Carriere Alias e dissenso, a Napoli la rivoluzione della Prof.ssa Nera Prota

«Ciò che mi sento addosso come compito istituzionale è creare degli spazi sicuri di dissenso all’interno dell’Accademia». Le Carriere Alias sono un passo fondamentale per l'autodeterminazione degli student*.

Nera Prota prof.ssa
Un momento di condivisione tra docenti e studenti sulla questione dei diritti lgbtqi+
6 min. di lettura

Capovolgere i paradigmi partendo dalla Scuola e dalle nuove generazioni. Lo sa bene Nera Prota, Docente di Scenografia per l’Accademia di Belle Arti di Napoli, che ha spinto il suo Istituto ad adottare le cosiddette Carriere Alias. Una piccola rivoluzione per l’autodeterminazione di tutt* le/gli student* dell’Ateneo napoletano che da ora potranno vedersi riconosciuta la propria identità in ogni atto interno all’Istituto (elenco studenti, libretto, tesserino magnetico, calendari esami e tesi, etc. etc.) senza  la presentazione di documenti medici, psicologici o altro, che certificherebbero uno specifico percorso di transizione.

Le Carriere Alias (di nuova generazione) nascono nel 2019 e sono dispositivi normativi, interni alle istituzioni pubbliche, promossi dagli organismi CUG (Comitati Unici di Garanzia) a tutela della privacy e dell’accesso alle pari opportunità specifici per la popolazione trans, non binaria o non conforme che frequenta le Università, le istituzioni di Alta Formazione Artistica e i Licei. Si tratta, in sintesi, di una documentazione identitaria provvisoria, valida durante il percorso di studi.

«Questi dispositivi normativi nascono per supplire a una carenza legislativa gravissima», ci spiega la Docente Prota, «I percorsi di transizione e l’autodeterminazione di identità non binarie o non conformi agli stereotipi di genere maschio/femmina, sono percorsi molto complessi e lunghi. Parliamo di almeno cinque o sei anni, spesso di più. In questi anni la persona compie una rielaborazione della propria identità. In questo lungo e difficile periodo viviamo tutt* un disagio gravissimo nel sostenere l’incongruenza tra il nostro aspetto e la nostra identità anagrafica».

L’attuazione delle Carriere Alias però ricade sui singoli Atenei e non c’è una protezione o una normativa su piano nazionale. Diverse Facoltà, come l’Accademia partenopea, hanno preso in considerazione questa possibilità che renderebbe più sicuro il percorso dei singoli student*, ma come sottolinea la Docente,

«La legge che aspettiamo da sempre consisterebbe nell’attuazione di un sistema normativo in grado di fornire alle persone in transizione dei documenti provvisori che possano sostenerci nell’affermazione identitaria, validi su tutto il territorio»

 

Nera Prota prof.ssa
La Prof.ssa Nera Prota negli anni ha lavorato sul set con registi come Francesco Rosi, Luca Ronconi e Mario Martone.

Quanta resistenza ha riscontrato nellintrodurre le Carriere Alias?

«Per comprendere le difficoltà e le resistenze delle istituzioni occorre riflettere su alcuni aspetti fondamentali, il primo riguarda la questione della minoranza e di quanto questa desideri preservare il proprio anonimato e la propria privacy. Si tende a pensare che sia inutile attivare le Carriere Alias poiché non vi saranno richiedenti, si fa una sorta di pre-valutazione “a vista”. Abbiamo invece dimostrato che serve attivarle affinché questa realtà emerga in maniera consistente, ci sono state sette richieste nel giro di un mese.

