“Finocchio maledetto la pagherai”: insulti e minacce di morte su Facebook, ma per il giudice il profilo è un fake

È stata assolta la persona indagata per aver insultato pesantemente un albergatore spezzino.

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Insulti omofobi e minacce online, indirizzati al gestore di un albergo spezzino che non ha mai nascosto la propria omosessualità. L’autore delle offese ha utilizzato Facebook per colpirlo e l’ha fatto spacciandosi per un’altra persona, per questo gli inquirenti non sono riusciti a verificare chi ci fosse dietro il falso profilo.

Il rapporto di Facebook con gli investigatori italiani è da tempo lacunoso ed episodi come questo rischiano sempre più spesso di rimanere impunti. A finire nel mirino della Procura era stato Stefano Bozzato, 31 anni, al quale era stato intestato un profilo Facebook, con tanto di foto e particolari sulla sua vita, ma che è poi risultato essere falso.

Dalla pagina incriminata partono insulti e minacce rivolte al gestore alberghiero ligure: “Facciamo una gara? Vince chi brucia più alberghi in una settimana, punteggio doppio se il proprietario è dentro, vere e proprie minacce di morte, corredate da insulti omofobi come maledetto finocchio.

Dai riscontri eseguiti dalla polizia postale erano emersi alcuni indizi a carico di Bozzato, il sospetto è venuto in quanto l’uomo non ha mai presentato una denuncia per furto d’identità, e questo nonostante l’uomo fosse a conoscenza dell’indagine a suo carico. Insomma, erano in tanti a essere convinti che ci fosse proprio lui dietro gli insulti omofobi pubblicati su Facebook, soprattutto dopo che la Procura aveva deciso di rinviarlo a giudizio.

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Ieri però il tribunale della Spezia lo ha assolto ritenendolo estraneo alla vicenda. Il giudice Marinella Acerbi depositerà le motivazioni della sentenza fra trenta giorni ma è probabile che abbia accolto la tesi sostenuta dal legale dell’imputato, la cui discussione è ruotata attorno a un punto ben preciso: non ci sarebbe stata certezza che quel profilo fosse stato aperto proprio da Bozzato perché gli accertamenti eseguiti dalla polizia postale sono stati insufficienti e non hanno fornito riscontri sull’indirizzo Ip utilizzato per collegarsi al social network.

Le forze dell’ordine si sono trovate altre volte di fronte a questo problema, soprattutto in mancanza di una legislazione chiara sulle responsabilità dei social network in materia penale.  Facebook Italia raramente risponde alle richieste degli investigatori italiani, diversamente da quanto accade per gli uffici di Zuckerberg a Menlo Park, in California. Per molti tribunali diventa quindi impossibile stabilire con assoluta certezza chi utilizza un profilo Facebook per scopi fraudolenti.

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