“Così Instagram monetizza sulla transfobia. Per noi non c’è posto” la denuncia di Aurora Consolo

"Sono dovuta diventare un'attivista perché non avevo scelta. Dovevo proteggermi."

"Così Instagram monetizza sulla transfobia. Per noi non c'è posto" la denuncia di Aurora Consolo - Aurora da Cagliari vittima di transfobia - Gay.it
4 min. di lettura

“Sistemate la società. Per favore. Ma sistemate anche Instagram”. Aurora Consolo, cita Lelaah Alcorn, la ragazza trans di 17 anni suicidatasi nel 2014. Aurora di anni ne ha 32 e da tempo denuncia sui social la marea transfobica di odio e violenza che sommerge la sua vita. “Non è bello sapere che sui social ci sono migliaia di frasi oscene che ti riguardano”. Sotto i suoi post si trovano insulti di ogni tipo.

C’è un cortocircuito di senso che riguarda i social e la comunità T. Sui social di Aurora si leggono frasi come: “Buttati da un ponte”, “Travione ma dio cane che ti brucio”. Lei risponde: “Che linguaggio forbito”. Provvedimento immediato di Instagram, blocco. Punito il violento? No, la persona aggredita. “Sono dovuta diventare un’attivista perché non avevo scelta. Dovevo proteggermi” racconta Aurora che era entrata su Instagram per raccontarsi al mondo, come moltissime persone oggi, e adesso è costretta a difendersi.

Come è iniziato tutto? 
“Mi sono iscritta quattro anni fa, dopo aver iniziato il mio percorso di transizione. Mi sono subito resa conto che venivo trattata in maniera differente rispetto alle altre ragazze. Insulti anche molto violenti. Ho capito che è un problema sistemico. Però ho anche pensato: se riesco a suscitare questo interesse da parte delle persone, perché non usarlo per scomporre la questione della transfobia e parlarne? Il tema della transfobia è sempre rimasto sotto il tappeto. Diciamolo. Prima della discussione del ddl Zan veniva lasciato ai margini. Si parlava e si parla spesso di omofobia ma io non sono vittima di omofobia ma di transfobia, cosa ben diversa”.

Quando si è intensificato questo odio? 
Diciamo che ho sempre ricevuto questi insulti. Poi un giorno ho mosso una critica a Marco Crepaldi (youtuber n.d.r) ed è partita la prima shitstorm importante.  Così ho avuto la prima disattivazione. Tutto questo ha continuato. Ricevevo insulti di ogni tipo ma per Instagram incitavo all ‘odio perché, ad esempio; postavo un articolo di Repubblica che parlava di Superetero. Sono diventata un bersaglio. Queste sono persone che si organizzano, si muovo in branco anche online. Un giorno mi sono ritrovata anche una foto sulla pagina “Sesso, Droga e Pastorizia”, i commenti erano pieni di offese transfobiche.

Così hai iniziato a denunciare un “sistema”. Però la tua è una lotta che dura da anni, senza troppi risultati.
Specifico che questa lotta non è contro i cretini, loro ci saranno sempre. Ci sarà sempre qualcuno che mi scrive che sono un uomo, che devo morire. Il punto è che non sono tutelata dalla piattaforma. Internet non cancella chi scrive: i trans fanno schifo. Blocca me perché a quel commento rispondo: ma che linguaggio è? Giorni fa ho provato a commentare sotto un articolo che parlava della performance di Emma Marrone a Sanremo (Emma ha compiuto un gesto importante sul palco dell’Ariston). Una ragazza ha risposto: tu stai zitta che ti spacci per donna. L’ho segnalato. Per Instagram quel commento non viola gli standard della community. Instagram vive di engagement e l’odio lo alimenta. Tutti questi commenti non cancellati fanno un sacco di like, generano altri commenti. Quando io vengo offesa, non vengo difesa da nessuno, i commenti di offesa ricevono un sacco di risposte in cui le persone si congratulano. L’odio crea engagement, fa fare i soldi e i commenti violenti restano.

Adesso come ti muovi nella rete?
Uso un profilo di riserva. Il vecchio ormai è eliminato. Ho perso follower, post e ricordi. Non usavo molto Facebook. Sono arrivati anche lì. Ma alla prima disattivazione ho deciso di non entrarci più.

Che riflesso ha sulla vita reale tutto questo? 
Ho subito dello stalking. Non posso più specificare dove abito. Ho attacchi di ansia continui. Nei messaggi che ricevo spesso trovo un: ti veniamo a cercare. E altre cose indicibili.

Mi metto nei panni di chi legge e ti chiedo: perché una persona che subisce così tanto odio continua a rimanere connessa? La domanda è legittima. Ma perché dovrei farlo? Confermerei il fatto che una persona trans non può avere neanche un social. Ecco, provatevi a immedesimarvi: se non può avere neanche l’accesso a Instagram, immaginate cosa non può avere nella vita reale. Non puoi avere un lavoro. Non ti prendono a lavorare. Non puoi avere un fidanzato. Questa di Instagram è la parte più bassa, forse più futile ma dimostra l’oppressione sistemica nei confronti transessuali. È una battaglia di principio: ma perché non posso essere libera? Se solo avessi la piattaforma dalla mia parte forse neanche mi offenderei. Anche se certo, confesso, sentirmi dire che non sono una donna “vera” mi fa soffrire, mi addolora dopo tutto il percorso che ho affrontato con coraggio. Perché serve coraggio. Ma la piattaforma non è dalla mia parte. La transfobia sui social viaggia liberamente.

Cosa potresti dire all’azienda che gestisce questi social?
Ho lanciato un hashtag #FixInstagram che si ispira alla frase che Lelaah Alcorn scrisse sul finale della sua lettera di addio Fix Society  I social sono parte integrante della società, bisogna dirlo. In un mondo blindato dove nessuno parla con nessuno, molti hanno lo sguardo fisso sul cellulare e spesso utilizzano la loro frustrazione per ferire e fare male agli altri.  Instagram censura i corpi trans, i post delle persone trans e poi fa del rainbow washing nel mese del Pride. Una verniciata per poi continuare l’oppressione eterocisnormativa delle persone transessuali. E vorrei aggiungere un’altra cosa.

Prego
Denunciate. So di non essere l’unica. Dobbiamo parlarne, parliamone. Questo è un mondo tossico per noi minoranze. Dobbiamo sistemarlo.

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wolfie 10.2.22 - 12:31

Marco Crepaldi è uno psicologo e su youtube fa video estremamente moderati in cui affronta diverse tematiche, il fatto che questa qua lo definisca "antifemminista", quando in realtà non lo è affatto, spiega molte cose...vorremmo conoscere anche l'altra versione e non soltanto il monologo vittimista di questa persona.

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