Omofobia e odio su Instagram: come si combattono secondo Matteo “Rastelling” Rastelli – Influenza arcobaleno

La nostra intervista all'influencer e attivista LGBT Matteo Rastelli.

Matteo Rastelling Rastelli influencer impegnato contro odio e omofobia su Instagram e TikTok
7 min. di lettura

Dopo l’intervista a Eloisa, continua su Gay.it Influenza arcobaleno, interviste a influencer LGBTQ+ sulla loro carriera nel mondo digitale. Oggi parliamo con Matteo Rastelli, @rastelling su Instagram dove ha 84,5mila follower (ma lo trovate anche su TikTok). Rastelli è un influencer parte della comunità queer nato come blogger di moda, arte e viaggi ma oggi impegnato a discutere anche tematiche legate al mondo LGBTQ+ e nella lotta contro odio, omofobia e transfobia online.

La carriera di Matteo “Rastelling” Rastelli su Instagram

Ciao Matteo! Partiamo raccontando un po’ chi sei al pubblico di Gay.it.

Buongiorno a tutte e a tutti, io mi chiamo Matteo e sono su Instagram un creatore di contenuti (o content creator se vogliamo dirla un po’ all’inglese) e coniugo questa mia attività online con quello che faccio offline, che in questo momento è in pausa a causa della situazione che tutti viviamo. Ho sempre lavorato nella moda, nell’abbigliamento, coniugandoci una parte di creazione di contenuti non solo relativi a quello ma anche all’arte, ai viaggi… insomma, tutti quei contenuti che un content creator porta su Instagram. Da un po’ di tempo, ho però deciso di dedicare una parte della mia attività su Instagram a tematiche un pochino più complesse e (se vogliamo) divisive relative a diritti umani, parità di genere e alla comunità LGBTQ+. Lo ho fatto perché ho sempre sentito il bisogno di affiancare a una attività diciamo disimpegnata una parte che fosse divulgativa.

Come hai iniziato?

Sono partito come partivano tutti nel 2014-2015 su Instagram: facendo foto. Postavo quello che interpretavo fotograficamente nei viaggi che affrontavo. Instagram inizialmente era solo una raccolta di fotografie: non c’erano Stories, Reels, video e dirette, non c’erano i marchi. Siccome sono laureato in Beni culturali e mi piace molto l’arte, quindi anche la fotografia, ho iniziato a far foto e a pubblicarle. Questo fino al 2017, quando ho staccato, ho avuto un blocco e ho abbandonato Instagram per due anni. Quando sono tornato alla fine del 2019 ho cambiato approccio.

Matteo Rastelling Rastelli influencer impegnato contro odio e omofobia su Instagram e TikTok
Foto per gentile concessione di Matteo Rastelli

E hai cominciato a portare contenuti divulgativi?

Sì, ho cominciato a parlare un po’ più di me come persona, a mostrarmi anche nelle mie passioni quotidiane. Ho cominciato a vivere Instagram come un social network, mentre prima lo vivevo come un blog personale di fotografia in cui non c’era uno scambio. Io non crescevo da nessun punto di vista, se non magari artistico.

Ed è in questo momento che hai fatto coming out verso la tua comunità online?

Diciamo di sì. In realtà anche prima, nel 2017, avevo già pubblicato varie immagini magari per celebrare il mese del Pride o foto realizzate durante il Pride. Quindi già prima avevo abituato le persone a vedere contenuti LGBTQ+ sul profilo. Però ho deciso di espormi in prima persona nel 2020.

Come è stata la reazione?

È stata ambivalente. Molto positiva da una parte e molto negativa dall’altra. Avevo già all’epoca circa 50mila follower, dopo due anni di inattività, ed erano follower giunti sul mio profilo per i contenuti fotografici, perché amano l’Italia o perché amano come interpreto le immagini. Un pubblico estremamente eterogeneo. Quindi ho ricevuto sia grossissime soddisfazioni da parte di persone che si sono sentite al sicuro in uno spazio social che non fosse solamente bello da gardare ma che fosse anche uno spazio in cui puoi esprimerti. Ma c’è anche chi la ha presa in maniera molto negativa: ho dovuto bloccare centinaia di persone.

Come tieni sperata la tua vita personale da quella di content creator? Di solito in questo ambito c’è una grandissima rappresentazione della vita personale del content creator. Tu invece tieni le due cose molto separate.

