Era il 4 febbraio 2021 quando due fratelli ceceni allora poco più che adolescenti, venivano rapiti dal loro appartamento, gestito da un’associazione per rifugiati LGBTQIA+ russa, la LGBT Network, per essere rimandati in Cecenia, in un carcere della capitale, Grozny.
Nonostante le varie montature le accuse infondate, la motivazione è chiara: l’unica “colpa”a di Ismail e Salekh è quella di appartenere alla comunità LGBTQIA+.
Colpa che è costata ai due fratelli la libertà e una sentenza di otto anni e mezzo, per aver anche chiesto aiuto per fuggire dalla Cecenia sul canale Telegram Osal Nakh 95.
Da allora, sono passati quasi due anni. Due anni di quotidianità per noi, due anni di torture, di minacce e di soprusi per Salekh e Ismail, che ancora oggi lottano per la loro stessa sopravvivenza.
La persecuzione LGBTQIA+ in Cecenia
Questa storia si unisce ad altre centinaia, una goccia nel vastissimo mare di discriminazioni e pericoli in cui la comunità LGBTQIA+ cecena si trova a navigare ogni giorno. Molte finiscono per essere dimenticate. Altrettante si concludono con la morte dell* detenut*.
Arresti arbitrari, basati sul sentito dire, che però sconvolgono la vita di chi cade nella trappola per sempre. Sì, perché qui la persecuzione delle minoranze è un vero e proprio business, con protocolli dettagliati e perpetrata dalle stesse autorità cecene. E chi indaga viene silenziato.
“Le pratiche di tortura e omicidio, prive di qualsiasi beneficio personale per gli agenti di polizia, hanno ben presto perso il loro interesse. Di conseguenza, coloro che venivano detenuti dal dipartimento di polizia iniziarono a essere consegnati ai propri familiari in cambio di un riscatto” – si legge in un rapporto della dell’associazione NC SOS Crisis Group – “Sebbene questa prassi si applichi anche ad altri tipi di detenuti, come quelli arrestati per droga o alcol, le persone appartenenti alla comunità LGBTQ si rivelano le più “lucrative” per le forze di sicurezza cecene. In questi casi, è comune che le famiglie vengano richieste di pagare circa un milione di rubli per la liberazione dei loro cari. Questa somma rappresenta una tariffa standard, ma in presenza di famiglie più abbienti, le richieste economiche tendono ad aumentare”.
La persecuzione sistematica della comunità LGBT in Cecenia ha preso una svolta decisiva a partire dal 2017, segnando l’inizio di quella che è stata etichettata come la “caccia ai gay”, coincidente con l’ascesa al potere di Ramzan Kadyrov.
Questo periodo ha rappresentato un netto contrasto rispetto all’era di Akhmat Kadyrov, padre dell’attuale presidente, durante la quale, nonostante discriminazioni e pregiudizi, la comunità LGBT godeva di una maggiore libertà, con la possibilità di riunirsi, creare locali e associazioni proprie.
Sotto la presidenza di Kadyrov, la situazione ha subito un deterioramento rapidissimo. Uno degli episodi chiave di questo cambiamento è stato il ritrovamento da parte delle autorità di materiale compromettente appartenente a un imam strettamente legato a al presidente, scoperto durante un controllo su un giovane.
L’arresto dell’imam, trovato in possesso di video intimi, ha scatenato l’ira di Kadyrov. Questo evento ha dato il via a una serie di arresti arbitrari, atti di tortura e omicidi extra-giudiziali su larga scala, segnando un periodo di intensificato terrore e repressione nei confronti della comunità LGBT.
I metodi impiegati dalla polizia cecena per la tortura sono particolarmente brutali e comprendono l’uso di scosse elettriche, percosse severe con manganelli e tubi di plastica, stupri e mutilazioni, prolungate sospensioni in posizione capovolta.
Queste atrocità vengono principalmente perpetrate nel dipartimento di polizia di Leninskoe e in una struttura situata nel villaggio di Serzhen-Yurt, luoghi designati per gli interrogatori e le torture.
Ad aggravare la situazione, il recente gemellaggio tra Grozny e la Mariupol (Ucraina) occupata oggi dall’esercito russo, parte di una strategia deliberata ideata da Vladimir Putin. Tale strategia consiste nel creare “gemellaggi” tra regioni russe e città ucraine che si trovano sotto il controllo militare russo.
In pratica, questo sistema agisce come una forma di “patrocinio”, finalizzato a finanziare la ricostruzione e a rafforzare le amministrazioni locali leali al Cremlino.
Questo modello non è nuovo: si rifà a una pratica già esistente in epoca sovietica, quando imprese e fattorie collettive (kolchoz e sovchoz) erano incaricate di sostenere infrastrutture come asili nido e case di riposo.
Possiamo solo immaginare la situazione della comunità LGBTQIA+ ucraina in questi territori.
Dalla Russia con amore: l’iniziativa di All Out
Sono diverse le organizzazioni per i diritti LGBTQIA+ che durante questo lungo periodo di prigionia si sono mobilitate per offrire supporto ai due detenuti, chiedendone l’immediata scarcerazione e il trasferimento in un paese europeo che potesse fornire loro rifugio.
Appelli caduti nel vuoto, perché oggi, Salekh e Ismail attendono ancora la libertà.
Nel frattempo, anche la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato la Russia per le condizioni di vita riservate all* cittadin* LGBTQIA+ in Cecenia.
E se ad oggi la comunità internazionale si sente impotente davanti a tali barbarie, l* attivist* sono determinat* a far sentire la propria vicinanza e il proprio supporto a chi, come Salekh e Ismail, non vede una luce in fondo al tunnel.
Qualche mese fa, All Out ha chiesto ai propri sostenitori di inviare un messaggio di speranza ai due fratelli, attraverso semplici cartoline colme però di significato, per evitare che la vicenda – come molte altre storie – cadesse nel dimenticatoio.
La risposta della comunità LGBTQIA+ europea è stata travolgente: grazie alle centinaia di cartoline inviate, oggi la speranza riemerge. In un messaggio inviato dagli stessi Salekh e Ismail tramite il gruppo NC SOS Crisis Group, i fratelli esprimono la loro gratitudine e il loro rinnovato spirito combattivo per fare fronte a questo calvario.
Un potente messaggio di speranza che nasce da una comunità unita in tutto il globo, pronta a difendere, ancora una volta, chi non può farlo per sé.