‘SM’ non sta per SadoMaso. Non al cinema. Significa invece ‘Spanking movie‘, film sulle sculacciate. Un sottogenere che a Hollywood ha una sua storia. Il primo è del 1895 e tutto al maschile: Louis-Jean Lumière sculacciava in continuazione un discolo dispettoso ne ‘L’arrosère arrosé‘, cercando di educarlo alle severe norme dell’epoca. Da Tom Sawyer a David Copperfield, poi, “sotto un cielo gonfio di botte”, come direbbe Irvine Welsh, la moda ha preso piede, anzi manata: il momento d’oro sono stati gli anni ’50, dopo il decennio di repressione del codice Hays, quando il fetish underground ha scoperto la sua musa nella darkissima tutta cuoio Betty Page, una delle prime, vere icone gay. In tempi recenti solo un grande come Roman Polanski ha dimostrato una predilezione per questa paterna punizione dal retrogusto erotico: da ‘Che?‘ fino a ‘Per favore non mordermi sul collo‘, passando per ‘Cul de sac‘, tutti si danno sonore sculacciate con somma e reciproca soddisfazione.
Il genere ha una sua nuova primavera grazie a un eccentrico film appena uscito in Italia, ‘Secretary’ dell’esordiente Steven Shainberg, un piccolo caso negli States dove ha incassato 4 milioni di dollari in solo 13 sale (il ‘Galaxy’ di Los Angeles lo proietta da 6 mesi). La provetta dattilografa Lee Holloway, appena uscita da un istituto psichiatrico dove è stata curata per una inspiegabile forma di masochismo autolesionista, trova un posto come segretaria presso il bizzarro avvocato Edward Grey (James Spader che fa il verso al suo Graham di ‘Sesso, bugie e videotape’), timido leguleio senza computer e col pollice verde. Lui è dispotico ed esigente ma lei accetta di buon grado ordini e umiliazioni, come rovistare nel bidone dell’immondizia per recuperare dei documenti. Quando l’avvocato scopre il masochismo della dipendente che ha nella trousse un vero campionario di coltellini e lamette per tutte le esigenze, col pretesto di un errore di battitura, la sculaccia fino a farla impazzire di piacere. Lei allora inizia a riempire di errori le lettere dattiloscritte per ricevere punizioni sempre più estreme ma l’avvocato non sta più al gioco e pretende ben altro.
Non a caso ‘Secretary’, tratto da un racconto breve di Mary Gaitskill pubblicato nella raccolta ‘Cattivo comportamento’, ha vinto il Premio Speciale della Giuria (per il soggetto più curioso) al Sundance Film Festival dove il presidente era John Waters: si tratta infatti della commedia più watersiana degli ultimi anni, ironica e buffa, per certi (per)versi anticerebrale, quasi l’antitesi americanista del profondo e glaciale ‘La pianista’ del maestro austriaco Michael Haneke. E la trasformazione da paffuta provincialotta un po’ imbranata a schiava del sesso in completini aderenti e tacchi a spillo della scatenata Maggie Gyllenhaal, una vera rivelazione, non è meno divertente della connotazione borderline della mamma ossessiva che aspetta cinque ore fuori dall’ufficio per accompagnarla a casa o del padre alcolista e depresso che la vorrebbe sposata con un ragazzo disturbato i cui genitori sono ancora più opprimenti di lui. Sorpresina nel finale un po’ fassbinderiano (anche le relazioni amorose sono crudeli rapporti di potere) che riesce a evitare il surplus di melassa che prende il dominio del film nel secondo tempo.
Curioso e bonario, non parla seriamente né di molestie sessuali né di varianti erotico-sessuali ma dei rapporti interpersonali che non funzionano se alla base non c’è una qualche forma di amore: i fanatici del fetish o del leather che si aspettano un’intrigante storia erotico-deviante si recuperino ‘Skin & bone’ o ‘Il fantasma’. Se vogliono divertirsi, invece, ‘Secretary’ è pronto a servirli. Oppure si vedano in tv il cartoon ‘Hello, Spank!’