Non si ferma l’escalation di violenze e discriminazioni contro la comunità LGBTQIA+ in Africa.
Questa volta, le minacce arrivano dal presidente del Burundi – Evariste Ndayishimiye – che durante una conferenza stampa tenutasi venerdì 29 dicembre, ha invitato la popolazione a “portare gli omosessuali in uno stadio per lapidarli”.
Ndayishimiye non è nuovo a dichiarazioni di questo tipo: nel commentare l’arresto di 24 persone per “pratiche omosessuali” – un reato punibile con fino a due anni di carcere – aveva già esortato i cittadini a stanare ed ostracizzare la comunità LGBTQIA+ con qualsiasi mezzo.
Per il presidente di una delle nazioni più omofobe dell’Africa orientale insieme alla vicina Uganda – che quest’anno ha emanato uno dei regolamenti più draconiani in ambito di pene per la comunità LGBTQIA+ -, l’omosessualità sarebbe un male importato dall’Occidente, una vera e propria maledizione da scongiurare con ogni mezzo a disposizione.
Un filone di pensiero condiviso con diversi altri capi di stato Africani, che nell’ultimo anno hanno esacerbato le persecuzioni verso individui LGBTQIA+ e altre minoranze anche in sfida all’Occidente, che minaccerebbe la sovranità africana tramite ricatti finanziari nel caso in cui i suoi governi si rifiutassero di aderire a principi condivisi in ambito di diritti umani.
Dal Kenya al Ghana, passando per il Senegal, la Nigeria e il Burkina Faso, l’ondata di omofobia che ha travolto l’Africa quest’anno è ormai endemica. Una questione che tira in ballo equilibri finanziari e politici sempre più delicati, con Stati Uniti e Europa pronti a far saltare ingenti accordi economici nel caso in cui la situazione dovesse persistere.
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