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Dov’è lo spazio del dolore? Lo splendido monologo di Chiara Francini a Sanremo 2023

La vulnerabilità sul palco dell'Ariston. "Se sarai maschio io so e, quasi spero, che sarai gay e t’amerò così tanto".

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Sanremo 2023 è agli sgoccioli, e tra qualche momento imbarazzante e tanti (troppi) pareri, gli uomini sembrano primeggiare anche questa volta sul podio.

Eppure le donne di talento su quel palco non mancano, ancora una volta snobbate dal grande pubblico o relegate al ruolo di vallette che, a differenza dei maschi (che non hanno nulla da dimostrare e possono limitarsi al minimo sindacabile) devono sempre veicolare un messaggio importante, portarsi sulle spalle il peso del mondo, confermando a tutti i costi che hanno anche qualcosa da dire. E se lo fanno male, sono cazzi amari.

Nella fila di infiniti monologhi, il più bello forse ce l’ha portato Chiara Francini.

Classe 1979, attrice e conduttrice dell’ultima edizione di Drag Race Italia, Francini mette da parte gli slogan motivazionali, e sceglie di condividere un pezzo di sé, scritto e interpretato così bene da non risultare mai autoreferenziale o fuori tempo massimo: “Arriva un momento della vita in cui è chiaro che sei diventato grande: quando hai un figlio” esordisce l’attrice “Ora, io, Chiara, un figlio non ce l’ho, però credo sia una cosa dopo la quale non c’è dubbio non potrai più essere più giovane come lo eri a sedici anni, col motorino, la discoteca e il liceo. E arriva un momento, nella vita, in cui tutti intorno a te cominciano a figliare. È una valanga”.

Francini racconta la maternità attraverso le storie degli altri, come quella “della Lucia”, quell’amica che chiunque sapeva “sarebbe diventata mamma prima di tutti”: che succede quando le altre ti annunciano di essere incinta? Che accade quando gli altri diventano grandi prima di te? “Quando qualcuno ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata, non sai mai che faccia fare. Quando qualcuna ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata c’è come qualcosa che ti esplode dentro“.

Senza moralismi o retorica da quattro soldi,  l’attrice racconta sul palco più famoso d’Italia di quel “buco che si apre tra gli organi vitali”, dello spavento che stordisce e ti costringe a festeggiare la felicità degli altri, mentre tu rimani a guardare: ” Tu devi festeggiare, perché la gente incinta è violenta e vuole solo essere festeggiata. E non c’è spazio per il tuo dolore, per la tua solitudine. Tu devi festeggiare. Come l’albero di Natale che tengo acceso tutto l’anno in salotto, un albero di Natale assolutamente insensato che continua ad accendere le sue lucine, anche a luglio, fuori tempo massimo. Una festa continua senza nessuna natività. E io ho festeggiato”.

È un raro momento di vulnerabilità, una di quelle storie che racconteresti agli amici intimi a tarda sera, ma con i riflettori puntati trova spazio per una narrazione della maternità che non va a braccetto con “l’esercito di donne dai capelli corti e uomini stempiati con la panza che spingono passeggini con dentro neonati mostruosi e pieni di amore” ma con irriverenza e sincerità, racconta la pressione di dover fare sempre meglio, l’urgenza di essere “brave”, insieme a quel senso di colpa che “rimbomba dentro, come un eco“, nutrito “fin dal primo vagito e senza ruttino“.

Francini parla ad un figlio che non esiste, se non dentro la sua immaginazione, che non sa nemmeno quando e se nascerà, perché una madre come lei porterebbe solo problemi: “Se sarai maschio io so e, quasi spero, che sarai gay e t’amerò così tanto. Però forse preferirei non lo fossi, perché sarà più difficile e io vorrei che per te fosse facile.” confida l’attrice, chiedendo al suo bambino di essere brillante e soprattutto di odiare, perché “con quell’odio che si fa tutto. Non è vero che si fa con l’amore. Sì, con l’amore si fanno delle cose, ma il grosso si fa con quell’odio lì”.

Confidandosi ad un figlio mai esistito, l’attrice parla a quelle creature troppo indifese per difendersi, ad una madre che la lasciava sul letto a piangere, a quella voce ottusa che ci chiede di non essere mai deboli e difenderci da soli fino all’ultimo, al cospetto di un mondo che ci vorrebbe sempre impeccabili e inscalfibili. Ancor più se donne.

Io da qualche parte penso di essere una donna di merda perché non so cucinare, perché non mi sono sposata e perché non ho avuto figli. Razionalmente so che va bene così, ma da qualche parte, dentro di me, c’è questa voce, esiste, e io, alla fine, penso che abbia ragione lei, che io sia sbagliata.”

Francini parla a tutte quelle donne stanche, le donne che hanno messo da parte obiettivi e creatività, dato tutto il proprio amore all’altro fino a diventare “semplici comparse”, mentre quel figlio sarà sempre lì: “A ricordarmi in ogni momento che la mia gioventù è finita”. 

Sono otto minuti che non sconvolgono la comodità del pubblico medio sanremese né tantomeno sovvertono il sistema come tantə di noi vorrebbero, ma mettendo da parte facili sensazionalismi o frasi fatte, smuovono una dolce amarezza che raramente siamo abituati a vedere sulla kermesse, trovando spazio per un dolore che non riusciamo sempre ad articolare.

In mezzo a tutto questo bisogno di arrivare, in mezzo a tutta questa rabbia, a questo amore, io, ora, non so dove metterti. O, forse, sei proprio tu che non vuoi venire da me, perché credi che io mi sia dimenticata di te, che io mi sia dimenticata della vita. Perché avevo troppo da fare. Ma io volevo solo essere brava, io volevo solo essere preparata, io volevo che tu fossi fiero di me. Anche se ancora non ci sei. Forse, perché ci sei sempre stato”

 

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