Di Pazza: cos’è il Veganuary e l’insostenibile leggerezza del vegetale

Intervista a Luca e Riccardo, la coppia del web che si giostra tra ricette vegane e diritti LGBT.

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Veganuary - Di Pazza e la cucina vegetale
Veganuary - Di Pazza e la cucina vegetale
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Feuerbach sosteneva che “siamo quello che mangiamo”. Questo principio filosofico costituisce il pilastro etico della comunità vegana. Curiosamente, esiste un legame stretto tra l’attivismo veggie e il movimento queer. Il concetto che unisce le due realtà prende il nome di “queer ecology”. Intraprendere uno stile di vita cruelty-free, a dire il vero, significa abbracciare una battaglia sociale molto simile a quella portata avanti dal nostro collettivo. L’attivista e scrittrice Carrie Hamilton afferma infatti che, così come la queerness fronteggia una società predominantemente eteronormativa, il veganismo sfida un mondo maggioritariamente carnivoro che riduce gli animali a prodotti di consumo. In altre parole, laddove la comunità LGBT si batte per riscrivere le strutture famigliari e i costrutti identitari, il movimento vegano lotta per mettere in discussione il pensiero normativo che priva altri esseri sensienti della loro specificità.

Luca di Palo e Riccardo Barbazza, in arte i Di Pazza, sono una delle coppie più divertenti del web e rappresentano un punto di riferimento per la cucina vegetale in Italia. Il loro carattere solare e spontaneo, unito a ricette facili, gustose e colorate, l’ha portati a essere tra i content creators più seguiti nel nostro Paese. Di recente è uscito il loro primo libro di cucina. “L’insostenibile leggerezza del vegetale”, edito da Rizzoli, è una raccolta che contiene 80 ricette interamente plant-based. Le preparazioni di Riccardo e Luca vogliono essere un incentivo per iniziare a mangiare in modo sano, consapevole e sostenibile, senza però rinunciare al gusto. I loro manicaretti, pertanto, non sono solo un’occasione per sfatare i falsi miti che vogliono la cucina vegetale triste, costosa o impegnativa; sono anzitutto un modo per riscoprire il piacere di mettersi a tavola con allegria, creatività e un pizzico di ironia.

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In cosa consiste il “Veganuary”?

Luca: fondamentalmente è un movimento che tenta di promuovere l’alimentazione vegetale per tutto il mese di gennaio. Cerca di portare le persone a una maggiore informazione e consapevolezza attraverso la sperimentazione di questo tipo di alimentazione per un periodo di 31 giorni

Riccardo: in questo modo, non solo è un’occasione per iniziare ad avere dimestichezza con l’argomento, ma è anche una sfida con se stessi.

Quando e come avete deciso di intraprendere uno stile di vita vegano?

Riccardo: specifico subito che le porte d’ingresso all’alimentazione vegetale sono tantissime. Ognuno può avere le sue motivazioni. Detto questo, nel mio caso è stata una mera questione di salute. Avevo i valori del colesterolo che erano alti quanto l’Empire State Building. Quel giorno sono tornato a casa con gli esami in mano e la faccia bianca come il foglio, e ho detto a Luca “dobbiamo parlare perché qui c’è qualcosa che non va”. Abbiamo inizialmente approcciato una dieta vegetariana ma, dopo un mese di formaggi, abbiamo scoperto che non era la soluzione ideale per il colesterolo. Perciò abbiamo fatto il passo verso un’alimentazione puramente plant-based. Io ho iniziato per questioni di salute. Luca ha iniziato perché mi ama tanto…

Luca: dopotutto, scegliere un’alimentazione vegetale porta tantissimi benefici in molteplici aspetti (ad esempio, la propria salute, la protezione dell’ambiente e la salvaguardia degli animali). Diventare vegani implica che si parte da una qualunque motivazione personale. Dopodiché, si arriva a essere vegan quando si comincia ad approfondire tutta una serie di aspetti legati agli animali e non solo.

Cosa vi ha portato a scrivere un libro di ricette vegetali in questo momento?

Riccardo: in soldoni, ciò che ci ha portato a scriverlo è stata una richiesta del nostro editore (ride)

Luca: questa richiesta è, tra l’altro, arrivata a distanza di pochi mesi dall’apertura del nostro profilo Instagram. Abbiamo raccolto questa sfida per creare un almanacco personale di quello che è stato il nostro percorso; un percorso che non avremmo mai pensato di intraprendere

Riccardo: abbiamo praticamente colto la mela al balzo

Luca: da quando le mele rimbalzano?

Riccardo: nel mondo che vorrei sì… Comunque è proprio per questo che le ricette del nostro libro non sono divise in modo classico, ma sono catalogate secondo quei falsi miti che arrivano dall’esterno. Abbiamo scelto di ripartirle in questo modo perché noi per primi ci siamo approcciati all’alimentazione plant-based con quei preconcetti che abbiamo successivamente smontato (ad esempio, mangiare vegetale costa troppo, non è pratico, non sa di niente).

