Bla Bla Land. Tutto un gran parlare di La La Land ma poi, con colpo di scena davvero incredibile, vince come miglior film Moonlight! È stato davvero un finale al cardiopalma agli 89esimi Academy Awards: dopo la miglior regia andata a Damien Chazelle per La La Land i giochi sembravano fatti, e infatti Faye Dunaway affiancata a un Warren Beatty misteriosamente titubante annuncia il miglior film: “La La Land!”. Sul palco sale il produttore Jordan Horowitz mentre Damien Chazelle resta un po’ dietro. Partono i ringraziamenti di rito ma poi il responsabile del palco annuncia che c’è stato un errore, e “It’s not a joke”, non è uno scherzo: a Warren Beatty è stata data la busta col nome di Emma Stone, vincitrice della statuetta come miglior attrice (e regale in memorabile Givenchy dorato). Quindi arriva la busta corretta e sì, ragazzi, per la prima volta nella storia degli Oscar vince come migliore film un lungometraggio gay!
“Neanche nei miei sogni questo momento si era mai avverato – afferma il regista Barry Jenkins, sbalordito -. Spero che questo Oscar sia di ispirazione ai ragazzi di colore che si sentono emarginati e soli. Spero che vedere recitare questo gruppo di artisti li possa aiutare”.
Riesce a Moonlight quello che era mancato a Brokeback Mountain undici anni fa, esattamente al contrario: vince come miglior film ma non come miglior regia, premi di solito appaiati. Moonlight conquista anche altri due meritatissimi Oscar: quello per la migliore sceneggiatura non originale e il primo Academy Award della serata, quello per il migliore attore non protagonista, Mahershala Ali, che nel film interpreta il commovente spacciatore Juan. Ali lo ha dedicato alla moglie “che quattro giorni fa mi ha dato la mia bella bambina” e ha ricordato i suoi “insegnanti fantastici e quello che mi hanno sempre ripetuto: devi essere al servizio dei tuoi personaggi”.
Altro momento gay: Il regista Byron Howard ha ringraziato il marito ritirando l’Oscar per il migliore film d’animazione Zootropolis.
Il favoritissimo La La Land, dalle quattordici nomination iniziali, vince sei statuette (regia, attrice protagonista, fotografia, scenografia, musica e la canzone originale City of Stars).
Per il resto dei premi, tutto secondo copione: migliore attore il bravissimo Casey Affleck per il bello e dolente Manchester By The Sea, che conquista anche la sceneggiatura originale. Miglior attrice non protagonista, a conferma di una serata molto ‘black’ dopo gli Oscar ‘so white’ dell’anno scorso, un’emozionata Viola Davis per Barriere.
Miglior film straniero l’iraniano The Salesman, intenso e teatrale, ma il regista Farhadi, al suo secondo Oscar, non c’è per protesta contro il muslim ban di Trump.
L’Italia si consola col premio ai truccatori Alessandro Bertolazzi e Giorgio Gregorini di Suicide Squad, mentre il documentario Fuocoammare cede sotto la spinta di O. J. Simpson: Made in America.
Cerimonia noiosissima, col presentatore Jimmy Kimmel che non sfrutta l’aura politica e lancia ogni tanto battutine mosce su Trump (gli invia anche un tweet: “Trump, sei sveglio?”).
Per il cinema gay è davvero un evento storico, a maggior ragione per l’incredibile scambio di buste: vince la poesia, l’emarginazione sociale, la cine-rapsodia ammaliante, lo sguardo d’autore. Perde l’omofobia.
Piccolo, grande Chiron, ce l’hai fatta!
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Occhio che Moonlight ha vinto per la sceneggiatura NON originale (è tratto da una pièce mai rappresentata).
Non sono molto d’accordo sul mosciume della serata. Il presentatore era in palla e i riferimenti a Trump, e in generale alla situazione politica, sono stati numerosi.