"Non puoi chiedere alle persone troppi cambiamenti tutti insieme. Stiamo già cercando di ottenere la caduta dei regimi e la libertà, figurati se ci mettessimo a chiedere anche i diritti per le persone lgbt", scrive il blogger gay egiziano IceQueer. La primavera del Nordafrica rimarrà probabilmente zoppa dei diritti "almeno fino a quando i paesi del Nordafrica diventeranno secolarizzati", continua.
Tre settimane sono bastate al popolo egiziano per riprendere in mano il suo destino. Meno ne servirono ai tunisini e forse non molti giorni mancano ai libici per dare un calcio definitivo a Muammar Gheddafi. Quanto tempo servirà però alla fetta di popolazione lgbt di quei paesi per azzerare le discriminazioni, l’omofobia, gli abusi e le violenze troppo a lungo subite è poi un mistero per chiunque.
Non è il caso, insomma, di immaginare una rivoluzione "all’occidentale" per stessa ammissione dei gay arabi. Il passaggio da un sistema all’altro che coinvolga i diritti lgbt (ma anche quelli delle donne, degli immigrati o di chi professa religioni differenti) non può che richiedere più tempo. In mezzo ci sono retaggi culturali e spinte religiose – quando non superstiziose – che una piazza Tahrir non può spazzare via dall’oggi al domani e che hanno appesantito fino ad oggi la vita di centinaia di migliaia di gay africani. A volte li ha uccisi: l’omicidio di David Kato Kisule ne è solo l’esempio più recente e clamoroso; quasi sempre li ha condannati alla non esistenza.
La condizione lgbt in alcuni paesi, anzi, richia di peggiorare nell’immediato. Dove c’è instabilità, passo comunque necessario per il cambiamento, i più deboli sono anche i più colpiti rispetto agli altri. «Noi siamo pronti ad accogliergli», dice Paolo Patanè, presidente nazionale di Arcigay. «È altamente probabile che ci si trovi di fronte a una massa enorme di persone che dal Nord Africa si sposteranno verso l’Europa ed è possibile che fra loro vi siano anche omossessuali o lesbiche che sceglieranno di chiedere asilo per discriminazione sessuale», dice Patanè. «Da parte nostra c’è la massima disponibilità ad aiutarle e, nel caso dovessero pervenirci delle richieste, auspico che il ministero degli Esteri ci dia modo di attivare subito una collaborazione veloce»
«Dove non c’è libertà sessuale non c’è democrazia» afferma Emma Bonino. «Comunque andrà a finire – ha detto la vicepresidente del Senato in un’intervista a Pasquale Quaranta – si farà piazza pulita dello stereotipo secondo il quale la libertà è un valore occidentale. La libertà, cioè il diritto di vivere come si vuole nei limiti della libertà degli altri, è un bisogno universale. Che sia l’Uganda, che sia il barcone dell’Egitto, il principio travalica qualunque pseudocultura, frontiera o barriera nazionale. Non esiste libertà che non passi anche attraverso la libera espressione della sessualità».
Ogni rivolta passerà alla storia con la data di inizio delle proteste: il 20 e il 25 gennaio in Tunisia e in Egitto, il 17 febbraio in Libia, e chissà quali altri ancora. A quei popoli manca ancora un 28 giugno, anniversario di una rivolta tutta occidentale – e ancora incompiuta persino in Italia – come fu quella di Stonewall nel 1969. Una ventata di libertà per tutti sarebbe una degna fine non solo delle dittature, ma dei sistemi che quelle dittature hanno costruito.
di Daniele Nardini
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