fare progetti, di avere una vera possibilità, in questo come in altri paesi del mondo: la libertà di TRANSito che permette a ognuno e ognuna di noi di vivere, desiderare, agire su questa terra secondo le inclinazioni particolari che ci riconosciamo“, denunciano da ‘Nessuna Persona è Illegale’, per poi scendere nei particolari di quanto accaduto ad Alessia.
“Qualche giorno fa la nostra voce è stata convocata presso il locale commissariato di polizia; aveva un ricorso già depositato contro il diniego di permesso di soggiorno e il foglio di via che aveva ricevuto, e così, sicura delle proprie ragioni, nel pomeriggio di giovedì 27 dicembre ci è andata, ma subito è stata trasportata in questura; ha fatto appena in tempo ad avvertirci con una brevissima telefonata, poi un lungo silenzio: sequestrato il cellulare, impediti i contatti con l’esterno. Poi, alle sette del mattino del 28 dicembre, dopo una notte trascorsa in questura senza spiegazioni, le è stato detto che sarebbe stata condotta davanti ad un giudice poche ore dopo per l’esecuzione del rimpatrio; non le è stato concesso di contattare l’avvocata che seguiva la sua richiesta di permesso di soggiorno, che aveva tutti i documenti per dimostrare che l’espulsione era e continua a essere irragionevole; è stata deportata così, senza avere il tempo di salutare le tante persone che le sono state amiche in questi suoi anni italiani, sistemare la sua casa e i suoi affetti, scegliere che cosa portare con sé.
In volo fino a Roma, ammanettata, poi un altro volo verso Sao Paulo, poi Panama, un viaggio lunghissimo e doloroso. Da qualche ora Alessia è tornata in Perù: la violenza cieca del razzismo istituzionale si è abbattuta su di lei, su di noi, sulle decine di migliaia di persone che commosse avevano ascoltato le sue parole dal palco del Pride, dimostrando ancora una volta, caso mai ce ne fosse stato bisogno, quanto sia vuota una retorica che propaganda inclusività e buoni sentimenti senza affrontare le radici sociali, economiche e giuridiche della discriminazione e dell’ingiustizia“.
Una ricostruzione agghiacciante, se confermata, che ha visto la povera Alessia umiliata e giuridicamente abusata. Nel totale silenzio mediatico.
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