Il tentativo del Pakistan di fare un notevole passo avanti sui diritti LGBTQ+ ha subito una brusca frenata nelle scorse ore quando il CII – Council of Islam Ideology – ha dichiarato contro le leggi della Sharia la proposta di legge avanzata nel 2018 che avrebbe riconosciuto il cambio di genere legale per le persone trans* nel Paese secondo il principio dell’autodeterminazione.
Il disegno di legge era stato approvato dall’Assemblea nazionale nel 2018. In sospeso da allora, a novembre 2021 era stato sfidato da una contro proposta del senatore Mushtaq, da sempre accanito oppositore della legge. Entrambe le proposte si trovano ancora in sospeso presso la Camera alta del Parlamento.
Il testo della legge proposta dall’Assemblea nazionale recitava:
«Ogni persona transgender, cittadina pakistana, che abbia raggiunto l’età di diciotto anni ha il diritto di farsi registrare secondo l’identità di genere auto-percepita con NADRA su CNIC, CRC, Patente di guida e passaporto in conformità con le disposizioni dell’Ordinanza NADRA, 2000 o qualsiasi altra legge pertinente»
Le modifiche proposte da Mushtaq, invece, prevedono la creazione di una commissione medica che decida se sia opportuno per una persona cambiare sesso invece dell’autodeterminazione. Nella commissione dovrebbero essere appuntati un medico professore, uno psicologo, un chirurgo generale maschio, un chirurgo generale donna e un ufficiale medico capo.
Certo, verrebbe meno il principio dell’autodeterminazione, ma sarebbe comunque un notevole traguardo per un Paese in cui, nonostante il terzo genere sia riconosciuto, l’omosessualità è ancora illegale. Paradossalmente, la società pakistana è più incline a tollerare le persone transgender che non quelle gay, lesbiche o bisessuali, quando solitamente accade il contrario. Il fatto che si tratti di una Repubblica islamica potrebbe far pensare nell’immaginario comune che i diritti LGBTQ+ siano calpestati.
In realtà, la situazione è nettamente migliore rispetto ad altre parti del mondo: la Corte Suprema di Islamabad ha riconosciuto il terzo genere nel 2009 insieme al diritto di voto per le persone LGBTQ+. Il che non significa, ovviamente, che la situazione sia idilliaca. Esponenti del clero religioso sono ancora contro l’omosessualità e non mancano casi di omofobia, discriminazioni, violenze e persino omicidi. La realtà è spesso diversa da quanto scritto sulle carte, ma quanto meno la legislazione pakistana riconosce alcuni diritti alla comunità, cosa che non si può dire di altri Paesi del Medio Oriente.
Per questo è stata accolta con stupore la protesta dei leader religiosi, che sembrano aver trovato un modo per affossare definitivamente il disegno di legge che, oltre a garantire i pieni diritti alle persone transgender, introdurrebbe anche sanzioni per gli atti di discriminazione e violenza nei loro confronti. La motivazione che hanno addotto consiste nel fatto che l’ordinanza andrebbe contro i principi stabiliti dalla Sharia, la legge islamica a cui si attengono le Repubbliche islamiche del Medio Oriente.
La scorsa settimana il caso è stato discusso dal Tribunale federale della Sharia capitanato dal giudice Syed Muhammad Anwar. All’udienza l’aula era affollata da persone transgender, accorse da tutto il Paese per la preoccupazione circa il loro futuro. Tramite una delegazione, hanno chiesto al tribunale di ottenere l’assistenza di esperti di genere dovesse la commissione medica diventare realtà e hanno fatto appello alle autorità di non intraprendere azioni contro la comunità transgender.
Il giudice Anwar ha dichiarato: «Il nostro obiettivo è proteggere la comunità e garantire che ottengano i propri diritti. Chiudere gli occhi non risolverà alcun problema».
La proposta di legge è quindi destinata ad essere discussa nuovamente in Parlamento. Gli attivisti sono in stato di allerta per i possibili tentativi dei leader religiosi di affossarla, ma sono anche fiduciosi. Se la legge dovesse veramente passare, sarebbe un esempio per tutte le Repubbliche islamiche dove tutti i diritti civili della comunità LGBTQ+ sono ancora negati.
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