La Cassazione non arretra di un passo: la parola “frocio” è un termine sempre discriminatorio, passibile di denuncia per diffamazione nei confronti delle persone che ne sono oggetto.
Secondo quanto affermato il procuratore, Mauro Clerici, l’uso della parola “frocio” dentro e fuori dai social network non può essere considerata una semplice goliardia.
Il caso più recente è partito da un’istanza presentata dallo Sci.G Club Gay Milano LGBTQIA+. Nella querela, si faceva riferimento a un tweet contenente il termine offensivo. Da qui il procedimento, che ha visto i giudici dalla nostra parte. Nella sentenza, si sottolinea e ribadisce che la parola “frocio” costituisce – come già noto da anni – una vera e propria offesa.
Il caso precedente
La decisione della Cassazione si è basata anche su un precedente caso analogo. In tale occasione, una donna trans aveva utilizzato il termine “frocio” per riferirsi a un politico con cui sosteneva di avere avuto una relazione.
La vicenda era esplosa quando Efe Bal, impegnata da anni nella lotta per la regolarizzazione della prostituzione, aveva pubblicato su Facebook una testimonianza in cui affermava di aver avuto un rapporto sessuale a pagamento con un consigliere comunale, definendolo un “frocio” e uno “schifoso”.
Quest’ultimo aveva reagito presentando una querela per diffamazione contro la donna.
Il caso era quindi arrivato in tribunale e, sia in primo grado che in appello, la donna era stata condannata a una pena pecuniaria e a un risarcimento, sebbene l’ammontare richiesto sia stato ridotto rispetto alle istanze iniziali.
La difesa aveva quindi presentato ricorso alla Corte di Cassazione, cercando di ottenere l’annullamento della sentenza punitiva.
Nel corso del processo in Cassazione, il fulcro delle tesi difensive è stato l’evoluzione della coscienza sociale riguardo a tali epiteti e l’attribuzione di un carattere dispregiativo ad essi.
La difesa aveva sostenuto che, nel contesto attuale, tali termini sono stati declassati a espressioni neutre o addirittura ridimensionate nella loro offensività.
Tuttavia, la Cassazione aveva respinto tali argomentazioni e confermato che gli aggettivi utilizzati nella situazione in questione rappresentano una chiara lesione dell’identità personale e un veicolo di avvilimento dell’altrui personalità.
Insulti omofobi: la Cassazione rimane sulla sua posizione
Il caso più recente coinvolge sempre l’insulto in questione ed i social: su Twitter, un utente aveva commentato sotto a un post dello Sci.G Club Gay Milano LGBTQIA+ scrivendo: “i froci sono così, bisogna rassegnarsi, stanno riuscendo a sessualizzare pure il club dello Sci.G Milano, non si riesce ad andare oltre“.
Da qui la querela, e la sentenza favorevole e il risarcimento.
Oggi la Cassazione riconferma infatti che il termine “frocio” non solo lede l’identità personale delle persone gay, ma è anche un veicolo di avvilimento della loro personalità. Per solidificare la base della sentenza, la Corte ha peraltro sostenuto che la stragrande maggioranza della popolazione italiana percepisce questo termine come offensivo.
“Le suddette espressioni – afferma la Suprema Corte – costituiscono invece, oltre che chiara lesione dell’identità personale, veicolo di avvilimento dell’altrui personalità e tali sono percepite dalla stragrande maggioranza della popolazione italiana, come dimostrato dalle liti furibonde innescate, in ogni dove, dall’attribuzione delle qualità sottese alle espressioni di cui si discute e dal fatto che, nella prassi, molti ricorrono, per recare offesa alla persona, proprio ai termini utilizzati dall’imputato“.
In un contesto storico come quello a cui facciamo fronte oggi, una sentenza di questo tipo invia un segnale importante nell’affermazione dei diritti delle persone LGBTQIA+, oggi sotto attacco.
Riconoscere che l’utilizzo di termini dispregiativi ha un impatto negativo son solo sulle persone e sulla loro dignità, ma anche sulla percezione dell’intera comunità, è un enorme passo avanti.
La decisione della Cassazione ha il potenziale di influenzare – almeno in parte – il modo in cui la società affronta la discriminazione e il linguaggio offensivo nei confronti delle persone LGBTQIA+, favorendo una maggiore consapevolezza e sensibilità riguardo all’uso di parole che possono danneggiare le persone sulla base del loro orientamento sessuale o identità di genere.
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