Uganda, la Corte Costituzionale conferma la terribile legge omobitransfobica

È una delle leggi più omofobe al mondo.

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uganda uomo arrestato
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La Corte Costituzionale dell’Uganda ha ufficialmente confermato la tremenda e aspramente criticata legge anti-LBTQIA+ del Paese, che impone l’ergastolo e la pena di morte per coloro che compiono atti omosessuali. Ma la Corte ha per lo meno indebolito la legge, affermando che alcune parti vìolano il diritto dei cittadini alla salute e che sono “incompatibili con il diritto alla privacy e alla libertà di religione”.

“Ci rifiutiamo di annullare l’Anti-Homosessuality Act 2023 nella sua interezza, né concederemo un’ingiunzione permanente contro la sua applicazione”, ha detto il giudice capo Richard Buteera durante la sentenza andata in scena ieri. Chi contesta la legge ha già annunciato che farà ricorso contro la sentenza.

Secondo l’avvocato per i diritti umani Nicholas Opiyo la corte avrebbe basato la propria “decisione sui sentimenti pubblici, su presunti valori culturali e su accuse infondate/non comprovate di reclutamento dell’omosessualità”. “Non siamo d’accordo con la sentenza, ma non vediamo l’ora di ricevere le motivazioni“. “Uno va in tribunale aspettandosi di superare il bigottismo e i sentimenti del pubblico. In questo senso è una delusione, ma vedremo quali passi successivi si potranno intraprendere”.

La direttrice esecutiva di Outright International, Maria Sjödin, ha dichiarato: “Le persone LGBTQ in Uganda meritano piena protezione e pari diritti ai sensi della legge, e l’invalidazione parziale della legge non è sufficiente. La sentenza della Corte Costituzionale, che relega le persone queer a una cittadinanza di seconda classe, non deve essere l’ultima parola. Spetta ora al parlamento dell’Uganda abrogare questa legge. Le autorità devono impegnarsi in un dialogo significativo con le organizzazioni e gli attivisti LGBTQ e lavorare per creare una società inclusiva che rispetti e sostenga i diritti di tutte le persone in Uganda”.

Leanne MacMillan, direttrice globale delle campagne per i diritti umani di Stonewall, ha dichiarato: “È profondamente preoccupante che il tribunale dell’Uganda abbia confermato l’orribile legislazione anti-LGBTQ+ che nega i diritti umani fondamentali degli ugandesi LGBTQ+. Siamo solidali con coloro che lottano per i propri diritti e la propria dignità in Uganda in un momento in cui i tribunali li hanno delusi. Se vogliamo vivere in un mondo in cui le persone LGBTQ+ sono libere di essere se stesse, dobbiamo tutti lottare per questo, adesso”.

La petizione per la revoca della legge era stata presentata da un collettivo di accademici, attivisti per i diritti umani, avvocati, giornalisti, legislatori e leader religiosi ugandesi. Tutti sostengono pubblicamente che la legge viola i diritti fondamentali previsti dalla Costituzione ugandese, come il diritto alla privacy e alla libertà dalla discriminazione, nonché gli impegni presi dal Paese con il resto del mondo, ai sensi delle leggi internazionali sui diritti umani.

Eppure l’Anti-Homosessuality Act ha goduto di ampio sostegno in tutto il Paese. I legislatori hanno accusato l’Occidente di voler fare pressione sull’Africa affinché “accetti l’omosessualità“. La contestatissima legge  criminalizza l’omosessualità in Uganda con pene detentive fino a 20 anni di carcere e pena di morte per la cosiddetta “omosessualità aggravata”. Al suo interno sono presenti anche pene per “promozione dell’omosessualità”, che criminalizza chiunque sia associato a un’organizzazione LGBTQ+, sia esso un proprietario di un locale che ospita persone LGBTQ+ o aziende o alleati di gruppi di difesa. Identificarsi o comportarsi “contrariamente alle categorie binarie di maschio e femmina” comporta una possibile pena detentiva di 10 anni. Anche gli ugandesi LGBTQIA+ che vivono all’estero si sono trovati minacciati dalla legge. Un uomo gay di 25 anni che vive e lavora nella città canadese di Edmonton dal 2018 ha detto a Global News che temeva per la sua sicurezza, rischiando la deportazione in Uganda. Questo perché i funzionari canadesi gli hanno negato la sua richiesta di asilo, non potendo “verificare” il suo orientamento sessuale. L’ordine è stato ufficialmente annullato il 15 dicembre, quattro giorni prima della prevista deportazione.

Approvata a stragrande maggioranza dal Parlamento la legge “Kill the Gays” è stata poi controfirmata dal presidente Yoweri Museveni. A nulla sono servite le pressioni degli Stati Uniti e della Banca Mondiale.

Da quando la legge è stata approvata si è verificato un picco di crimini d’odio e abusi anti-LGBTQ+ in Uganda, come riportato da Convening for Equality (CFE), con 306 violazioni dei diritti basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere delle vittime tra il 1° gennaio e il 31 agosto 2023. Un elenco che non può neanche essere considerato esaustivo, a causa delle difficoltà che le persone LGBTQ+ incontrano nel denunciare gli abusi anti-LGBTQ+.

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