Dichiarate che “comunicare ai propri parenti di essere diventato vegano è come fare un secondo coming out”. In che modo rivelare l’orientamento sessuale e annunciare la scelta etica vegana è stato per voi un processo simile?

Luca: diciamo che entrambe le situazioni vanno a spingere su quelle che sono le formae mentis generali degli individui. Questo riguarda tanto la persona che matura questi cambiamenti come, in primis, la persona che li riceve e che deve compiere uno sforzo in più per cercare di comprendere punti di vista differenti dal proprio

Riccardo: per quello che è il mio orientamento sessuale, da parte della mia famiglia c’è stato un rifiuto, più o meno celato. Questo rifiuto è scoppiato durante il periodo del nostro matrimonio, in cui c’è stato un allontanamento completo dai membri della mia famiglia. Lo stesso è accaduto per la scelta di vita vegana, sebbene in maniera più leggera, ma comunque fatta di battutine e piccole crisi

Luca: la mia esperienza è stata diversa. I miei genitori hanno fatto molta meno fatica, una volta affrontato il discorso dell’omosessualità, ad accettare la questione vegan, anche perché avevano già avuto a che fare con persone che seguivano un’alimentazione plant-based. Quindi si erano già trovati a maneggiare l’argomento.

Uno studio condotto dall’Università di Southampton nel 2018 ha mostrato che gli uomini al ristorante si sentono in difficoltà nell’ordinare piatti vegetali per paura di essere considerati poco virili. Secondo voi come mai il veganismo è considerato “socialmente intimidatorio” – per citare le parole dell’attivista e oratore Ed Winters?

Riccardo: è un discorso complesso. I motivi possono essere tanti. Sicuramente ha a che vedere con una rappresentazione del genere maschile molto specifica, che abbarca anche il marketing con slogan del tipo “se non mangi carne non sei un vero uomo”

Luca: a noi in Sud Tirolo è capitato di ricevere la domanda “ma che uomini siete?” di fronte al rifiuto di mangiare dello speck accanto alla polenta

Riccardo: non a caso in inglese esiste il termine “soy boy” che descrive un maschio non maschio. Un uomo che sceglie di alimentarsi in maniera vegetale viene identificato come qualcuno che ha dei sentimenti e una sensibilità maggiore, e perciò è più femminile e meno forte

Luca: questo fa parte di una narrativa che abbiamo da secoli grazie al patriarcato…

Riccardo: infatti dicevo che è un argomento complesso, dal momento che questa narrativa riguarda tutte le minoranze, tutto ciò che non c’entra con il maschio etero bianco. Le persone che vedono le cose in maniera differente, hanno sentimenti e provano empatia verso il mondo animale non sono veri maschi. Ecco qui che scatta la paura al momento di ordinare un piatto al ristorante. “E se non mangio carne cosa penseranno gli altri?”

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Pic by Lorenzo De Simone, dipazza.it.

Oltre al lavoro legato alla difesa degli animali, siete anche molto attivi nelle battaglie per i diritti LGBT. Lo scrittore Marco Reggio ha definito la comunità vegana e il collettivo queer come “un’alleanza fra due forme di diserzione dalla norma”. Trovate che le due comunità siano intrecciate a livello intersezionale?

Luca: in realtà non ci sentiamo attivisti. Quello che cerchiamo di fare è utilizzare un sistema di comunicazione, cioè i social, per fare quello che abbiamo cercato di fare nella nostra vita, ovvero essere e mostrarci in quanto tali. Sicuramente esistono diverse modalità di attivismo. Tuttavia, quello che facciamo sul web è cercare di influenzare portando il nostro esempio, senza la pretesa che sia di esempio

Riccardo: ciò premesso siamo molto d’accordo con l’affermazione di Reggio. Il legame comune esiste ma esiste in tante altre categorie, quali il mondo della lotta per la difesa degli animali, il mondo della lotta LGBT, il mondo della lotta femminista e così via

Luca: secondo me, il tentare di far valere il nostro esistere per potere autoaffermarci è quello che forse ci spinge ad avvicinarci ai diritti animali. Siamo persone che hanno provato la discriminazione sulla propria pelle. Probabilmente è l’esperienza della discriminazione che ci porta a sentirci più vicini ad altre cause, ad accogliere altre realtà, a riconoscere altre ingiustizie.

Quali sono le battaglie LGBT più urgenti che dobbiamo portare avanti nel nostro Paese?