Sì, non totalmente ma rispetto alla media dei content creator sì. Io non riesco a fondere completamente queste due sfere perché ne risento proprio a livello emotivo. Non è facile riuscire a esporsi totalmente, perché sei esposto (appunto) a qualsiasi genere di commento, non c’è abbastanza educazione digitale e quello che ricevi è fuori controllo. Come persona che soffre di disturbi d’ansia non riesco a vivere in maniera sana una completa fusione e neanche sono sicuro che per me sarebbe la scelta più giusta. Seleziono quello che penso sia più utile a chi guarda in base all’intenzione che ho. Se sto cercando di comunicare un messaggio scelgo cosa mostrare per creare empatia, certe volte mostro tanto, anche nelle debolezze, tante altre volte cerco di proteggerle perché penso che sia importante il messaggio e meno il fatto che c’è dietro e che riguarda la mia storia personale.

Matteo Rastelling Rastelli influencer impegnato contro odio e omofobia su Instagram e TikTok
Foto per gentile concessione di Matteo Rastelli

Oltre a Instagram che social usi come content creator?

Su Instagram ho iniziato proprio a lavorarci, quindi è la base di tutto. Ho iniziato con delle collaborazioni, già da un annetto. Ma sono anche su TikTok, che però non gestisco in maniera fitta quanto Instagram.

Che contenuti porti su TikTok?

Su TikTok i miei contenuti sono quasi unicamente di tipo divulgativo e socioculturale. Ci sono anche contenuti disimpegnati, tipici di TikTok e dei suoi trend, ma soprattutto parlo di inclusività. Lì mi dedico soprattutto a quello perché è una piattaforma frequentata da tante persone giovanissime e penso che sia più utile portare le proprie esperienze lì sopra.

È diversa la ricezione che hai su Instagram e su TikTok?

Sì. Non posso fare un vero paragone perché è diverso il numero e il tipo delle persone che mi seguono sulle due piattaforme, ma su TikTok questi contenuti, relativi all’inclusività o alla politica, sono più sentiti. Le persone sono più portate a commentare e soprattutto a supportare. Le persone su TikTok supportano molto il tuo contenuto, lo condividono, cercano di spingerlo. È un’utenza più giovane, più interessata a questi temi, meno disillusa. Instagram invece è diventata per molte persone una propaggine della nostra identità, esporsi vuol dire rischiare di perdere consensi, e le persone lì sono allora più neutrali.

La lotta contro odio e omotransfobia su Instagram

Su Instagram hai parlato dei network dell’odio online.

Quel contenuto riguardava soprattutto Telegram. Anche su Instagram esiste una comunità che si approccia al social network in maniera distruttiva, creando una serie di account troll per buttare giù determinati contenuti e diffondere messaggi d’odio. Ed è un fenomeno in continua espansione, legato principalmente ad altre piattaforme: su Telegram è più facile sfuggire a controlli, e da lì o da altri forum online partono questi gruppi. Basta pensare all’ultima trovata dell’orientamento sessuale super straight [superetero], che nasce da TikTok ma probabilmente viene da forum online ed è stato poi viralizzato attraverso social come appunto TikTok o Instagram. Si parte da fuori, dove puoi organizzarti, per poi viralizzare i contenuti mascherandoli in modo che non siano immediatamente riconoscibili come contenuti d’odio.

Matteo Rastelling Rastelli influencer impegnato contro odio e omofobia su Instagram e TikTok
Foto per gentile concessione di Matteo Rastelli

Certo, non dici “sono transfobo,” dici “sono super straight,” e hai realizzato un contenuto hashtaggabile…

Viralizzabile, equivocabile… alle persone meno abituate all’argomento sembrano cose assolutamente condivisibili. E quindi tante persone hanno iniziato a usare questo hashtag senza realizzare che sia discriminatorio.

Perché i contenuti d’odio funzionano tanto bene sui social?

È un discorso ampio, ma sicuramente c’è da dire che la narrazione che media e politica fanno da tanti anni a questa parte contribuisce a banalizzare determinate tematiche e ci ha abituati a essere più ricettivi a slogan che vanno a cercare un capro espiatorio rispetto a contenuti che invitano alla riflessione. Siamo drogati da una narrazione di questo tipo. E poi, esporsi su Instagram non giova: vai in conflitto, perdi pubblico (magari ne ottieni altro, ma devi affrontare la perdita), devi confrontarti con aziende che non hanno tanta voglia di collaborare con una persona che si espone… e quindi si spinge su un contenuto quanto più neutrale possibile.

