Il cinema italiano? È all’ultima spiaggia. Viene da pensarlo dopo aver visto una commediaccia triviale, sciocca, puerile, imbarazzante esordio dell’autore televisivo e cabarettista napoletano Gianluca Ansanelli dal titolo programmatico: "All’ultima spiaggia", appunto. Quattro episodi che in pratica sono altrettanti sketches dilatati su alcuni derelitti provinati per un reality in cui dovrebbe vincere il più disperato d’Italia (format vincente – sigh! – su "L’isola delle protesi" in cui bisogna indovinare quali naufraghe non hanno il seno rifatto). Il tutto è intervallato da brevi interviste ai provinandi in coda che sembrano estratti in puro stile Zelig: dal marito separato povero in canna al trio di Emo accidiosi e decerebrati.
Il primo episodio, peraltro l’unico che si salva in extremis, racconta di una coppia di donne conviventi, Ester e Ramona, desiderose di avere un figlio attraverso l’inseminazione artificiale in Spagna ma spaventate dall’idea di non poter conoscere il donatore del seme. Decidono così di chiedere all’ex di Ester, il siciliano Riccardo (l’ex animatore siracusano Dario Bandiera) che lavora in un ristorante cinese.
L’argomento assai serio viene affrontato con un piglio da pochade virante in zona Bagaglino e compaiono pure due gay così effeminati da far impallidire il concetto stesso di stereotipo, in particolare il vicino obeso con ciuffo a tendina che affitta l’appartamento a Riccardo, il quale si spaccia per omosessuale per compiacerlo e ritardare così il pagamento dell’affitto. Ovviamente saranno equivoci a catena.
La coppia lesbica, perlomeno, ha una sua ragion d’essere e si evita lo sbeffeggiamento da parodia forzata, merito soprattutto delle valide interpreti: la graziosa Nicole Grimaudo ("Mine vaganti") nel ruolo della volubile Ester – ma impera la prevedibilità quando si capisce che cambia gusti sessuali come quelli del gelato – e l’ottima Paola Minaccioni nei panni butch della determinata Ramona (la Minaccioni ha anche il ruolo cameo di una cliente della pescheria del protagonista nel notevole "Reality" di Matteo Garrone, affine nei temi e antitetico nei risultati). Se è apprezzabile aver rappresentato l’amore lesbico con desiderio materno senza ridicolizzarlo – come temevamo – né disprezzarlo, i personaggi femminili, certamente non in preda alla disperazione, sono appena abbozzati e non contestualizzati socialmente (che lavoro fanno? Chi frequentano?), così gli spunti narrativi hanno la miccia corta delle barzellette tirate per le lunghe.
E sono poco più di barzellette anche gli altri tre episodi: una guardia giurata organizza una rapina nella banca dove lavora e dove non gli accettano un mutuo (vedere il ladro nel caveau con la maschera di Batman fa inevitabilmente pensare alle ingorde depredazioni di Fiorito); due romanisti sfegatati scoprono che la moglie dominicana di un loro caro amico è un’ex attrice porno; un imprenditore padano di una ditta di preservativi è vittima della malasanità in un ospedale napoletano (questa storiella è persino noiosa, nonostante i bravi Ivano Marescotti, Ernesto Mahieux e Rosalia Porcaro). Insomma, solo fiacca comicità di grana ciclopica intrisa di stilemi televisivi.
Nel primo weekend di programmazione "All’ultima spiaggia" è riuscito a entrare nella top ten classificandosi nono con un incasso di circa 187.000 euro grazie soprattutto alla corazzata Medusa che l’ha fatto uscire su ben 227 schermi (ma ieri allo spettacolo pomeridiano del cinema torinese Greenwich c’era un solo spettatore, chi scrive). Speriamo vivamente che questi sottoprodotti post-Berlusconiani che occhieggiano alla fruibilità popolare del cinepanettone virando verso la demenzialità volgare e basica modello "I soliti idioti" – e quindi speranzosi di catturare anche la fascia di pubblico teen tele-lobotomizzato – abbiano vita breve e non creino pericolosi emuli. Il vero cinema italiano è un’altra cosa.
Da evitare.
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