Secondo la Treccani intendiamo per lesbica “donna che è attratta sessualmente da persone del suo stesso sesso, o che ha rapporti sessuali con esse”.
Anni e secoli di studi hanno tuttavia rimesso in discussione il termine, ampliandolo di tutte le sue sfumature, di pari passo alle nuove consapevolezze della società.
L’ultimo caso è quello della John Hopkins University negli Stati Uniti che ha cambiato il proprio glossario LGBTQIA+, definendo lesbica non più “una donna emotivamente, romanticamente, sessualmente, affettuosamente o relazionalmente attratta da altre donne o qualcuno che si identifica come parte della comunità lesbica” ma “non-uomo attratto da non-uomini“.
In uno statement per CBC News, la Johns Hopkins University ha affermato che il glossario pur non ponendosi come una forma ‘definitiva’ del termine, vuole essere un’introduzione all’ampio spectrum di identità della comunità, con l’obiettivo di includere anche le persone non binarie o di genere non conforme, e non solo donne cisgender.
Ma nonostante le buone intenzioni, la scelta ha scatenato una valanga di critiche e polemiche.
Se escludiamo le solite TERF del circondario, che urlano alla ‘cancellazione’ del genere femminile in funzione dell’ideologia gender (JK Rowling ovviamente non si è tirata indietro a commentare), per Helen Kennedy, direttrice esecutiva della Egale Canada (organizzazione per i diritti di persone gay, lesbiche, bisessuali, transgender, queer, e intersex) nonostante le buone intenzioni, la terminologia rischia di generare l’effetto opposto, marginalizzando ancora di più le persone di genere non conforme.
Presso la Egale Canada la parola lesbica è indicata come “una persona che si identifica come donna o persona non binaria, che vive attrazione verso lo stesso o generi simili” evidenziando che orientamento sessuale e identità di genere sono distinti, e naturalmente le persone transgender o/e non binarie possono identificarsi anche come lesbiche, gay, bisessuali, etero, o qualunque altro orientamento sessuale preferiscono.
Anche Marusya Bociurkiw, regista, scrittrice, studiosa, attivista e professoressa presso Toronto Metropolitan University, fa notare che per il termine ‘gay’ – indicato come “un uomo che è emotivamente, romanticamente, sessualmente attratto da altri uomini, o si identifica come membro della comunità gay” – non si crea questa distinzione, segnando come questo sia un double standard circoscritto alle persone lesbiche.
Bociurkiw ricorda che la comunità lesbica e femminista ha più volte “re-inventato il linguaggio”, ricorrendo anche a termini alternativi come “womyn” o “womon”, che non dipendessero dal suffisso maschile (“men”).
Ma la parola ‘lesbica’ dovrebbe già includere di default persone e donne transgender, e non utilizzare la parola ‘donna’ non migliorerebbe la situazione.
Secondo Bociurkiw, il termine “non uomo” non funzionerebbe come non utilizziamo più il termine “non bianco” per riferirci alle persone nere – o BIPOC (black, indigenous, people of colour): “In ogni caso si riferirebbe al paradigma dominante” dice a CBC News.
Ad oggi la John Hopkins University ha momentaneamente sospeso il glossario per definire meglio “le origini e il contesto” delle controversie.
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