Come si bilancia la necessità di fare contenuti complessi e il trovarsi su un social come Instagram, che non è neanche nato per questi contenuti ma per le foto?

Instagram non ti paga per creare dei contenuti, non è che creare contenuti porta un traffico monetizzabile come su YouTube, quindi quello che fai è finalizzato al massimo a collaborazioni esterne o sponsorizzazione di prodotti. Ma quando fai un contenuto sociale o culturale non sei né pagato da Instagram né hai un ritorno immediato da un qualche marchio. Lo si fa perché ci si crede. Fin quando riesci a gestire il tuo benessere mentale ed esporti puoi andare avanti. Poi, io non penso di sostituirmi a un attivista, a un giornalista o a un divulgatore. Nella mia idea di Instagram tutti dovrebbero dedicare un piccolo spazio per normalizzare questi contenuti e facilitare il lavoro di chi fa divulgazione.

È un problema esporsi su questi temi per quando poi si tratta con le aziende?

Assolutamente. Anche a livello di proposte e collaborazioni, durante il mese del Pride o quando accade qualcosa di rilevante c’è maggiore esposizione da parte delle aziende sulle tematiche LGBTQ+, ma nel resto dell’anno gli stessi contenuti non ricevono la stessa attenzione. È un problema di educazione all’inclusività nelle aziende: non sono ancora tutte pronte ad affrontare il tema. Ancora molte tendono a mantenere un’immagine neutrale, anche quando scelgono lo sponsor. E se questo può essere giustificabile per aziende piccolissime e senza fondi, aziende più strutturate dovrebbero rivolgere la loro attenzione a chi cerca di creare uno spazio davvero inclusivo invece di guardare solo i numeri degli influencer.

Matteo Rastelling Rastelli influencer impegnato contro odio e omofobia su Instagram e TikTok
Foto per gentile concessione di Matteo Rastelli

Quali sono i contenuti importanti da portare oggi al pubblico di Instagram o TikTok?

Uno dei temi fondamentali da affrontare è il linguaggio, insegnare per esempio quali parole siano veri e propri insulti. Perché abbiamo maturato un’idea dei social come zona franca in cui puoi dire qualsiasi cosa mascherando ciò che dici come libertà di espressione. Questo secondo me dipende anche dall’assenza di educazione al social: ci siamo trovati dentro a un’era digitale, ma non abbiamo mai studiato a scuola netiquette, o educazione civica rapportata alla rete. Abbiamo considerato lo spazio digitale come staccato dallo spazio reale, ma poi in realtà si sono fusi completamente. Per me educare al linguaggio è fondamentale: qualsiasi trema tu tratti, non puoi affrontare niente con la paura di ricevere tonnellate di linguaggio d’odio. Poi c’è il tema dell’inclusività, che abbraccia non solo la comunità LGBTQ+ ma le differenze di qualsiasi tipo. Cercare di inculcare in chi ti segue che questo è uno spazio dove tu non tollererai certe cose, dichiare che si voglia essere inclusivi. Finché lo faccio io, le persone che non vogliono affrontare certi temi possono andarsene dal mio profilo e trovare altre persone da seguire. Se lo facessimo tutti, a un certo punto le persone dovrebbero per forza affrontare l’argomento. Non c’è bisogno che una persona con una certa influenza su Instagram si erga a paladino dei diritti, c’è bisogno dal mio punto di vista che si dedichi uno studio all linguaggio, all’espressione, alla formulazione dei contenuti e quindi anche all’educazione della propria community. Perché è vero che non spetta a me educare chi mi ascolta, però è come se chi mi ascolta nel mio profilo fosse a casa mia, e a casa mia io posso dire “non mettete le scarpe sul divano.”

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Stefano Lani 18.4.21 - 14:24

Diciamo che il SUPER SAYAN STRAIGHT 3 non è discriminatorio, significa che hai bisogno di ribadirlo perché non sei in grado di reggerlo (...) Del tipo spostate proprio omo... non mi guardare neanche che ti do' una capocciata, o "io posso guardare un paio di bocce nella scollatura, ma se tu mi guardi un capezzolo sono guai... non ti preoccupare,Uomo Supremo, ti ho gia' fatto muro, o il tipico" ma chi te se n'cxla? (ah gia',sarebbe il contrario...)

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