Questa dispercezione è legata ad un immaginario collettivo che associa la transessualità a qualcosa di estremamente eccentrico e visibile, questo non è vero se non in alcuni casi specifici. Altro aspetto importantissimo da considerare è la scarsa informazione sull’argomento nell’ambito delle comunità di docenti, insegnanti, amministrativi etc.etc. Se nelle generazioni più giovani c’è quasi una fame di informazioni e di attenzione a questi temi nelle aree più anziane sussiste una fondamentale ignoranza o peggio una tendenza al pregiudizio e alla reiterazione di comportamenti tesi a consolidare gli antichi “valori” patriarcali che vedono il maschio, etero, cisgender come esempio di successo nella vita e nel lavoro.

Esiste poi una difficoltà oggettiva, non in tutte le istituzioni ci sono persone con il know how adeguato a stendere il regolamento e a seguirne l’attivazione, per acquisirlo occorre entrare in contatto con chi se ne occupa in Italia, segnalo l’importantissimo contributo alla nostra esperienza fornitoci da Paolo Valerio, presidente dell’ONIG (Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere). Attualmente in Italia esistono numerose istituzioni che forniscono questo servizio tuttavia con un regolamento ormai superato, la battaglia in corso in tanti atenei consiste nel rivederli e aggiornarli ampliando la tutela alle nuove necessità “fluide” ovvero che rivendicano un principio di autodeterminazione di genere sfuggendo alle maglie dei canonici percorsi di transizione psichiatrizzati, medicalizzati e chirurgizzati.

Parlare di identità di genere oggi significa parlare dei ruoli di genere e di come essi stiano vivendo una profonda e viscerale trasformazione».

Come sono state accolte dagli studenti e dai docenti?

«Le Carriere Alias nelle istituzioni sono generalmente sostenute e promosse in primissima istanza dalle Consulte degli Studenti ed è proprio raccogliendo le loro richieste che io mi sono mossa. L’attivazione delle Carriere Alias presenta una serie di risvolti complessi nel caso in cui le persone richiedenti siano appartenenti ad un’area non binaria; questo è molto complesso da gestire perché oltre a offrire una garanzia sulla privacy occorre estenderla alla dignità. In questo senso occorre che i tutor siano in grado di stabilire un filo diretto con le/i richiedent* per poter intervenire nel caso non venga rispettata l’identità del soggetto.

Una questione importante riguarda la didattica a distanza e le modalità blended, nel nostro modello la/il richiedent* può ottenere a fianco del proprio nome di elezione il pronome desiderato (Lui, Lei, They/Them). Quale sarà l’impatto nella nostra istituzione è tutto da vedere, stiamo lavorando per sensibilizzare e alfabetizzare la comunità sulla complessità di questi aspetti dell’essere, così importanti e delicati».

Quanto si può e si deve ancora fare per creare un ambiente più sano e inclusivo allinterno del mondo accademico?

«Rispetto al concetto di inclusività il lavoro da fare è ancora enorme, costruire un ambiente di studio e di lavoro safe supera il concetto stesso di inclusività. L’idea che vi sia qualcuno da includere ci pone dinanzi ad un quesito: includere in cosa?

Includere è un atto che stabilisce un ruolo di potere di chi include nei confronti dell’incluso? E ancora, a quali regole deve sottostare l’incluso per restare tale?

Oggi pensiamo all’inclusvità come un lavoro da fare su noi stessi, individualmente. Solo se io scardino dentro di me i residui interiorizzati della cultura patriarcale, omotransfobica, xenofoba, abilista e sessista, il cerchio dell’inlcusività andrà in frantumi rendendoci tutti sullo stesso piano di relazione.

Questo lavoro individuale e collettivo deve avvenire all’interno del corpo docente a tutti i livelli di formazione fino al lavoro. Io amo richiamare il principio di intersezionalità originario dei movimenti femministi contemporanei come elemento legante e come pratica dell’ascolto e della comprensione dell’altro, ma non basta, occorre raggiungere uno step successivo che riguarda la costante minaccia del fenomeno della mercatizzazione  dell’istruzione. Uno spazio safe non può sottostare ai meccanismi di produzione imposti dal mercato, la formazione non può mirare a “educare al lavoro” intendendo ciò come addestrare a una performatività basata su principi di sopraffazione del più forte sul più debole, alla competizione sfrenata e disinibita, alla scaltrezza o alla furbizia, il talento è altra cosa e va ricercato nelle soggettività e nelle diversità. Il nostro compito è creare generazioni in grado di lottare per un mercato egualitario, sereno e che sia produttivo non tanto nella forza economica quanto nella forza delle progettualità che abbiano ricadute sociali, politiche e intellettuali».

