La Tunisia potrebbe aggiungersi ai pochi paesi del Medio Oriente in cui l’omosessualità non è reato. Si mobilitano le associazioni LGBT.
Nonostante l’eccezionale transizione verso la democrazia compiuta con la ‘Rivoluzione dei Gelsomini’ del 2011, in Tunisia i rapporti omosessuali sono ancora puniti dalla legge e l’omofobia nella società rimane eccezionalmente elevata.
Sono tristemente noti i numerosi casi di violenze da parte delle forze dell’ordine su uomini gay o presunti tali finiti in stato di fermo, a cui vanno aggiunte le conseguenze sociali che ricadono sulle vittime, come la possibile perdita del lavoro o le violenze in famiglia.
Secondo Shams, nota associazione LGBT tunisina, solo nel 2017 sarebbero 71 le persone che sono state arrestate in ragione dell’articolo 230 del codice penale che, pur in assenza di testimoni o di flagranza di reato, punisce l’omosessualità con la reclusione fino a tre anni. Eppure stavolta le cose potrebbero finalmente cambiare.
Come racconta sul Corriere della Sera il presidente di Shams Mounir Baatour, l’associazione insieme a All Out ha dato vita a una campagna per chiedere l’abrogazione del famigerato articolo 230 sulla criminalizzazione dell’omosessualità.
L’obiettivo è convincere la Commissione per le libertà individuali e l’uguaglianza a inserirlo nella lista delle norme discriminatorie che sarà presentata all’esame del Parlamento.
A sorpresa nei giorni scorsi è arrivata sul tema l’apertura, da prendere con cautela, di Rashid Ghannouchi, il leader di Ennahda, partito islamista e uno dei principali della Tunisia. “L’omosessualità è un fenomeno naturale e non si deve interferire nei comportamenti di ciascuno – ha dichiarato Ghannouchi a Jeune Afrique – Non sta a noi preoccuparci di quello che fa nel privato”. Che sia dunque la volta buona per la comunità LGBT in Tunisia?
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