Sex work, depenalizzare o legalizzare?

C'è chi è sex work positive. E chi ritiene necessario adottare un atteggiamento sex work neutral.

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Sex work, depenalizzare o legalizzare? - sex work - Gay.it
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Quella del sex work (qui un’intervista) è una tematica estremamente controversa.

Non per la natura dell’attività in sé, ma soprattutto per lo stigma che vi gira intorno, nonché la struttura legislativa aleatoria che non offre garanzie e sicurezza allə lavoratorə del sesso.

La situazione dellə sex workers in Italia e la differenza tra decriminalizzazione e legalizzazione

Il dibattito, in Italia, è rovente. Diversi partiti spingono per la regolarizzazione, mentre altri negano categoricamente un’apertura alla questione – forti anche della presenza del Vaticano in Italia, che da sempre ostacola qualsiasi tipo di liberazione sessuale.

La spaccatura è evidente anche all’interno del movimento femminista intersezionale, ed è innegabile che la tematica abbia dato vita a diverse controversie.

Se alcunə femministə vedono il sex work come l’espressione ultima dell’oppressione patriarcale in tutti gli ambiti, altrə riconoscono la prostituzione come una semplice professione che esiste ed esisterà sempre, perché la donna deve poter disporre come crede del proprio corpo. E dunque questa professione andrebbe legalizzata, regolamentata e messa in sicurezza.

Il nodo principale tuttavia, rimane la differenza tra depenalizzazione e legalizzazione.

La depenalizzazione va di fatto a rimuovere tutte quelle leggi e politiche che vanno di fatto a rendere la prostituzione un’attività illegale, mentre la legalizzazione andrebbe a consentire lo svolgimento della professione in strutture apposite sotto la supervisione degli organi statali.

A oggi, la legislazione italiana è tutt’altro che trasparente quando si tratta di sex work. Se pornografia, attività in webcam e vendita di materiale erotico sono legali, la struttura legislativa sulla prostituzione è decisamente confusa:

  • La prostituzione in sé non è illegale, ma bordelli e protettori lo sono.
  • L’attività in appartamento è tollerata, come anche la pubblicità online, ma l’adescamento in strada è illegale.
  • I club cosiddetti per “scambisti” sono effettivamente tollerati, tuttavia il sospetto che al loro interno potrebbero essere praticate attività di prostituzione può portarne alla chiusura.
  • Unə migrante può ottenere un permesso lavorativo come sex worker, ma solo in attività considerate legali – come lo spogliarello o l’attività di accompagnatorə
  • È possibile pagare le tasse per attività di prostituzione aprendo partita IVA e registrandosi con codice ATECO 96.09.03, tuttavia la dicitura corretta è “attività di accompagnatrici”

Le istanze per la decriminalizzazione

Sebbene quello del sex work sia un dibattito etico che necessita di analisi approfondito, nonché di un’educazione molto più ad ampio spettro sulle conseguenze che un’attività simile può avere sulla salute fisica e mentale, nonché sul futuro in generale di chi lo pratica, è innegabile che urga un intervento legislativo per proteggere lə lavoratorə del sesso.

Secondo le Nazioni Unite, Amnesty International e l’Organizzazione mondiale della Sanità, è fondamentale oggi supportare la depenalizzazione per tutelare i diritti e la sicurezza di chi pratica il sex work, basandosi su evidenze e istanze inconfutabili.

Le raccomandazioni arrivano dalla Nuova Zelanda, che a seguito della Riforma della Prostituzione nel 2003 ha riscontrato diversi benefici dalla depenalizzazione, tra cui anche la possibilità di una maggiore tutela e sistematizzazione della professione.

Qui, infatti, lə sex workers hanno effettivamente una voce, e possono usarla per portare alla luce diverse problematiche nell’ambito di questa specifica industria, avendo maggiori strumenti per difendersi da discriminazioni, ingiustizie e crimini perpetrati nei loro confronti.

Tuttavia, in molti condannano questo modello, definendolo un modo per sviare l’argomento del sex work come ennesimo strumento di oppressione verso le donne – che rappresentano di fatto la maggioranza della forza lavoro in questo ambito, nonché quella più redditizia.

Secondo gli oppositori, la depenalizzazione porta sì a una maggiore tutela verso coloro che scelgono questo particolare percorso professionale, ma non elimina il problema.

Femminismo sex work positive o sex work neutral?

Il femminismo come tale si propone d’includere e tutelare ogni fascia marginalizzata, compresa quella dellə sex worker. Quindi, chiedere a gran voce una depenalizzazione e una tutela è fondamentale.

Tuttavia, nei recenti anni, si è visto un trend preoccupante, che incoraggia ragazzine appena maggiorenni a “prendere la strada più facile” e a lanciarsi direttamente nel mondo del sex work senza aver provato prima un’alternativa.

Con questo, non si vuole affatto dire che questa categoria non meriti rispetto, tutela e accoglienza da parte del movimento femminista, come invece sostengono le cosiddette SWERF – Sex Worker Exclusionary Radical Feminists.

Il discorso è decisamente più ampio di così, e non va estremizzato. Tuttavia, non si può ignorare il fatto che tantissimə sex workers siano entratə nell’industria inconsapevoli dell’impatto sulla salute fisica e mentale che questa professione può avere, specialmente in un’industria selvaggia e non regolamentata, contornata da uno stigma incancellabile per ora come quella del sesso.

Quel momento di dissociazione mentale in cui ti ricordi che centinaia di milioni di persone ti riconoscono solo per il momento più basso, tossico e meno caratterizzante della tua personalità durato tre mesi quando avevi 21 anni” scrive Mia Khalifa nel testo di un TikTok pubblicato nel 2020.

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Secondo una ricerca del BMC Womens Health, sono emerse diverse statistiche preoccupanti sulla salute fisica e mentale delle persone che praticano il sex work come attività principale:

  • Su 692 sex worker intervistatə, il 48.8% hanno dichiarato di aver ricevuto una diagnosi di disturbo mentale correlato alla propria professione
  • I disturbi più comuni sono la depressione (35.1%) e l’ansia (19.9%), mentre il 12.7% ha ricevuto una diagnosi di Disturbo da Stress Post Traumatico a causa di eventi correlati alla professione, i cui più comuni sono violenze verbali, fisiche e sessuali da parte dei clienti

Ad oggi, la professione dellə sex worker è radicata in una struttura patriarcale marcatissima. Senza contare che per molte persone appartenenti a minoranze oppresse o vittime di traffico di esseri umani, si tratta di una scelta obbligata.

Sebbene la depenalizzazione e l’umanizzazione di coloro che la pratica sia una priorità, viene da chiedersi se sia giusto incoraggiare le nuove generazioni a intraprendere un percorso professionale così pericoloso e usurante, votato maggiormente al piacere maschile, mascherandolo come una “riappropriazione del proprio corpo e della propria sessualità”, ovvero l’ottica del sex work positive.

Secondo una frangia del movimento femminista, è invece necessario adottare un atteggiamento sex work neutral, che va effettivamente a lottare per i diritti e la tutela dellə sex worker senza però dimostrarsi positivə e incoraggiantə verso la professione, e sostenendo l’idea di una maggiore consapevolezza ed educazione per coloro che volessero intraprendere questa carriera.

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Parlando di sex work: Intervista con Elettra Arazatah

 

Photo by Lucrezia Carnelos on Unsplash

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