Nera Prota prof.ssa
Accademia delle Belle Arti di Napoli, un momento di condivisione tra docenti e studenti sulla questione dei diritti LGBTQIA+

Ci sono altri progetti o iniziative che il suo Ateneo sta organizzando?

«I progetti sul tavolo sono tanti e vi è un costante rapporto di scambio tra docenti e consulta, sebbene sia tutto ancora in una fase larvale, percepisco un forte cambiamento grazie anche al sostegno offerto dalla Presidente dell’Accademia di Napoli Rosita Marchese. La Presidente si è dimostrata da subito molto sensibile ai temi delle pari opportunità e dell’inclusività.

In questo momento stiamo tentando di realizzare un progetto di videoinstallazione in occasione del TDOR (Transgender day of Remembrance) che sarà inaugurato il 19 novembre, si tratta ancora di un progetto, spero sinceramente di poterlo realizzare… L’installazione consisterà nel riassegnare, attraverso l’uso di videomapping projection, il corpo del David a nuove condizioni di genere, razza, fisicità. Una bellissima copia in gesso del David di Michelangelo troneggia con la sua presenza fallica e virile all’ingresso studenti dell’Accademia, un corpo perfetto e un’arte perfetta; l’intento di questa installazione è di emancipare il corpo come elemento di dignità al di là di ogni “regola” d’arte e di ogni categoria di genere, riappropriandosi di esso e della storia».

Vivendo lambiente accademico e frequentando ragazzi molto giovani, quanta speranza ha e come si immagina il futuro allinterno e allesterno delle Suole?

«La mia è una generazione incrociata, una ‘crossgeneration’, da un lato esistono miei coetanei cinquantenni che sono stati radicalmente sedotti dal mito dell’imprenditoria (“imprenditore di se stessi”); consumati dal mito del successo e dai miti delle grandi finanze e dai grandi business, dunque innamorati di quel sogno berlusconiano in cui nacquero gli Yuppie (Young Urban Professional) in cui arte cultura e intelletto divengono funzioni del progetto economico, dall’altro esiste una sacca di resistenza che, avendo totalmente ignorato questo paradigma dell’auto-imprenditoria, mirano a comprendere i meccanismi necessari per usare l’economia portandola nel nostro territorio incerto e spesso improduttivo. L’attività di ricerca, l’arte e lo studio non sempre generano capitale. Molt* di noi sono concentrat* sui cosiddetti beni immateriali, l’inclusività è uno di essi, insieme al benessere collettivo e alla costruzione di speranza e di visioni. Fortunatamente quest’onda yuppie si è spenta con la crisi economica del 2007.

Le giovani generazioni sono molto più lucide, hanno i piedi a terra, comprendono che il lavoro deve tornare ad essere sistema e non territorio di guerra speculativa e neoliberista. Per la mia esperienza le nuove generazioni ci stanno mostrando nuove vie e nuovi modi, io imparo molto da loro, è una palestra di cultura dell’essere. Ciò che avverto come compito istituzionale è creare degli spazi sicuri di dissenso all’interno dell’Accademia, in questo momento ritengo sia necessaria una zona sicura in cui manifestare la propria visione che sia essa anarchica, transefemminista, intersezionale o semplicemente artistica. Rivendicare con forza il diritto al dissenso è una delle priorità dei giovani e di chi, come me, appartiene a quell’aria crossgenerazionale non sedotta dalla linea dura del capitalismo neoliberista.».

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