Un premio Oscar come miglior attore protagonista con La vita è Bella, 8 David di Donatello, un Bafta, 4 Ciak d’oro, un Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes, 9 Nastri d’Argento, un Premio César e un Leone d’Oro alla Carriera, Roberto Benigni, dal 2005 Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, compie oggi 70 anni.
Mezzo secolo di carriera per uno degli attori più amati d’Italia e tra gli italiani più famosi al mondo, piccolo Diavolo anni ’80 che incuteva terrore in diretta tv per le sue improvvisate pazzie per poi diventare poeta, letterato, commentatore della Divina Commedia di Dante Alighieri, divulgatore dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana e dei dieci comandamenti biblici.
E non solo questo. Nel lontano 2009, dinanzi a Povia che in concorso cantava Luca era Gay arrivando ad un niente da una vittoria che sarebbe stata vergognosa (trionfò Marco Carta), Benigni emozionò il Bel Paese, recitando a memoria una lettera scritta da Oscar Wilde all’innamorato che lo condusse in carcere, Alfred Douglas, durante la propria prigionia, in quanto condannato perché omosessuale.
Nove memorabili minuti che videro Benigni replicare alle infinite polemiche che seguirono il brano firmato Povia. “Gli omosessuali non sono fuori dal piano di Dio“, precisò Benigni. “Non è un peccato, di peccato c’è solo la stupidità, gli omosessuali ci hanno dato dei doni enormi. Per rendere l’idea di quello di cui stiamo parlando, della ridicolaggine, immaginatevi che gli omosessuali sono stati seviziati, torturati, nei campi di concentramento, perché amavano un’altra persona. E non c’è delitto più infame. Voi immaginatevi un etero che si innamora focosamente di un altro eterosessuale. A un certo punto lo prendono, lo torturano e lo uccidono perché si è innamorato. Quello è il motivo, non ce ne sono altri. Gli omosessuali sono stati torturati perché amavano un’altra persona. È un’assurdità, è talmente incredibile che si parli in modo ancora così rozzo degli omosessuali. Non è che finisce la razza, come ha detto qualcuno“. E a seguire, Benigni recitò a memoria lo storico De Profundis di Oscar Wilde (qui nella sua interezza), al cospetto di 14.173.000 telespettatori.
Undici anni dopo, nel 2020, Roberto è tornato al Festival di Sanremo per presentare al pubblico la “prima canzone della storia dell’umanità”: il Cantico dei Cantici, ribadendo l’universalità dell’amore. “Il testo racconta una storia di una coppia, lei e lui che si amano, e rappresentano e sono tutte le coppie in tutte le parti del mondo e in ogni epoca che ripetono il miracolo dell’amore. Tutte le coppie, la donna col suo uomo, la donna con la sua donna, l’uomo col suo uomo. Tutte le coppie che si amano. Non solo queste, rappresenta addirittura ogni persona umana”, precisò Benigni, oggi splendido 70enne.
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