Riccardo: per me esistono due grandi filoni che hanno la medesima importanza. Da una parte esistono delle battaglie da portare avanti su un termine prettamente legale; dall’altra c’è da fare una battaglia enorme di tipo culturale. Bisogna cambiare il modo in cui la gente pensa alla comunità queer. Fatto ciò, viene tutto di conseguenza. Questa è forse una delle cose su cui noi puntiamo di più l’attenzione. Finché le persone continuano a vederci in un determinato modo e a considerarci meno, nessun cambiamento vero potrà avvenire

Luca: a mio avviso non è solo una questione di come ci vedono, ma anche di come ci collocano all’interno della società. Non è un pensiero che avvolge esclusivamente la comunità LGBT, ma va a cascare su tanti altri aspetti; è come consideriamo il diverso, l’estraneo e altre specie aldilà della nostra. È un discorso che inevitabilmente diventa intersezionale. Quella istituzionale e quella culturale sono due lotte che vanno di pari passo. Se non c’è una rappresentanza a livello politico, molte persone non arriverebbero mai a familiarizzarsi con determinati concetti. Allo stesso tempo, è il popolo che dal basso fa sentire la propria voce a chi lo governa.

Ultimamente è stato coniato il termine “vegeomofobia”, una crasi tra “vegefobia” e “omofobia”. Avete mai ricevuto discriminazione sui social per essere vegani e omosessuali?

Luca: fortunatamente a noi non è capitato, a parte qualche battutaccia dal vivo talmente becera da non meritare neanche una considerazione

Riccardo: del tipo, “non mangiate la carne ma la salsiccia vi piace”…

Luca: per cui sul web non ci è successo, ma le nostre colleghe femminili vengono bersagliate molto

Riccardo: sì purtroppo, soprattutto se fanno parte della comunità LGBT.

Raccontando la vostra storia asserite che le vostre vite hanno cominciato “a mescolarsi insieme in maniera del tutto naturale, con ingredienti nuovi come nella migliore delle sperimentazioni culinarie”. Esiste perciò un legame tra cucina e rapporto di coppia?

Luca: decisamente, anche se le due cose non sono immediatamente correlate. Nel nostro caso lo sono state perché la cucina abbiamo imparato a viverla. Abbiamo capito che non si tratta di preparare semplicemente qualcosa. La cucina vegetale è inclusiva e con essa posso accogliere a tavola chiunque. Si crea così un momento di condivisione

Riccardo: la cosa bella è che per noi la cucina è diventata anche un modo di unirci. I miei ingredienti e i suoi ingredienti si sono mischiati per creare qualcosa di nuovo. Quando abbiamo una giornata pesante ci mettiamo a cucinare insieme e questo ci rafforza come coppia. Questa è una cosa che tante persone (amici, familiari, coppie) dovrebbero provare perché la cucina è un modo per sperimentare una modalità di comunicazione molto potente

Luca: la cucina può anche essere presa come allegoria della vita di coppia. Così come accade per una ricetta, una relazione ti dà la possibilità di costruire, curiosare, approfondire, creare. Inoltre, ti permette di considerare altri schemi e punti di vista. Noi ci siamo ritrovati in una relazione che mai ci saremmo aspettati di vivere e che ha veramente tirato fuori nuovi ingredienti e opportunità

Riccardo: basti pensare a quello che abbiamo fatto col nostro profilo. È nato tutto per gioco e ora siamo qui!

Che consiglio vi sentite di dare a chi si affaccia per la prima volta a un’alimentazione vegetale?

Riccardo: intanto di comprare il nostro libro perché non l’abbiamo scritto per noi né per i nostri parenti… (ride). Scherzi a parte, il mio consiglio è di divertirsi, sperimentare, apprendere il minimo, e documentarsi sui siti che parlano di alimentazione vegetale. La chiave è approcciarla con curiosità e leggerezza

Luca: esatto. Come consiglio aggiungerei il darsi la possibilità di non interpretarla come una necessità di incarnare uno stereotipo specifico, bensì di adattare questa alimentazione alle proprie necessità, ai propri gusti e al proprio vissuto. Non serve pensare a cose elaborate. Basta introdurre piccoli cambiamenti, i quali arrivano col tempo e non devono essere necessariamente quotidiani. Il Veganuary dona l’occasione di iniziare a giocare, divertirsi e provare un nuovo metodo per esprimersi

Riccardo: in fin dei conti, la bellezza della cucina plant-based è che è una cucina per tutti. Può essere abbracciata da chiunque. È proprio lì il suo punto di forza.

Fonti:

https://c-lou-hamilton.medium.com/whats-queer-about-veganism-877e3304eb73

https://www.intersezionale.com/2021/04/17/non-mangi-la-carne-non-sarai-mica-frocio-per-un-veganismo-queer/

https://www.telegraph.co.uk/news/2018/08/26/men-fear-social-shame-ordering-vegetarian-dishes-study-finds/

https://www.youtube.com/watch?v=xcUNse0nhZ0

L’uomo È Ciò che Mangia, Ludwig Feuerbach (ed. 2017)

Foto: © Lorenzo De Simone, dipazza.it

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