Frode di genere: contro questa ingiusta accusa la velocista sudafricana Caster Semenya ha dovuto combattere per anni, da quando nel 2009 la sua prima vittoria alle Olimpiadi è stata messa in discussione. Semenya nel 2021 è stata la prima atleta a appellarsi alla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) e la sentenza emessa lunedì scorso mette la parola fine a quello che era diventato uno dei casi più discussi nella storia dello sport.
Chiudendo una vicenda giudiziaria lunga più di dodici anni e che ha visto più tribunali esprimersi, la Corte ha infatti stabilito che Semenya è stata discriminata dalla World Athletics (l’unione delle Federazioni di Atletica Leggera), e che questa non potrà più obbligarla a sottoporsi a trattamenti ormonali come condizione per svolgere la sua professione.
Nell’agonismo il sex testing esiste davvero: nato nel 1936, ha agito nel corso dei decenni attraverso modalità diverse, dalla nude parade nella quale venivano esaminati persino genitali e peli, fino al test cromosomico, attraverso il tampone salivale. Ma come spiegano le ricercatrici del Centro Studi Interdisciplinari di Genere dell’Università di Trento Alessia Tuselli e Carla Maria Reale, “questi test spesso falliscono perché non sono in grado di cogliere la varietà e la complessità delle caratteristiche sessuali presenti negli esseri umani”.
Nel 1999 il sex testing vero e proprio è stato abolito, ma, anche in seguito, lo scrutinio di un corpo non conforme è rimasto possibile tutte le volte che l’esito di una gara agonistica è stato contestato.
Una volta appurato che Caster Semenya rientra nello spettro intersex e presenta la sindrome di iperandrogenismo (ossia produce più testosterone di quella che è medicalmente considerata la media per le donne), le cose per lei non sono state più facili: dal 2011 le atlete con questa caratteristica sono infatti soggette a nuove regole stabilite a più riprese della World Athletics, la quale ha imposto loro per alcune competizioni l’assunzione di ormoni al fine di ridurre il presunto vantaggio competitivo derivante da elevati livelli di testosterone.
Ognuna di loro è diventata un caso mediatico e dal 2015 in avanti il testosterone è stato il grande protagonista dei regolamenti sportivi. Assumere il trattamento ormonale imposto ha però pessimi effetti sulla psiche e sul corpo.
La Lega dei Giovani Comunisti del Sudafrica è stata da subito tra i suoi sostenitori, facendo notare come nei giudizi nei suoi confronti non siano mai mancate forme di razzismo, come accaduto poi per altre atlete intersex africane, quali Francine Niyonsaba e Margaret Wambui. Medicalizzare i loro corpi non significa solamente costringerli a un mutamento per aderire alle aspettative sui corpi femminili sportivi – pur trattandosi di corpi sani – ma significa anche condizionare la privacy e causare importanti disturbi.
Una violenza quotidiana di cui Semenya ha parlato apertamente e che ha portato alcune atlete a scelte definitive. La nuotatrice indiana Pratima Gaonkar, non venendo creduta nemmeno dal suo allenatore, ha deciso nel 2011 di togliersi la vita.
Con i nuovi regolamenti (ben tre tra il 2011 e il 2023, sempre più restrittivi) le vicende delle atlete intersex sono divenute tema di dibattito soprattutto nei rispettivi paesi, dove sono ormai estremamente popolari. Semenya ha sposato la sua compagna e insieme hanno avuto due bambine. La sua autobiografia uscirà il 31 ottobre. È anche testimonial di Nike, la multinazionale che nel 2019 (mentre lei aspettava l’ennesima decisione di un giudice sportivo) ha dedicato alle donne che più hanno combattuto nel mondo dello sport uno spot che evoca le molte espressioni usate d’abitudine per screditare le donne quando si ribellano. Nel momento in cui Semenya vi appare, la voce della tennista Serena Williams dice: “Quando siamo troppo brave, c’è qualcosa che non va in noi” (Williams stessa fu protagonista di un celebre scontro con un arbitro, che la penalizzò per un comportamento assolutamente ordinario tra gli atleti uomini).
Le Olimpiadi di Tokyo 2020 hanno reso evidente che il mondo dello sport sta cambiando. Come ricordano Tuselli e Reale, per la prima volta ha partecipato un’atleta transgender, la sollevatrice di pesi neozelandese Laurel Hubbard, e più di 180 atletз si sono dichiarati lgbt+.
Secondo Tuselli e Reale, che hanno già terminato la lettura della sentenza pubblicata lunedì dalla Corte, ci sono alcuni aspetti di grande interesse.
Innanzitutto questa sottolinea che “lo sport non è un mondo a parte. Non può sottrarsi al rispetto dei diritti umani e non è estraneo al sistema di garanzie degli stessi. Dalla decisione emerge chiaramente la discriminazione subita da Semenya perché donna e perché donna con caratteristiche intersex, perchè atleta messa davanti ad una scelta impossibile, lesiva dei suoi diritti: continuare a svolgere il proprio lavoro oppure rinunciare alla propria integrità fisica.”
In secondo luogo, viene riconosciuto implicitamente anche “il ruolo del fattore razziale, quindi la matrice intersezionale della discriminazione“.
Tuttavia la Corte aveva la possibilità di esprimersi con decisione rispetto “alla pratica del sex testing e alla medicalizzazione dei corpi sani delle persone intersex, classificandole – come hanno fatto numerosi organismi e associazioni internazionali – come trattamento disumano e degradante”, ma ha rigettato la questione. Un’occasione persa, dunque.
Inoltre va sottolineato che “la World Athletics può impugnare la sentenza e chiedere entro tre mesi alla Grande Chambre della CEDU di pronunciarsi, in quanto la decisione non è stata presa all’unanimità” (quattro giudici a favore, tre contro).
Ma la sua portata rimarrà storica:
“Questa sentenza rappresenta ad oggi un importante grimaldello per spingere le federazioni dei diversi paesi all’adozione del criterio di autodeterminazione di genere, che era già stato indicato come buona pratica nel 2021 dal Comitato Olimpico internazionale. Potrebbe dunque indurre gli organi sportivi internazionali a garantire un più corretto bilanciamento fra equità di accesso alle competizioni e fair play, così che le atlete di domani possano finalmente attraversare lo spazio sportivo nel pieno riconoscimento della propria identità.”
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Secondo altre fonti non confermate, la persona avrebbe dei testicoli interni, ma non riguarderebbe la sua discriminazione sulla riduzione del testosterone. Sarebbe una sconfitta dell'orgoglio dei transessuali e un fallimento delle manifestazioni, che non hanno spiegato la sessualità egodistonica dei partecipanti. Tutti quegli eterosessuali ai pride sono... piuttosto omofobi.
Da quando il femminismo terf è anche intersexual exclusionary? In quel caso non sarebbe tierf? Nella sentenza non si parla di sesso o genere ma di iperandroginismo che può essere anche intersessuale o maschile, non c'è pertinenza dichiarata con il movimento lgbt+, femminista o altro e nulla si può dare per scontato in politica dei diritti.