Brokeback Mountain e il mancato Oscar come miglior film. Ang Lee è sicuro: “Fu colpa dell’omofobia di Hollywood”

Agli Oscar del 2006 Brokeback Mountain era il super favorito della vigilia, il vincitore annunciato. Ma l'Academy premiò Crash.

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I segreti di Brokeback Mountain
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Sono passati 18 anni esatti dalla notte degli Oscar 2006, passata alla Storia per uno dei più clamorosi scippi di sempre. Crash di Paul Haggis riuscì incredibilmente a battere I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee, vincendo l’Oscar per il miglior film dinanzi al Leone d’Oro di Venezia 2005. Brokeback Mountain era il super favorito della vigilia, dopo aver vinto anche il Golden Globe come miglior film drammatico, il Bafta e il PGA, ma alla fine venne beffato sul filo di lana.

Intervistato da Indiewire, Ang Lee ha ricordato quanto avvenuto con profonda amarezza, attribuendo quel mancato trionfo all’omofobia strisciante nell’Academy: “Penso di sì, sì”. “Allora ‘Brokeback Mountain’ aveva un limite. Avevamo ricevuto molto supporto, fino a quel monento“.

La pellicola vinse tre Oscar, per la migliore sceneggiatura non originale firmata Larry McMurtry e Diana Ossana (adattando il devastante racconto di Annie Proulx) , la migliore colonna sonora originale di Gustavo Santaolalla e la regia dello stesso Lee, che era ben consapevole del clima discriminatorio che ancora si viveva all’epoca all’interno dell’industria. “C’era quella sensazione. Non provavo rancore o altro. È così che erano”.

Ma quel che avvenne sul palco Academy fu abbastanza clamoroso. Il regista vinse il suo primo Oscar alla regia (bissando nel 2013 con Vita di Pi), e tutto faceva pensare che avrebbe vinto anche la statuetta più attesa, quella per il miglior film.

Ho ricevuto il mio premio, che era il penultimo in scaletta, prima di quello più importante, e mentre scendevo dal palco mi chiamarono e mi dissero: ‘Resta qui’. Questo è il tuo segno. Tutti pensano che vincerai, quindi rimani in quel punto”. “Proprio accanto al palco c’era il sipario. Poi è arrivato il momento del premio per il miglior film. ‘Resta qui, resta qui’, mi dicevano. Ho visto Jack Nicholson, ha aperto la busta e pensavo: ‘Oh mio Dio, oh mio Dio’. Ci sono voluti 10 secondi prima che lo annunciasse, e poi ha detto: ‘Crash‘”.

Ma chi fu a dire quelle parole a Lee? “Un direttore di scena. Dev’essere stato un direttore di scena, qualcuno. C’era un segno proprio accanto alla tenda. Potete quasi vedermi dietro il sipario. Potevo vedere parte del pubblico, era così vicino. “Forse tocca a te”, mi dissero, “Resta al punto”. Il prossimo premio è quello per il miglior film!’”.

Poi è andata com’è andata, con una delle più clamorose ingiustizie della recente storia Academy e un Jack Nicholson a dir poco sopreso da quanto letto. Solo nel 2017, con Moonlight, ci fu la ‘rivincita’, con il primo titolo a tematica queer a vincere l’Oscar più ambito, anche in questo caso sorprendentemente, battendo La La Land.

Nella mia educazione, l’arte non era un’opzione. Fare film era una follia“, ha concluso Lee, i cui genitori sono fuggiti dalla guerra civile cinese prima di trasferirsi a Taiwan e successivamente in Illinois. “Eravamo degli outsider a Taiwan, poi degli outsider in America, poi siamo tornati in Cina ed eravamo ancora degli outsider. Mi sento sempre un outsider. Personaggi repressi, suppongo, quelle storie mi attraggono. ‘Brokeback Mountain’ è semplicemente bellissimo. Hai letto il racconto? Non ho nulla in comune con i cowboy gay del Wyoming. Ma perché ho pianto? Perché ti rimane addosso ed è una storia bellissima”.

Prima di trovare Jake Gyllenhaal ed Heath Ledger, decine di attori rifiutarono la parte dei due cowboy protagonisti, perché terrorizzati dal dover interpretare due personaggi omosessuali. Lo stesso film ci mise anni prima di entrare in produzione, passando da Pedro Almodovar a Gus Van Sant, prima di finire tra le mani di Lee. Ledger ha sempre difeso Brokeback Mountain, contestando anche le battutine e gli sketch comici portati in scena sul palco Academy da Billy Cristal, la notte degli Oscar. Gyllenhaal, dal canto suo, ne parla sempre con orgoglio, perché consapevole dell’importanza avuta dalla pellicola nella sua carriera.



 

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