Sudafrica, l’isola felice della comunità LGBTQIA+ africana, celebra il suo 31esimo Pride

Dalla depenalizzazione dell'omosessualità al termine del regime di apartheid, alla legalizzazione del matrimonio egualitario nel 2006: come il Sudafrica è diventato baluardo di inclusività a livello globale.

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Nel mezzo della feroce ondata repressiva contro la comunità LGBTQIA+ africana, il Sudafrica rimane uno degli ultimi baluardi di inclusività nel continente.

Ed è proprio qui, a Città del Capo, che la voce di migliaia di attivist* e persone comuni si è levata per chiedere nuovamente ai governi di Ghana e Uganda di deporre le armi nei confronti delle minoranze sessuali – durante la consueta marcia Pride sabato scorso.

Un fiume colorato che ha travolto le strade del centro cittadino, in un corteo che quest’anno assume un significato ancora più profondo per una delle ultime comunità LGBTQIA+ africane che può ancora rappresentarsi e rendersi visibile.

Sudafrica, isola felice per la comunità LGBTQIA+

Tra bandiere arcobaleno, carri, musica e spettacoli drag, il Pride di Città del Capo ha lasciato spazio anche a una profonda riflessione sui progressi compiuti finora in ambito di diritti civili – a partire dalla fine del regime di apartheid sotto il quale l’omosessualità era ancora considerata un reato.

Dall’inizio degli anni novanta in poi, il Sudafrica ha visto un vero e proprio rinascimento, grazie all’impegno degli attivist* della National Coalition for Gay and Lesbian Equality e governi progressisti – arrivando a diventare nel 2006 il primo paese africano a legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Nel 2002, la Corte Costituzionale, attraverso il caso Du Toit vs il Ministro del Welfare e dello Sviluppo della Popolazione, ha equiparato i diritti di adozione delle coppie omosessuali a quelli delle coppie sposate.

Ciò ha permesso alle coppie dello stesso sesso di adottare bambini insieme e a un partner di adottare i figli dell’altro, disposizioni poi integrate nella Children’s Act del 2005, che riconosce il diritto all’adozione sia ai coniugi che ai “partner in vita domestica condivisa permanente“, indipendentemente dall’orientamento sessuale.

Nel 1997, l’accesso all’inseminazione artificiale è stato esteso alle donne single, incluse le lesbiche. Un’importante sentenza della Corte Costituzionale nel 2003 ha ulteriormente riconosciuto i diritti dei genitori non biologici all’interno delle coppie lesbiche, stabilendo che il bambino nato da inseminazione artificiale deve essere considerato legittimo e che il partner non biologico ha il diritto di essere riconosciuto come genitore naturale, con il proprio nome incluso nel certificato di nascita del bambino.

Per quanto riguarda i diritti della comunità transgender, l’Alteration of Sex Description and Sex Status Act offre alle persone la possibilità di richiedere la modifica della designazione del sesso nei registri ufficiali della popolazione senza la necessità di un intervento chirurgico di riassegnazione.

La stessa Costituzione del Sudafrica, adottata nel 1996, è stata la prima al mondo a vietare esplicitamente la discriminazione basata sull’orientamento sessuale.

È importante tuttavia notare che percorso verso l’accettazione delle identità diverse da quelle imposte dalla norma eterocisgender in Sudafrica si è rivelato complesso e, ancora oggi, risente degli ostacoli posti da una parte della popolazione che persiste nel rifiutarle.

Nonostante le sfide, il panorama ha comunque subito trasformazioni significative e positive nel corso degli anni, merito di un’intensa attività di sensibilizzazione da parte di istituzioni in sinergia con le organizzazioni per i diritti umani. 

“Contro ogni discriminazione” 

Fuori dall’isola felice sudafricana, tuttavia, la situazione è ben diversa. L’omosessualità rimane un reato in numerosi paesi del continente, con alcuni che di recente hanno inasprito le già draconiane leggi anti-LGBTQIA.

Il parlamento ghanese ha infatti recentemente ratificato la “legge sui diritti sessuali umani e i valori della famiglia“, una normativa che penalizza le relazioni tra persone dello stesso sesso e chiunque promuova i diritti LGBTQI+, mentre l’Uganda ha ufficialmente varato la contestatissima legge “Kill The Gays”, che introduce il reato di “omosessualità aggravata”. 

Zackie Achmat, figura di spicco dell’NCGLE (National Coalition for Gay and Lesbian Equality) negli anni ’90, ha sottolineato durante il proprio intervento come la lotta contro la discriminazione non sia però confinata al solo continente africano né alla comunità LGBTQIA+, ma sia in realtà una questione globale di riconoscimento dei diritti umani a livello intersezionale.

 “Ci schieriamo al fianco delle comunità in Uganda, in Ghana e tra il popolo palestinese. La nostra missione è lavorare per la creazione di una società migliore, libera da ogni forma di discriminazione”.

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