Panthera Virus si definisce la goth sex doll del panorama drag italiano, 29 anni, ciociara di origine, ma fiorentina d’adozione, ha debuttato fra le protagoniste della seconda edizione di Drag Race Italia, presentando un’estetica provocatoria, tra fetish, punk e influenze goth dei gruppi new wave.
L’esaltazione della nudità, l’eros sottile e il rimando continuo al feticcio ricercato in allusioni sadomaso, sono state le note performanti più saporite per gli amanti del drag modaiolo ma un po’ freak; e Panthera Virus è tutto questo, regina dell’oscurità, divinità cimiteriale affascinante che sorge dalle acque salmastre della moda, stringata e legata, pronta ad essere sacrificata in un falò voodoo.
Matteo Carlomusto aka Panthera Virus, nasce come designer di moda, stella promessa delle nuove leve controcorrenti del panorama berlinese. Matteo presenta la sue collezioni, a partire dal 2015, in giro per l’Europa principalmente in contesti alternativi e di nicchia come il Berghain di Berlino, dove ha avuto modo di fare il suo debutto fashion. Negli anni, Matteo ha presentato diverse collezioni, tra cui l’ultima “Porn Couture”, e ha avuto modo di collaborare con artisti musicali e della scena queer mondiale come Aquaria, Brooke Candy, Maneskin e Rosa Chemical.
Lo abbiamo incontrato per voi.
Come nascono i tuoi costumi e qual è il tuo preferito?
Prima della partecipazione al programma (ndr Drag Race 3 si farà, ecco qui >) non avevo mai realizzato nulla per me stessa, ho sempre indossato capi del mio brand che nascevano per altri scopi. D’altronde, con il mio drag, avevo fatto pochissime apparizioni. Circa un anno fa, dopo aver scoperto di far parte del cast, ho iniziato a lavorare per la prima volta su me stessa, ed è stato molto stimolante passare in primo piano come protagonista dell’abito stesso, e non come l’artista che c’è dietro. Non avevo messo in conto, però, che nel mio personaggio potessero esserci ispirazioni diverse e un lavoro di immagine che, per quanto simile al mio gusto di stilista, si discostasse in lieve forma da quello su cui avevo precedentemente lavorato. Nasce così il mio costume preferito, un abito e degli accessori realizzati interamente da capelli, con il quale ho sfilato nella puntata finale della Race. Uno dei primi vestiti che ho disegnato per me, ma l’ultimo su cui ho messo mano prima di partire per l’avventura.
Parlaci del rapporto tra Matteo e Panthera.
Non amo molto discostare Panthera da Matteo, perché sono la stessa persona.
Una cosa che il drag mi ha aiutato a fare però è senza’altro restituire a Matteo la sicurezza e l’autostima che negli anni stava perdendo. La figura di Panthera, al contrario di Matteo, è una figura decisa, fiera, e a tratti prepotente, e, grazie ad essa, ho ritrovato la persona che ho sempre pensato di essere anche out of drag.
Il drag ha aiutato la mia persona in un lavoro di autoanalisi. E la persona ha aiutato il mio drag ed avere meno sovrastrutture.
Qual è il ricordo più bello della tua esperienza a Drag Race e quello più brutto?
Il ricordo più bello è sicuramente il momento in cui sono entrata in werkroom e ho visto con i miei occhi l’intera macchina di lavoro che c’è dietro. In quel momento tu sei catapultata improvvisamente in una nuova realtà di cui stai per fare parte e provi miliardi di emozioni nel tuo cervello, che però al tempo stesso vengono riprese da una telecamera. Quindi inconsciamente fai un doppio lavoro: lo stupore di un bambino con il nuovo giochino e la faccia da poker di un professionista che sta iniziando una nuova avventura.
E’ stato bello scoprire lì per lì, realmente, quali fossero le compagne di viaggio, cercando di capire i punti forti e i punti deboli di ognuna fin dal primo momento, oltre ovviamente alla bellezza che nascondevamo dietro le nostre maschere. Anche loro hanno fatto parte del mio percorso in maniera considerevole perché per quanto io possa essere andata avanti per la mia strada, sono anche il frutto delle dinamiche che mi hanno circondato.
Il ricordo più brutto invece è stato capire, in più punti del percorso, che non era una guerra ad armi pari e che il mio duro lavoro di preparazione, da bambino ingenuo con gli occhi a cuoricino che stava per realizzare un sogno, non sarebbe stato premiato soltanto in base alla meritocrazia. Ancora più brutto, pero, è stato assistere, come in terza persona, al mio fallimento nelle prove che mi hanno portato, meritatamente, all’eliminazione.
Sono proprio i momenti più brutti però ad avermi insegnato tanto e se riguardo indietro sembra passata un’eternità e questa cosa mi fa capire quanto io mi sia evoluta in così poco tempo.
Quali sono i tuoi modelli di riferimento? Icone?
Nel lavoro di ricerca che è alla base dello studio costante del mio personaggio ci sono senz’altro quattro figure ben distinte come Diamanda Galas, Nina Hagen, Kembra Pfahler e Siouxsie Sioux. Esponenti illustri di un movimento che ha fortemente segnato una base salda della moda libera e avanguardista.
Loro quattro hanno caratterizzato molto, grazie al loro aspetto piuttosto che alle loro discografie, il make-up di Panthera dando vita ad un risultato che è frutto della loro ispirazione contaminata all’estetica che ho sempre cercato di raggiungere nel mio brand. D’altronde è anche grazie al mio lavoro che nasce il mio drag, avevo bisogno di una figura femminile come musa e ho deciso di crearla io.
Fra le varie Drag internazionali qual è la tua preferita e quella con la quale ti riconosci maggiormente?
Nel corso degli anni ho seguito Drag Race con molta passione e le prime drag a cui mi sono affezionata sono state, per motivi diversi, Tammie Brown e Violet Chachki. Loro due, seppur diverse anni luce tra loro, rappresentano quello che amo nel drag. Tammie Brown è la classica drag che mi fa sorridere anche restando ferma, trovo geniale la sua comicità e il multiverso dentro cui vive. Di Violet invece sono affascinata dal cambiamento che ha portato nell’arte performativa delle Drag del franchise, discostandosi molto dal classico cabaret a cui tutti eravamo abituati e avvicinandosi di più al mondo del burlesque e alle dive di un tempo. E’ scontato sottolineare che traiamo ispirazione dallo stesso universo fetish e questa cosa mi porta spesso a sentirla molto vicina alla mia visione di drag.
Mi riconosco anche, ma più sotto un aspetto etico e Queer, in Bimini.
Artista inglese geniale con cui ho avuto il piacere di collaborare più di una volta. Penso che lei sia il vero ritratto della libertà nel mondo drag, che talvolta ti porta a chiamarlo anche con nomi diversi. E per me quando inizi a sentire la necessità di distruggere il binarismo di alcuni termini che senti stretti hai fatto bingo, soprattutto in tempi come questi dove il 90% delle persone fa riferimento all’arte drag solo in base ad un format televisivo che, per forza di cose, è diventato mainstream, ed è automaticamente limitativo per molt*.
Come definiresti il panorama drag Italiano di questo periodo?
In fermento.
Trovo molto bello che negli ultimi anni stiano nascendo nuove Drag ma soprattutto nuove tipologie di Drag. Più libere. Più creative. Più coraggiose.
Ed essendo nata da poco anche io, penso di far parte di questo nuovo movimento.
Panthera Virus in una t-shirt dedicata ai lettori di gay.it, cosa ci scriveresti?
VIRUS IS HERE
https://www.instagram.com/panthera.virus/
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