Ormai è guerra aperta contro le famiglie arcobaleno. Il Governo Meloni ha deciso di sorvolare sull’ultima sentenza del tribunale di Roma, che lo scorso mese ha bocciato la “norma Salvini” che impone la dicitura madre e padre sulle carte d’identità dei minori perché “illegittima”. Da Palazzo Chigi avevano fatto sapere che “la decisione sarà esaminata dal governo con particolare attenzione perché presenta evidenti problemi di esecuzione e mette a rischio il sistema di identificazione personale“. Passato un mese, il Governo Meloni ha deciso che nulla cambierà. Sui documenti dei minori rimarrà quella norma, voluta dall’allora ministro dell’Interno Salvini nel 2019. A darne conferma a Repubblica Eugenia Roccella, ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità.
“Si è fatto tanto rumore per quella decisione ma si tratta di una sentenza individuale, dunque vale per la singola coppia che ha fatto ricorso“. Sulla carta d’identità, ha ribadito la ministra, “rimarrà scritto madre e padre“. Tutte le famiglie arcobaleno escluse dalla norma in questione, a suo dire, potranno “sempre fare ricorso“. Il Governo Meloni ha quindi deciso di mantenere una norma “illegittima”, scaricando sui singoli cittadini il compito di chiedere ed ottenere giustizia, da parte di uno Stato che reitera consapevolmente la discriminazione. Un’indecenza.
“La strategia di Roccella è intelligente, perché in questo modo tre quarti delle coppie omogenitoriali lasceranno perdere”, ha confessato a LaRepubblica l’avvocato Alexander Schuster, secondo cui si potrebbe passare ad una class action, “col rischio di sparare contro i mulini a vento, perché le class action nel nostro Paese sono ancora terreno vergine”, oppure inviare una segnalazione alla Commissione Ue per violazione delle norme sulla privacy, che tutelano il diritto al trattamento corretto dei propri dati, o per l’irregolarità dei documenti di viaggio.
Nel dubbio persino le due mamme che hanno vinto il ricorso al Tribunale di Roma lo scorso mese non hanno ancora potuto abbracciare la nuova carta d’identità della loro figlia con la dicitura “genitore“, perché “il Viminale non ha cambiato i moduli. Siamo sconfortate, ci sembra di essere tornate alla casella di partenza“.
Il Giudice, nel lungo provvedimento, aveva precisato:
«La carta d’identità è un documento con valore certificativo, destinato a provare l’identità personale del titolare, che deve rappresentare in modo esatto quanto risulta dagli atti dello stato civile di cui certifica il contenuto. Ora, un documento che, sulla base di un atto di nascita dal quale risulta che una minore è figlia di una determinata donna ed è stata adottata da un’altra donna, indichi una delle due donne come “padre”, contiene una rappresentazione alterata, e perciò falsa, della realtà ed integra gli estremi materiali del reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico (artt. 479 e 480 cod. penale)».
Si attende ora un’altra pronuncia, sempre del Tribunale di Roma, relativa a un caso del tutto analogo di due mamme, assistite dall’avv. Mario Di Carlo e dall’avv.ta Susanna Lollini.
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