Il 28 ottobre, la marcia del Taiwan Pride a Taipei ha registrato una partecipazione da record con quasi 180.000 persone a sfilare per i diritti, fissando un nuovo record come la più grande celebrazione a tema LGBTQIA+ in tutta l’Asia Orientale.
Una manifestazione voluta, coltivata negli anni e promossa anche dalle stesse istituzioni, come dimostra la partecipazione di Lai Ching-te, vicepresidente di Taiwan, candidato presidente e più alto funzionario governativo ad aver mai partecipato all’evento nella capitale.
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Questa significativa adesione avviene in un momento cruciale per la politica taiwanese, in vista delle imminenti elezioni presidenziali e parlamentari di gennaio.
Lai Ching-te, attualmente in testa ai sondaggi per la presidenza, ha partecipato alla marcia insieme alla delegazione del Partito Democratico Progressista (DPP), al potere nel Paese.
Con questa mossa, il candidato presidente ha ulteriormente consolidato la propria reputazione come paladino dei valori liberali in un territorio spesso complesso da questo punto di vista.
Prima di unirsi alla marcia, Lai Ching-te ha espresso la propria gratitudine verso coloro che hanno lottato per l’uguaglianza e la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, una legge approvata nel 2019 con il forte sostegno della presidente Tsai Ing-wen e del DPP. A maggio di quest’anno, Taiwan ha dato anche il via libera alle adozioni per le coppie dello stesso sesso.
“Il DPP è sempre stato al fianco di tutti in questa lotta“, ha dichiarato Lai Ching-te alla stampa “e il matrimonio egualitario è solo l’inizio, non la fine, del percorso verso una società più inclusiva“.
Sebbene nessuno degli altri candidati alla presidenza abbia partecipato all’evento, l’ala giovanile del principale partito di opposizione, il Kuomintang, era presente e ha esortato anche il proprio partito a sostenere l’uguaglianza.
La marcia del Pride, che quest’anno ha celebrato la sua 21esima edizione, ha trasformato le strade del centro di Taipei in un palcoscenico coloratissimo, e secondo l’agenzia di stampa ufficiale Central News Agency, gli organizzatori hanno stimato una partecipazione di circa 176.000 persone, compresi numerosi partecipanti stranieri.
La stessa presidente Tsai Ing-wen ha riconosciuto l’importanza dell’evento attraverso un messaggio su Facebook:
“Sotto l’egida della democrazia e della libertà di Taiwan, impariamo ad accettare e a rispettare le differenze di ognuno“.
La posizione progressista dei leader taiwanesi può essere interpretata come una forma di “soft power” ch contribuisce a distinguere lo stato indipendente dalla posizione della Cina, che da sempre rivendica Taiwan come parte inalienabile del suo territorio.
Mentre Taiwan avanza significativamente nel campo dei diritti civili, la Cina sembra infatti muoversi in direzione opposta: il matrimonio tra persone dello stesso sesso è ancora considerato illegale nel Paese, e le politiche recenti hanno intensificato la sorveglianza e la regolamentazione dei contenuti mediatici che riguardano la comunità LGBTQIA+, limitando notevolmente sia la visibilità che la libertà di espressione.
Una divergenza di approcci tra i due territori che evidenzia non solo differenze politiche, ma anche profondi divari culturali e sociali che rendono ancora più complessa la relazione tra Taiwan e la Cina.
Uno scenario preoccupante per attivisti e membri della comunità taiwanese. Oltre alle questioni territoriali, l’insistenza della Cina sulla riunificazione con il piccolo stato insulare solleva interrogativi gravi riguardo al futuro delle libertà sociali e dei diritti umani.
La preoccupazione è ancor più accentuata alla luce del recente conflitto tra Russia e Ucraina, come quelle in Medio Oriente tra Israele e Hamas, che potrebbero generare implicazioni geopolitiche di vasta portata e di esito incerto. Il clima globale di instabilità politica potrebbe, infatti, influenzare in modo imprevedibile i rapporti tra Taiwan e la Cina, aggiungendo un ulteriore livello di complessità e incertezza alla già delicata situazione. Mei Ying, attivista LGBTIQ+ taiwanese, aveva spiegato in un’intervista a Gay.it come la comunità queer di Taiwan tema l’invasione della Cina, definita “paese bullo”.
>> Qui l’intervista a Mei Ying, attivista della Taiwan Tongzhi Hotline Association
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