C’era un periodo che mi credevo davvero Greta Thunberg.
Ho cominciato ad andare ai Friday For The Future, ho smesso di lasciare lo spinotto della ciabatta acceso tutta la notte, ho controllato come fare l’indifferenziata, e smesso di comprare l’acqua in plastica: meglio la mia borraccia termica, decorata con fiori fiamminghi, che porto dove voglio io.
Ho anche smesso di comprare nei grandi centri: preferisco quel negozio dell’usato, il capo vintage rovistato nella cesta. Ci vanno tutti ormai a comprare all’usato, anche i borghesi come te. Ho comprato uno spazzolino di bambù.
Poi un giorno la mia Greta Thunberg ha cominciato a vacillare: ripulire per bene il barattolo della Nutella mi pesa più del previsto, dimentico le buste della spesa a casa ogni singola volta e quindi accumulo mille inutili sacchetti di plastica, consumo più carne del consentito.
Alcune cose le trova solo nel negozio fast-fashion.
La mia Greta ci tiene all’ecosistema solo quando è comoda e non viene privata dei suoi privilegi, non compromettendo le sue abitudini dure a morire.
Quando ho cominciato e smesso di impegnarmi all’ecosistema? Da dov’è cominciato e finito?
Tutto è iniziato con il senso di colpa e i cazziatoni di una quattordicenne finlandese che ha attirato l’attenzione del mondo intero. Ma oltre il senso di colpa misto all’innegabile fascino dell’intera operazione, forse non ho davvero capito cosa stavo facendo. C’era sempre altro a cui pensare, battaglie diverse che mi pesano sulla schiena ogni giorno.
La Terra può aspettare.
Ma le battaglie della comunità LGBTQIA+ e la salvaguardia del nostro pianeta sono davvero così distanti?
Recentemente sono incappato nel termine “queer ecology” (ne parla anche il nostro Angelo Rosa in un altro nostro articolo), parola che in un primo momento può far rigirare le biglie degli occhi di trecentosessanta gradi, smussare qualche riflessione in più, o come nel mio caso, entrambe le cose.
Come la comunità queer in sé, anche l’ecologia queer smantella lo sguardo eteronormato che abbiamo della natura: anch’essa si oppone al modello binario, lo stesso che divide maschile e femminile in scompartimenti stagni e separa esseri umani da mondo naturale.
La natura come l’essere queer è imprevedibile, variabile, aperta ad ogni possibilità e completamente svincolata dalle leggi dell’uomo bianco. Semmai, rischia di esserne schiacciata e deturpata, per poi ribellarsi al sistema imperante.
“Queer Ecology è un reminder che tutto quello che non sappiamo sul mondo naturale sarà sempre più grande di quello che pensiamo di conoscere” spiega lo scrittore ed ecologista Alex Johnson “e partendo da questa unica verità, ci supplica di agire”.
In sostanza: alla base dell’intersezionalità (e quindi il principio che ogni causa per cui ci battiamo — protestando per strada o condividendo le iconografiche degli attivisti su Instagram — è concatenata all’altra) c’è il fatto che ogni movimento che ha come obiettivo cambiare la nostra società e renderla più vivibile per tutt*, parte da presupposti diversi – femminismo, razzismo, abilisimo, o diritti LGBTQIA+, body positivity – ma si batte per la stessa lotta.
Solo recentemente un articolo del Guardian, evidenziava come in seguito ad alcuni studi della Penn State University, alcuni uomini non sono propensi a fare la raccolta differenziata, o azioni considerate positive per l’ambiente, perché “li fa passare per gay”, che nel linguaggio della mascolinità tossica, significa “più femmina e anche più debole”.
“Potrebbero esserci conseguenze subdole, legate al genere, quando inneschiamo determinati comportamenti a favore dell’ambiente.” spiega la psicologa Janet . Swim. “Se essere percepiti come eterosessuali è così importante per una persona, quella persona darà priorità a comportamenti considerati conformi al proprio genere piuttosto che essere pro-ambiente”.
Non possiamo vincere una battaglia, senza portare avanti anche l’altra perché in entrambi i casi, il fine è sempre ribaltare il sistema di potere che persevera intolleranza e oppressione: come noi persone queer ci uniamo contro il sistema binario e i ruoli di genere, anche l’ecologia crea una comunità solida e unita che sfida le norme sociali mirate all’individualismo, la materialità e il consumismo.
Se smantellare una visione eteronormata non avviene dall’oggi al domani, non possiamo nemmeno sbarazzarci di tutte le nostre tendenze poco eco-friendly in uno schiocco di dita.
Ma l’ecologia, come il modello queer, insinua il seme del dubbio, della messa in discussione, confuta quelle presunte verità e ci risveglia dal torpore.
Anche senza essere Greta Thunberg.
Per saperne di più sulla Queer Ecology e lǝ attivistǝ ambientalistǝ queer:
Queer Ecology: la prossima generazione di attivistǝ ambientalistǝ è queer
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