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“Ho venticinque anni, sono bisessuale, e ancora non me la sento di dirlo a chiunque. Lo sanno alcuni miei amici stretti, ma in altri contesti – tipo università o lavoro – preferisco evitare. Anche con i miei genitori, continuo a sviare il discorso. Anche la definizione bisessuale non so se mi calza appieno, è qualcosa che varia e non so ancora inquadrare da che parto pendo, e per questo non sono sicuro su come definirmi e a volte temo di non essere ‘credibile’, verso me o gli altri. Ma non posso vivermela felicemente lo stesso?”
(Marta, Velletri)
Siamo sommersə da mille definizioni e termini ombrello che se da una parte ci aiutano a comprendere di più le nostre infinite sfumature, dall’altra riducono la nostra identità ad un cartellino da timbrare.
Come scegli di definirti è un percorso assolutamente tuo, ma trovare la parola giusta non dovrebbe essere l’obiettivo primario.
Hai tutto il tempo di confermarlo, confutarlo, evolverlo, e riparlarne diversamente a distanza di tempo. Nel frattempo rispondere anche non lo so è un’opzione valida e rispettabile, che non toglie nulla a quello che stai vivendo.
Capisco che a volte spiegarlo può essere una rottura.
C’è ancora questa concezione del coming out come un grande evento d’annunciare con violini in dissolvenza e applausi in platea. Una grande ‘rivelazione’ (o peggio ancora, confessione) da fare riuniti a tavola, rischiando di mandare di traverso il pranzo a nonna. Anche con le celebrità è così: la sessualità è ancora una notizia, uno scrutinio costante da confermare o smentire, agli occhi di chiunque.
La pressione è reale, ma la verità è che non siamo tenutə a vivercela così: fare un coming out all’acqua di rose è anche un privilegio, a seconda del contesto sociale che ci circonda, soprattutto se parliamo di famiglia e lavoro.
Ma anche se abbiamo la fortuna di trovarci in un contesto progressista e sensibile, dover far sapere agli altri chi sei non è un dovere morale a cui sei obbligatə a rispondere.
Perché non potermelo vivere senza annunciarlo? Perché non poter essere chi sono senza renderlo un esame da superare davanti il corpo docente?
Non è normale sentirsi a disagio, ma in una società che ci ha cresciute a pane ed eteronormativa è più che comprensibile.
Ma invece di soccombere a questo disagio, scegli tu con quali armi fronteggiarlo, affidandoti ai mezzi che ritieni più sicuri per te in questo momento.
Spesso prima di scoprirci davanti agli altri, necessitiamo ancora tempo per farlo solo davanti a noi stessə: stando alle nostre regole, i nostri imbarazzi, contraddizioni, e piccole grandi vittorie personali.
C’è un potere d’autodeterminazione forte e inconfutabile nel dire chi sei, ma non segue un iter unico per chiunque.
Non sentirti costretta a fare qualcosa che ora non desideri o di cui non senti l’urgenza, solo in funzione della narrazione dominante.
Coming out significa letteralmente uscire fuori, allo scoperto. Ma quando, con chi, e come uscire è una scelta tutta tua.
Forse non sentirai mai il bisogno di farlo con i tuoi colleghi o genitori, o forse accadrà in maniera molto più imprevedibile, spontanea, e banale di quel che credevi: nel migliore dei casi, non fregherà nulla a nessuno.
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La domanda posta da Mara è di quelle complesse, difficile darne soluzione semplice e permettimi di dire che la risposta dell'articolo è piuttosto semplicistica. Il coming out è qualcosa che incide pesantemente sul vissuto quotidiano di un omosessuale. Viviamo in una società in cui gli eterosessuali si sentono a proprio agio e parlano apertamente della propria vita sentimentale/sessuale. Quando tuo fratello parla della sua fidanzata o la tua collega di ufficio ti parla di suo marito o anche la cassiera del supermercato fa una battuta perchè non trova uno straccio di fidanzato, tu, che hai deciso di non fare coming out di vivertela "felicemente" così, che fai? Non parli? Cambi discorso? Fuggi via? E se ti fanno una domanda diretta? Sei gay? Il coming out è inesorabile, non permette soluzioni di comodo. O decidi di dirlo chiaramente e vivere alla luce del sole oppure entri nella categoria delle "velate", quelli con i partner inventati, dei troppi impegni di lavoro e altre amenità del genere.